Le donne detenute nelle carceri italiane

Le donne detenute nelle carceri italiane

Tra le pieghe delle statistiche sulla detenzione, tra gli slogan che legano indissolubilmente immigrazione e delinquenza, 2.448 individui sono dimenticati dall’opinione pubblica e, spesso, dalle istituzioni: sono le donne detenute nelle carceri italiane.

Sono quindi 2.448 donne invisibili, poco più del 4% dei detenuti in Italia, i quali al 30 settembre 2017 sono 57.661, circa 7.000 in eccesso rispetto alla capienza regolamentare delle carceri. Cifre che dicono tanto, che sono già severe nei confronti delle condizioni umane dei reclusi maschi. La condizione delle donne detenute, una risibile percentuale sull’albo delle statistiche del Ministero della Giustizia, da anni a questa parte continua a presentare criticità.

 L’assurdo oblio in cui versano le minoranze è un terribile vizio delle istituzioni, un’abitudine diventata regola: minoranze etniche, religiose e quella delle donne detenute, che non fa eccezione. In Italia sono presenti solamente quattro carceri unicamente femminili: questi istituti – a Trani, Roma-Rebibbia, Empoli, Venezia-Giudecca e Pozzuoli – ospitano il 25% delle donne detenute. Il restante 75% è malamente gestito nelle carceri maschili, in spazi ritagliati, obsoleti, senza opportunità né possibilità di condurre una vita dignitosa.

Se lo scopo che si prefigge la detenzione è la riabilitazione dei reclusi, il loro reinserimento nella società, allora le istituzioni italiane stanno fallendo. Le donne detenute sono gestite in modo a dir poco approssimativo, in condizioni di vita ben peggiori di quelle dei reclusi maschi.

Proviamo a raccontare il dramma delle donne detenute nelle carceri con due focus su altrettanti istituti, quello di Pozzuoli, femminile, e quello di Genova-Pontedecimo, maschile.

Il carcere di Pozzuoli, in provincia di Napoli, è suddiviso in tre piani e altrettante sezioni, a seconda della pena da scontare e dei reati commessi dalle donne che ne sono inquiline. Della situazione all’interno della struttura quasi nulla era noto fino al 2015, solo qualche cenno storico sulle peripezie dell’edificio nel corso dei secoli.

Nel maggio 2015 la svolta: una lettera anonima, dopo qualche mese di censura e silenzio epistolare, viene recapitata al comitato “Parenti e amici delle detenute del carcere di Pozzuoli”. Del testo integrale, che merita di essere letto approfonditamente, sono citati di seguito alcuni passaggi che raccontano quello definito come “inferno di Pozzuoli”: sovraffollato, con assistenza medica precaria e prezzi esorbitanti anche per i beni di prima necessità, violenze verbali e minacce, prostituzione. Un inferno, appunto.

«Sono una detenuta di Pozzuoli e vi scrivo […] perché in questo “inferno” che noi viviamo, andiamo avanti solo con le minacce dei rapporti, anche per una sigaretta, che è l’ultima cosa che ci è rimasta qua dentro, in questo inferno che è così facile ad entrare, ma così difficile ad uscire.
[…] In ogni stanza viviamo in 10 persone […], i prezzi qui da noi anche sono un abuso di potere. Paghiamo tutto, non di più, ma addirittura il doppio. Anche le cose di prima necessità, come la carta igienica.[…] Parliamo anche un po’ del servizio sanitario. Qua per prima cosa anche se qualcuno di notte sta male l’assistente fa finta di non sentire, perché l’infermeria la notte non vuole essere disturbata. Quindi devi aspettare la mattina che passa il carrello, quel carrello sempre pieno di psicofarmaci che vogliono darci sempre. Questo sempre per farci addormentare e quindi per non essere disturbati. […] Vorremmo che questa lettera venisse pubblicata su qualche giornale affinché tutti vengano a conoscenza che qui non è un carcere, ma è solo l’inferno, un inferno che siamo costrette a vivere.

Grazie

Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli

(Inferno di Pozzuoli, tanto è uguale)

[…]

Ma lo Stato questo lo sa? O conviene anche a loro?»

Di Andrea Messera

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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