Amalia Bruni nella Giornata dell’Alzheimer

Amalia Bruni nella Giornata dell’Alzheimer

É una cascata di eventi che determina la malattia di Alzheimer. Li abbiamo individuati quasi tutti ma ancora non riusciamo a scrivere il lieto fine – ammette la neurologa – Un misterioso interruttore biologico  innesca la malattia. Ci sono voluti oltre 30 anni per risalire alle sue origini e 11 anni di studi affannosi di biologia molecolare per isolare il gene alterato».  Il “mostro”, l’AD3, (detto in seguito PS1) è stato catturato nel maggio del ’95: aveva la stessa mutazione nelle famiglie analizzate, dunque, un’ origine comune. Gli studi condotti dalla Bruni e dal suo team furono pubblicati su Nature.

La patologia, nella sua forma più diffusa,  riguarda 600mila persone e cresce con l’invecchiamento della popolazione. Lentamente e inesorabilmente, ti spogli delle tue facoltà, ti riduce a un vegetale. E se è tristissimo, quando questo accade più frequentemente, a 70-80 anni, è tragico quando, per un errore genetico, come nei miei pazienti, tutto ciò accade a 40 anni!

Abbiamo ricostruito un albero genealogico che, a partire dal 1600, racchiude oltre 34.000 soggetti sparsi nei secoli e per il mondo che fanno parte di una unica immensa famiglia. È in questa famiglia che si trasmette, senza risparmiare alcuna generazione, l’Alzheimer a esordio precoce, quello ereditario. Sono stati identificati almeno 147 malati e 21 trasmettitori obbligati che hanno presentato e presentano una stessa forma della malattia di Alzheimer e ovviamente una stessa causa. Il modo e la sequenzialità sono sempre uguali nel tempo e nello spazio. Chi è malato la trasmette alla metà dei figli. Non ha importanza essere nati a Boston e Parigi o a Lamezia. Non ha importanza essere vissuti prima o dopo la scoperta degli antibiotici. Uno studio che è  un patrimonio mondiale al quale hanno contribuito in modo decisivo i calabresi, sia gli scienziati  sia  le famiglie colpite  dalla malattia che spontaneamente si sono sottoposte alle indagini. E la ricerca continua: attualmente sono in corso di valutazione i dati riferiti a nuovi studi sulle forme genetiche, eseguite su soggetti a rischio dalla nascita.

Il dolore cronico a Nardodipace

Il metodo di studio della Bruni  è tornato utile anche per un’indagine sulla popolazione di Nardodipace (Vibo Valentia) condotta 5 anni fa. La neurologa ha affiancato l’endocrinologo Giovanni Cizza, del National Institutes of Health,  in una ricerca sulla fatica cronica, identificando le mutazioni del gene della proteina di trasporto del cortisolo associate ad un quadro clinico di dolore cronico. I risultati sono stati pubblicati  sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism. Una precedente indagine era stata condotta da un medico australiano su una famiglia originaria del posto, emigrata in Australia.

Rita Levi Montalcini a Lamezia

Perfino Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la medicina nel 1986, era accanto alla Bruni quando, prima della nascita del centro di neurogenetica, aprì a Lamezia Smid-Sud, Studio multicentrico italiano per la demenza organizzato dal neurologo toscano Luigi Amaducci.  Parteciparono i migliori scienziati. Avevamo finalmente un grande tavolo dove poter srotolare gli alberi genealogici. Un computer per poter calcolare direttamente i nostri dati, fino a quel momento inviati a Parigi per l’informatizzazione. Anche il sogno telematico dell’epoca, il fax, era ormai a portata di mano! Non avremmo più dovuto aspettare 15 giorni per una risposta, avremmo avuto colloquio in tempo reale con i collaboratori di svariate parti del mondo che stavano diventando numerosi». Un’esperienza durata pochi anni. La ricerca veniva messa in discussione, considerata un lusso superfluo, senza speranza. Ma era  quell’idea nuova  di coniugare la storia e la tecnologia americana, la rivisitazione scientifica dei caratteri dei calabresi,  di ricercare nella vita chiusa dei piccoli paesi,  nella prolificità, nell’ “aggregazione tribale” delle famiglie, che destava perplessità. Il progresso aveva inculcato  l’idea che per fare ricerca fossero necessari solo  attrezzature e macchinari». Da qui  è partito il  centro di Neurogenetica: un laboratorio in cui coinvolgere i calabresi, rendendoli  soggetti attivi, i promotori della ricerca.

La chiusura annunciata

La Regione Calabria, con la legge n.37 del 10.12.1996 ne ha sancito la costituzione. E  11 anni dopo, una legge regionale (n°9 dell’11.05.2007) ne determinava il finanziamento per 500mila euro annui. Ma di fatto, dal 2010 il commissariamento della Sanità regionale ha progressivamente definanziato la struttura. Il centro, conosciuto nel mondo per l’eccezionale  livello delle sue ricerche, quei soldi non li ha mai visti. Amalia Bruni amaramente ne ha annunciato la chiusura per mancanza di fondi.

Le prospettive in attesa che il centro di Neurogenetica diventi un Irccss

Ma in una recente riunione con  il delegato regionale alla Sanità Franco Pacenza  è stato stabilito che «per il 2018 saranno destinati al centro di Neurogenetica 200mila euro e assegnate alla struttura, con il coinvolgimento della Asp di Catanzaro, un neurologo e tre unità supplementari. L’obiettivo finale è trasformare  il centro regionale di Neurogenetica in una gemmazione degli Irccs, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico». La Bruni per il momento sta a guardare. Ma non per molto. La comunità scientifica mondiale segue con apprensione l’evoluzione della situazione. E io non intendo buttare all’aria il lavoro di una vita. Un impegno eccezionale che ha coinvolto anche la mia vita personale, mio marito e i miei figli.  Qui corriamo il rischio di diventare un “visitificio”.  Invece serve fare ricerca.  Del resto, nonostante tutta la mia disillusione, ho ancora nella testa quell’idea romantica della mia gioventù: fare qualcosa per la mia terra, contribuire al cambiamento

Da Calabriacult

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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