Carmelea da GRETA secondo Quaderno dell’8 Marzo di sos KORAI
Sono nata dopo la guerra del 15/18 a Tropea e qui ho sempre vissuto e camminato. Mio padre si chiamava Michele ma è morto quando ero troppo piccola per ricordarlo, ricordo solo che morì all’ospedale vecchio. Con mia madre e mia sorella Vincenzina abitavamo vicino la Chiesa della Pietà.
Eravamo povere ma la gente ci voleva bene e ci aiutava. Dopo la guerra la fame “cantava cu l’angiuli” e in inverno il freddo ci faceva battere i denti fino a consumarli. Mia ma- dre diceva sempre che d’inverno “cu eppi focu campò, cu eppi pani moriu”.
Io non ho mai voluto sposarmi, marito e figli non mi sono mai passati per il cervello. Ho sempre camminato per le vie di Tropea per fare qualche lavoro, certe volte mi davano delle commissioni, altre volte andavo a portare del latte o della farina fuori Tropea. La gente si fidava di me e quando riportavo il resto me lo lasciava per mancia.
Mia sorella invece stava quasi sempre a casa, ma si sistemava come se dovesse uscire. Tutti i giorni si lavava alla fontana e si metteva il rossetto. Ogni tanto metteva al mondo un figlio, un figlio della Madonna, ma molti sono morti ancora piccoli. Chi riusciva a sopravvivere lo mandavamo all’asilo dei poveri, le suore gli davano l’olio di fegato di merluzzo, così i bambini non crescevano rachitici. Nelle vie di Tropea la miseria era ovunque. Nei bassi le persone vivevano insieme agli animali in stanzoni dalle pareti luride e il pavimento era di terra battuta. Mi ricordo ancora per le strade tutti quei bambini magri e pallidi che andavano in giro scalzi a mendicare.
Quando di notte certi uomini rientravano a casa ubriachi il giorno dopo si raccontavano fatti terribili. Noi vivevamo sempre in quella casa vicino la Chiesa della Pietà, quando una sera venne a bussare la sindachessa. Io me la ricordo sempre ben vestita con i capelli legati a trecce, ma quando aprimmo la porta lei ci apparve coi capelli lunghi e sciolti mentre si batteva il petto. Ci disse che volevano cacciarla, che volevano cacciare “la mamma nostra”, che il giorno dopo dovevamo votarla se volevamo bene alla nostra sindachessa.
Quando ci fu assegnata la casa popolare giù alla Marina per noi fu un sollievo. Finalmente avevamo l’acqua in casa e il bagno. Tutti i giorni mi alzavo presto e cominciavo a risalire la strada sotto il Vescovado. D’estate mi mettevo a raccogliere i capperi che crescono sulle mura a fianco la strada. Lo faccio anche adesso che sono vecchia, mi arrampico piano piano e riempio le buste che porto sempre con me. Prima da quella strada passavano solo muli e carretti, ma col trascorrere degli anni ho visto sempre più automobili e motorini. Prima mi facevano paura, rischiavo di essere investita, ma poi mi sono abituata e appena posso salgo prima dell’alba quando non si vede nessuno.
Sulla spiaggia davanti al Preventorio una volta i pescatori tenevano le barche all’asciutto e le loro lunghe reti stese sotto il sole. Prima del tramonto, dopo una faticosa giornata di cammino, me ne andavo in un angolo di quella spiaggia dove non c’era nessuno e là me ne stavo mezz’ora a fare il bagno, nel mare bello di Tropea. Poi quella spiaggia in estate si è riempita di persone, ogni anno sempre di più, non solo di tropeani, ma anche di forestieri.
Dopo hanno costruito il porto e quella spiaggia è sparita, molti di quei pescatori sono morti e i loro figli sono partiti lontano per cercare lavoro.
Mi ricordo alla Marina la casa per gli orfani e quel santo di Don Mottola, lui mi voleva bene, zoppicava e parlava a malapena, ma quando passavo da lì aveva sempre qualcosa da darmi e se non c’era lui veniva la signorina Irma. Quanto era bella la signorina Irma! Sorrideva sempre quando mi regalava qualcosa.
Oggi quando ritorno per le strade dove sono nata vicino la Chiesa della Pietà, vedo che in quei bassi, dove una volta vivevano le persone più povere, adesso ci sono negozi, ristoranti e bar. Prima passando da là coglievi solo fame e miseria, adesso puoi trovare di tutto. Quando vado a sedermi nei bar per riposare mi regalano dolci e bibite, all’alimentari mi danno il panino col prosciutto, alla Farmacia sul Corso non mi fanno pagare le medicine. Ma al Borgo non ci sono più quelle signore che mi regalavano i fichi secchi alla festa di “Tri da Cruci”, anche là al Borgo è pieno di negozi nuovi, non ci sono più i fabbri e i calzolai. A “Porta Nova” quando salivo dalla Marina una volta c’era il mercato, adesso lo hanno spostato sotto la Stazione.
Al Tondo, al Labirinto, al Piano Regolatore prima c’erano orti e giardini, oggi è tutto case e palazzi fino al Campo. Tropea è cresciuta, è diventata più grande, ma io continuo a camminare. Appena fermo qualcuno gli dico “gnuri meu” o “riggina mea” e mi regalano qualcosa. I tropeani mi vogliono bene e mi dicono sempre: “Carmelea sì tu a riggina i Trupea”.
Tanti forestieri quando mi vedono camminare mi fanno la fotografia, certi mi hanno pure fatto il ritratto. Oggi vedo che tutti stanno bene, i figli di quelle famiglie povere hanno fatto i soldi, c’è chi ha il ristorante, chi il negozio. Eccome li ricordo quando facevano la fila per la minestra al Convento della Sanità! Di Carmelea loro però non si sono dimenticati, mi vogliono bene e mi regalano sempre qualcosa. Io continuo a camminare, anche se sono zoppa e non ci vedo più molto bene, cammino piano piano come una “hialona”.
L’ ospedale l’hanno spostato al Campo e il Preventorio alla Marina lo hanno chiuso, ma a me sembra che le persone malate sono sempre di più. Per le strade fino alla Pineta trovo sempre siringhe buttate a terra… Anche se oggi tutti stanno bene, in questo tempo curioso vedo ovunque scandali e vrigognerie.
Adesso che sono vecchia mi aspetta il camposanto, ma prima voglio continuare a camminare per la mia Tropea. I bambini oggi stanno bene e vanno a scuola. Quando mi vedono per strada mi chiamano in coro: “Carmelea, Carmelea…”, e io gli rispondo: “A marina, a marina”.
Alle “Tre Fontane” mi riposo un pò e bevo l’acqua fresca, passo per i negozi e raccolgo qualcosa, i fotografi tengono la mia foto nella vetrina e in un bar hanno pure il mio ritratto, la gente continua a volermi bene.
Poi, prima di tornare a casa,vado in Cattedrale, prego la Madonna della Romania e penso ai figli di mia sorella, a quanti se n’è chiamati in Paradiso, adesso sono figli della Madonna e angeli innocenti che mi aspettano.
Si sta facendo sera, la luna è là che brilla sopra la Micalizia.
La scala del Vescovado è ancora lunga e la strada ancora di più, ma piano piano arriverò a casa mia. Domani se starò bene andrò alla spiaggia vicino la Rotonda e mi farò il bagno nel mare bello di Tropea per poi riprendere il mio cammino.
Oggi ho camminato molto e sono troppo stanca, il sole è tramontato davanti l’Isola e io pure come fa il sole ogni giorno me ne vado a riposare giù alla Marina.
Dario Godano