Archivio mensile 30th Giugno 2018

Cappelli ed emancipazione

Tutte le donne lo sanno: un cappello ti cambia, se non la vita, almeno la giornata. Perché

niente come questo accessorio riesce a trasformare la personalità di chi lo indossa.

Il suo potere va addirittura oltre: ha preteso dalle donne la scelta di quale posto occupare nella società e racconta, ancora oggi, una storia di fascino, eleganza, pudore, seduzione ed emancipazione. Diceva Coco Chanel che l’educazione di una donna consiste in due lezioni: non lasciare mai la casa senza calze, non uscire mai senza cappello. Non alludeva alle sculture torreggianti dell’epoca, ma alle sue creazioni di paglia, qualche piuma, toni neutri, ogni tanto un nastro di gros-grain in nome di una donna liberata e moderna.
Cappelli discreti. E potentissimi. Ci avete mai fatto caso? Più il diametro diminuisce, più aumenta il raggio d’azione di chi lo indossa e il cappello rimpicciolito non parla più solo di stile ma di diritto al voto, all’indipendenza economica, al lavoro, al movimento. C’è un mondo intero racchiuso in ogni foggia. Un mondo raccontato dalle foto che, fino al 15 settembre, saranno esposte in via Luigi Galvani 24 a Milano (www.alidem.com). Con la mostra Cosa ti sei messa in testa! prende il via il terzo capitolo della grande collezione di photographie anonyme di Alidem. Ideata da Pompeo Locatelli e curata dal collettivo Alidem di Milano (società da lui fondata per valorizzare le risorse dei giovani fotografi e rendere alla portata di tutti ciò che prima era riservato a pochi) l’esposizione narra, attraverso 180 capolavori europei e americani, una storia affascinante e inedita proprio perché senza firma. Non si sa chi le abbia scattate queste foto, spesso non si sa nemmeno chi sia il soggetto ritratto. Eppure sono di un’eloquenza e bellezza dirompenti, capaci di stabilire con chi le osserva un rapporto molto personale perché, attraverso sguardi timidi o di sfida, pose compite o sfrontate e cappelli mai scelti a caso, liberano l’immaginazione. Ci si ritrova lì, occhi puntati su quelle otto donne che procedono a braccetto, cloche in testa e pantaloni alla zuava, a chiederci dove stessero andando, cosa si stessero raccontando… Un gioco di immedesimazione che è possibile proseguire in prima persona: per tutta la durata della mostra Alidem ha allestito una nicchia che accoglie due dozzine di cappelli vintage, creazioni uniche da calcarsi sulla testa per scattarsi un selfie, pavoneggiarsi, scoprire lati nascosti della propria personalità.
L’esposizione prende il via idealmente dal cappello di paglia di Emma Bovary, simbolo di libertà negata e, attraverso esagerazioni edoardiane di 45 centimetri di diametro, velette, cloche e turbanti, superando l’Ottocento e arrivando agli anni ’60 del Novecento, approda al casco da cosmonauta che Valentina Tereskova, prima donna nello spazio, indossò nel 1963 per spingersi ai confini dell’universo. In fase di lancio, proprio lei intimò dal suo elmetto: «Hey cielo, togliti il cappello: sto arrivando!».

Berthe Morisot: la donna dell’impressionismo

Berthe Morisot, la donna dell’impressionismo. Fu una pittrice impressionista francese che esaltò con la pittura la femminilità, i bambini e i paesaggi…
MILANO – La storia dell’arte è costellata di donne che sono riuscite ad emergere nonostante una società che per secoli ha avversato la libertà e l’affermazione delle donne. Uno di questi casi è rappresentato da Berthe Morisot (Bourges, 14 gennaio 1841 – Parigi, 2 marzo 1895). Si tratta di una pittrice impressionista francese che esaltò con la sua pittura la femminilità, i bambini e i paesaggi.

Berthe Morisot

Berthe Marie Pauline Morisot, nata Bourges nel gennaio 1841, è stata una pittrice impressionista francese. Nella sua vita, Berthe Morisot, come le altre artiste del periodo, dovette lottare contro chi trovava disdicevole per una donna la professione di pittrice. I pregiudizi del tempo, oltre a darle difficoltà nel dipingere all’aperto o in luoghi pubblici, la resero indifferente ed estranea alle questioni sociali che agitavano la vita parigina in quei decenni; Berthe fu quindi portata a dipingere interni e scene domestiche, con donne eleganti della media e alta borghesia ritratte in casa o in giardino, in varie ore della giornata. Non fu mai però un’artista superficiale: un dato costante della sua arte è infatti l’analisi interiore dei personaggi, probabilmente influenzata in questo dall’amicizia con molti letterati, in particolare Stéphane Mallarmé.

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Mary Cassat: emozionò con la sua arte 

di Laura Corchia
“Con la mia arte ho emozionato l’animo di molte persone… Puoi offrirmi qualcosa che possa essere paragonata alla gioia di essere artista?”

Caparbia e capace, Mary Cassatt, una delle prime donne a prendere tra le mani un pennello e a sfidare le convenzioni sociali dell’epoca in cui visse, riuscì a conquistare gli impressionisti e ad entrare a far parte del loro circolo.
Nata nel 1884 in Pennsylvania, crebbe a Filadelfia, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti. Curiosa e infaticabile, inseguì il sogno di diventare una pittrice e nel 1865 decise di trasferirsi a Parigi, città che già in passato l’aveva ospitata insieme a tutta la famiglia. Sebbene Parigi fosse una meta di moltissimi artisti, le regole accademiche non permettevano ancora l’ingresso delle donne. Fu così che la giovane iniziò a frequentare i corsi del pittore Charles Chaplin ma ben presto dimostrò insofferenza nei confronti delle regole. Voleva dipingere ciò che i suoi occhi vedevano e amavano.

Fondamentale fu l’incontro con Degas, di dieci anni più grande. Nacque così una collaborazione fondata sull’amicizia e sulla stima reciproca, al punto che lo scorbutico pittore disse: “questa ragazza ha un talento infinito”. Si scrivevano, si scambiavano consigli, si sostenevano. Non si sa se questo rapporto si trasformò in una vera e propria relazione sentimentale, ma è certo che finì solo con la morte.
Il 1879 fu una data fondamentale per la Cassatt, dal momento che riuscì ad esporre una propria opera durante la quarta mostra del gruppo impressionista e ad entrare nelle grazie del mercante-mecenate Paul Durand-Ruel. A differenza dei suoi colleghi, Mary amava dipingere scene intime e domestiche, concentrandosi su una delle più grandi gioie che una donna può vivere: la maternità. Con il suo pennello, scava a fondo nella psicologia dei suoi modelli e restituisce un mondo di sentimenti e di affetti.
Risoluta fino alla fine dei suoi giorni, dipinse fino a che la vista glielo consentì. Si spegne il 14 giugno 1926 nel suo amato paese Château de Beaufresne, vicino Parigi.

Eva Gonzalès

L’impressionismo affascina e attrae ma in questo movimento artistico le donne ebbero una flebile voce…

Eva Gonzalèz ne fu esponente raffinata ma…trascurata.

I dipinti della Gonzalès, in particolare, raccontano con una «délicatesse instinctive de femme» (per usare le parole del critico Mirabeau) un universo tipicamente muliebre, colto anche nei suoi aspetti apparentemente più insignificanti e ordinari: ne La nutrice, per esempio, il soggetto del dipinto non è una donna mondana, o magari una personalità celebre, bensì una semplice eppur dignitosissima bambinaia colta mentre riposa serenamente in un parco. 

Molti dei suoi dipinti, inoltre, si rivolgono allo spazio femminile della casa, raffigurando donne colte nell’intimità del loro focolare domestico, sull’esempio della collega Berthe Morisot: si veda, a titolo di esempio, il dipinto Le Petit Lever, nel quale è raffigurata una donna vestita con una sottoveste bianca che si lascia pettinare i capelli da un’acconciatrice.

 Se composizioni similari in passato erano sature di erotismo e di sensualità, la Gonzalès dà vita a un dipinto che illustra sapientemente la riservatezza e la discrezione della toilette mattutina. 

Un effetto analogo si riscontra nel suo Ritratto della madre: se altri pittori del passato che si erano confrontati con questo tema avevano restituito immagini che, per la loro grazia esagerata e innaturale, risultavano inopportune o persino fastidiose, la Gonzalès evita ogni qualsivoglia sentimentalismo creando una composizione sobria ed elegante, arpeggiata sulle armonie del nero della veste della donna e sull’indefinitezza dello sfondo, accennato da pennellate rapide e corsive.

Edda Billi

Papá non le permette di frequentare il Liceo: o maestra o ragioniera, Edda scelse ragioneria pur odiando inumeri.

Indossava i pantaloni quando la donna non usava.

Poi arrivò Gianna, il sup primo amore.

” Gianna mi ha fatto conoscere le poete, ci tengo, non poetesse. Mio padre ci scoprì che. I baciavamo é per poco non mi massacrò.”

Poi nasce il Movimento Femminista Internazionale Via Pompeo Magno: una trentina , tutte una più fantastica dell’altra. 

Per Edda sempre strada in salita!

” Ha senso oggi la parola femminista!”

” Si, ha un senso!”

La Carmen: una storia di femminicidio 

Tra i più famosi della storia e analogo a tanti altri nella motivazione profonda: il maschio che non accetta il rifiuto, é inconcepibile che una femmina possa scegliere, possa rifiutare, possa osare di amare come, dove  e quando vuole.

Ecco l’epilogo!

A Siviglia sta per cominciare la corrida. È pieno di gente che vuole assistere allo spettacolo, e di venditori ambulanti che gridano per attirare i passanti a comprare (A deux cuartos). Tra l’eccitazione e l’euforia generale, la folla saluta l’apparizione dei picadori, dei banderilleros, e dei toreri (Les voici, la quadrille!). Escamillo e Carmen arrivano insieme; prima che Escamillo entri nell’arena, Carmen gli giura che non ha mai amato nessuno quanto ama lui. Tra la folla, però, si aggira Don José; Frasquita e Mercedes lo riconoscono; dicono a Carmen di stare attenta, e che magari sarebbe meglio per lei andarsene. Ma Carmen non si lascia intimorire, e rimane a sfidare il destino. La folla entra nell’arena per assistere allo spettacolo; Carmen e Don José restano faccia a faccia (C’est toi! C’est moi!). Don José dice a Carmen di essere ancora innamorato di lei, e la supplica di seguirlo e di cominciare una nuova vita insieme, in un altro paese. Carmen gli dice che non lo ama più; Don José insiste, afferma che non è troppo tardi per ricominciare, la supplica, le dice che la adora; ma è tutto inutile: Carmen si toglie l’anello che lui le aveva regalato, e glielo getta addosso. Mentre dall’arena si sentono le acclamazioni festose per Escamillo, Don José, fuori di sé dalla rabbia e dal dolore, trafigge Carmen con un pugnale. “Sono io che l’ho uccisa”, confessa subito dopo, mentre la folla esce, ed Escamillo appare sui gradini dell’arena.

Ciao Carmen, hai scelto la libertá!

La Diversità è un valore: auguri piccolina, corri incontro alla vita!

Ph Vins Croatio Frak…sei bravissimo!

50 anni? Troppo vecchia per subire molestie sessuali?

di Maria Laura Ramello

La vicenda la conoscete, è una bolla putrida scoppiata qualche giorno fa dopo che il quotidiano inglese The Guardian ha pubblicato un articolo in cui sosteneva che la procura di Roma avesse chiesto l’archiviazione di un’indagine di molestie sessuali sull’ex presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc), Carlo Tavecchio, perché la donna molestata, Elisabetta Cortani, sarebbe stata troppo vecchia per impaurirsi.

Rissumiamo. Le accuse risalgono allo scorso novembre quando la Presidentessa della S. S. Calcio Lazio Femminile raccontò in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, che il collega Tavecchio nel 2015 e nel 2016 la importunò e molestò, palpandole il seno contro la sua volontà e rivolgendole apprezzamenti del tipo “Ti trovo bene, scopi molto?“, ma anche “Fammi toccare, vieni qua. Che belle tette che hai“.

Carlo Tavecchio (Getty Images)

Fatti orrendi e documentati, dal momento che nell’agosto del 2016, certa dell’accoglienza che l’omuncolo le avrebbe dedicato, seguendo il consiglio di un amico rappresentate delle forze dell’ordine, Cortani si presentò nell’ufficio dell’uomo, che l’aveva convocata per discutere con lei l’iscrizione della squadra al campionato regionale, con indosso una telecamera nascosta.

Le registrazioni audio e video sono state presentate come prove, e dice la donna a La Stampa: “Il giudice non nega che i fatti ci sono stati, come si legge negli atti, perché io ho portato le prove audio e video […] ma fa un ragionamento che non va solo contro di me, va contro tutte le donne e la loro battaglia per essere rispettate”.
Il ragionamento in questione, stando alle parole della denunciate e a quanto riportato dal The Guardian, e dal New York Times, è l’aver considerato la donna – che all’epoca dei fatti aveva 50 anni – troppo vecchia per essere in “soggezione psicologica”.

In realtà, leggendo con attenzione le pagine del documento, non solo c’è un assurdo accenno all’età della denunciante, ma si richiede l’archiviazione del caso per via delle accuse tardive e si sottolinea, che anche ci fossero i tempi (che non ci sono) non si potrebbe comunque procedere perché si esclude il metus.
Tralasciando per un momento la questione dell’età, già a lungo dibattuta, e quella della tempistica, sapete bene che le denunce di molestie devono avvenire entro sei mesi dal fatto, e non è stato riconosciuto a Tavecchio il ruolo di pubblico ufficiale durante gli incontri, che avrebbe allungato i tempi della denuncia fino a 6 anni, c’è da riflettere proprio sul metus.

In giurisprudenza per Metus publicae potentati s’intende “quello stato di paura e timore che è ingenerato nel privato dalla situazione di preminenza di cui usufruisce il pubblico ufficiale“. In altre parole, dato il rapporto di conoscenza e amicizia tra le parti, si esclude che la donna potesse ritrovarsi in soggezione psicologica.
Capite che la cosa non è meno grave dell’archiviare il caso per la questione dell’età, anzi. È come se si dicesse che i nostri amici o conoscenti, i compagni di cazzeggio, quelli con cui andiamo a bere birra il sabato sera o con cui troviamo nel buio di una sala cinematografica il giovedì, anche ci molestassero non potrebbero essere accusati di molestie proprio per via del rapporto pregresso e amichevole che li lega a noi. Portando all’estremo è come dire che un marito non può essere accusato di stuprare la moglie proprio in qualità di marito. Possibile? Sembrerebbe.
Inutile sottolineare quanto la questione sia inaccettabile, e torni di stretta attualità l’aggiornamento del diritto sulla questione molestie. La molestia sembra non trovare la giusta considerazione né da parte della cultura (le donne che molestano sono additate) né dalla parte della legge. C’è disperatamente bisogno di una norma che definisca meglio il reato. Ma soprattutto, lo condanni.

Melba Liston e il suo trombone

Melba Liston: siamo nel Missuri intorno agli anni ’40 del Novecento e questa piccola bambina si innamorò di uno strumento particolare, il trombone. Inizia a studiare da sola, ogni giorno dedicava a quel grande strumento molte ore e alla fine, la sua passione è stata premiata. Melba è stata la prima donna a suonare il trombone in una band arrivando a suonare con grandi nomi della musica jazz come Dexter Gordon o Billie Holiday.

Anna de Carbuccia: il tempo é finito!

La foto scattata a Pantelleria, tra i barconi dei migranti distrutti e ammucchiati, ha «l’altare del tempo» con la clessidra rotta. E dice che il tempo è finito, dunque. Uno dei più grandi fenomeni migratori che la storia abbia mai registrato, si sta infrangendo contro l’ottusità della paura e della non accoglienza.
Lo strumento che misura il tempo con la sabbia che scorre tra due ampolle è uno degli oggetti (l’altro è il teschio che rappresenta la vanitas) con i quali la fotografa artista Anne de Carbuccia costruisce i suoi altari del tempo che sistema sul paesaggio che fotografa.