Ci lascia la Dottoressa Olga Naso
Ci lascia Olga Naso!
Cara Olga, chiunque ha avuto il privilegio di incontrarti non dimenticherà mai la tua levatura eccezionale in tutti i campi a partire da quello della sensibilità e della bontà. Sono certa che in tantissimi piangiamo la tua fine terrena certi che la tua anima starà sempre accanto a chi ha bisogno e continuerà a dare conforto. Ci ritroveremo!
Specialista in Anestesia, Rianimazione ,
Ostetricia e Ginecologia . Dal ’67 all’87 Assistente ordinario all’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore presso la cattedra di Anestesiologia e Rianimazione. Dall’87 al ’95 Medico del Senato della Repubblica. Dal ’95 al 31 Dicembre 2007 Responsabile del Servizio Sanitario del Senato della Repubblica. Successivamente consulente, tutt’ora effettiva, per i problemi che attengono la salute della donna. Socia e membro del direttivo di IrisRoma dal 2008.
Julia Morgan: Rivoluzionaria dell’architettura
A volte succede di trovarsi di fronte a un grande personaggio ma noi, distratti forse anche dal fatto che sia (solo) una donna, l’abbiamo un po’ trascurato.
Questo è stato il caso di Julia Morgan, nata nel 1872 e che, fin da giovanissima si era interessata al mondo dell’architettura. Mai sentita? Sì, molto probabile. Infatti di rado viene nominata nei libri di storia dell’architettura e, neanche nei super classici, pare facile scovare il suo nome.
Nata a San Francisco, e cresciuta nella vicina Oakland, la giovane Julia si era appassionata da subito all’architettura. Iscritta inizialmente alla University of California di Berkeley, aveva dovuto scoprire che un programma di architettura no, lì ancora non esisteva. Aveva quindi studiato Ingegneria. Laureata con lode in Ingegneria Civile nel 1894, (unica donna a seguire corsi di matematica scienze e ingegneria), era diventata membro dell’Association of Collegiate Alumnae (oggi American Association of University Women).
Incoraggiata dall’architetto Bernard Maybeck, incontrato a Berkeley, si era infine avventurata a Parigi per provare le selezioni dell’École Nationale Supérieure des Beaux-Art, e perseguire il sogno di diventare architetto. Superate le selezioni, arrivata tredicesima su 376, e nonostante la scuola francese non avesse mai permesso a una donna di studiare architettura, proprio nel 1897 erano state aperte, grazie anche all’azione di un’associazione di donne artiste, le iscrizioni a giovani studentesse.
Laureata così anche in architettura nel 1902, era tornata a casa nel 1904 diventando la prima donna in California ad ottenere una licenza, (grazie anche ad una gara per il teatro realizzato nel campus di Berkeley). Dopo aver cominciato a lavorare per l’architetto John Galen Howard, impegnato a Berkeley come supervisore al progetto dell’università, riuscirà ad aprire un primo suo studio a San Francisco nel 1904. E proprio quell’anno, Julia Morgan avrebbe completato la sua prima importante struttura in cemento armato, El Campanil: una torre di 20 metri al college femminile Mills di Oakland.
Proprio quella ormai memorabile torre, solo due anni più tardi, nel 1906, sarebbe sopravvissuta quasi totalmente indenne al devastante terremoto di San Francisco. Un terremoto che avrebbe distrutto l’80% degli edifici della città ma che, insieme ai suoi ottimi lavori, le avrebbe offerto l’opportunità di disegnare e costruire molte case, chiese, uffici e strutture scolastiche ed educative, raccontati anche dal libro di Mark Anthony Wilson Architect of Beauty. In quegli anni avrebbe progettato la St. John’s Presbyterian Church e il Berkeley City Club (con la sua spettacolare piscina oggi ancora utilizzata).
Nel 1907 avrebbe aperto un nuovo studio al tredicesimo piano del Merchant Exchange Building, nel cuore del distretto finanziario della città, dove avrebbe lavorato per la sua intera carriera.
Utilizzando costruzioni rinforzate in cemento armato aveva riscosso successo e raccolto la prima importante sfida della sua vita: quella di ristrutturare – in meno di un anno – il Claremont Fairmont hotel di Berkeley.
Un’opportunità che le portò grande fama e che la fece conoscere come un abile ingegnere e architetto capace e di grande professionalità. L’aumento delle commesse, dopo quel tragico 18 aprile 1906, le aveva portato grande stabilità economica e, sempre accolto con la solita serietà professionale, anche un incontro molto speciale: quello con Phoebe Hearst, madre del grande magnate del legno e dei giornali William Randolph Hearst.
Positivamente impressionata dal suo lavoro al Fairmont Hotel, la signora Hearst l’avrebbe infatti contattata per la realizzazione del progetto di Asilomar, nella penisola di Monterey.
Così, sarebbe definitivamente entrato nella vita professionale di Julia Morgan il signor Hearst, per il quale avrebbe dato vita, sul tratto di costa a sud di San Francisco, al progetto che sarebbe stato conosciuto come il suo più grande e famoso: Hearst Castle, a San Simeon. Sì, proprio quel castello che oggi viene annunciato da cartelli turistici sulla HWY 1, a circa 370 km da Los Angeles e poco più da San Francisco.
Nel 1919 quindi, Mr. Hearst e il suo personale architetto Julia Morgan, si accingevano a metter mano a questo immenso progetto, che è proprio quello di Hearst Castle, in una proprietà oggi di circa 250 mila acri e affacciato sulla costa Pacifica, in quella parte che il miliardario avrebbe battezzato come la Cuesta Encantada, conosciuta ovunque come quella del Castello.
E di quel Signor Hearst, a ben pensarci, ne abbiamo già sentito parlare, anche grazie al mondo del cinema. Sì, perché proprio lui, nel 1941, era stato l’ispirazione, e poi il protagonista, del primo film di Orson Welles. In Quarto Potere (Citizen Kane), il venticinquenne Welles si era proprio ispirato a Mr. Hearst per raccontare una storia che parte da una slitta in un giorno di neve e finisce in ricchissima solitudine. E che sarebbe stata scelta come miglior film statunitense di sempre dall’American Film Institute e dalla BBC.
L’enorme e sfrontata ricchezza di Mr. Hearst, venne rappresentata anche solo nella spettacolare piscina Neptune, dove Julia Morgan aveva creato una delle piscine più lussuose di sempre, con marmi bianchi e statue classiche lungo un ovale di oltre trenta metri. L’architetto Charles Moore ne parlò come di una grande sala da ballo liquida, e Stanley Kubrick l’aveva usata in scene nel film Spartacus del 1959.
Nel 1914, Hearst era riuscito a portarla anche a Los Angeles, all’angolo di Broadway e 11th strada, per la realizzazione dell’edificio del Los Angeles Examiner (chiuso nel 1989 e oggi riconvertito in uffici chiamati «creativi» che ospitano avvocati e banchieri).
A Oakland, sempre grazie a Phoebe Hearst, Morgan sarebbe entrata in contatto anche con il YWCA (Young Women’s Christian Association), subito dopo che la signora Hearst l’aveva scelta per l’organizzazione della centro estivo per conferenze di Asilomar.
Non più di proprietà di YWCA, ma dello stato della California, il complesso è in Pacific Grove vicino a Monterey e di WWCA, ne progetterà e costruirà molti altri; oltre che in California, anche in Arizona, Utah e Hawaii. E poi ancora, altri a Oakland e nella China Town di San Francisco, dove avrebbe studiato l’architettura tradizionale cinese. (YWCA da poco restaurato dalla Chinese Historical Society of America).
La consapevolezza che Julia Morgan abbia distrutto tutti i suoi progetti alla fine della sua carriera, le ha conferito un’aura mistica e David Weingarten, nel suo libro Bay Area Style, la chiama, per la sua grande riservatezza, una Greta Garbo della Baia.
Aveva voluto che tutti i suoi progetti fossero bruciati, ma oggi sappiamo che molti suoi appunti e lettere sono conservati al California Polytechnic State University di San Luis Obispo. Avrebbe continuato a progettare edifici per la famiglia Hearst e altri clienti fino al 1940, quando decise di chiudere l’ufficio al Merchant Exchange Building. Il suo stile eclettico, ormai, non era più di moda. L’AIA (American Institute of Architects) l’ha però nominata nel 1914 come prima donna vincitrice dell’ambita Gold Medal. Da non dimenticare che, al momento della sua morte, nel 1957, non furono spese parole sul New York Times per darle l’ultimo saluto. Ma oggi, qualche parola è finalmente arrivata proprio all’interno della rubrica «Overlooked No More», quando il quotidiano le ha finalmente dedicato, il 6 marzo 2019, un lungo saluto. Sessantadue (62) anni dopo la sua scomparsa.
Beatrice Cassina ( dal Web )