Francesca: la Regina di Scordovillo

Francesca: la Regina di Scordovillo

Francesca: la Regina di Scordovillo
In un caldo pomeriggio di luglio, con le ali della mia sfrenata fantasia, che parte in quarta quand’é alimentata dalle suggestioni giuste, salgo sull’auto del mio amico, videoreporter di LaCTV Saverio Caracciolo.

Direzione Scordovillo, il campo Rom di Lamezia Terme considerato da tanti una discarica a cielo aperto e anche un fortino presidiato da violenze e degrado. Ci vuole coraggio a vivere quest’avventura ma la posta in gioco é alta: scoprire un pezzetto d’anima di un popolo odiato e disprezzato dalla storia.

A me piacciono gli Zingari ma quando mi azzardo a dirlo vengo quasi sempre “divorata” da chi mi sta accanto e solitamente mi apprezza. Sono affascinata dai ” Figli del vento” tanto da credere d’essere stata anch’io una gitana in una precedente vita ma, molto più realisticamente, l’atteggiamento nasce dall’influenza materna di accoglienza delle zingare che regolarmente frequentavano la nostra casa, commarelle le chiamava la mia mamma sempre pronta a confortare le loro pene e a offrire un pò d’aiuto in cambio di palettine di ferro.

Sull’auto di Saverio, che sfreccia veloce nella mia mente affascinata da un suo splendido video, la tensione è sempre più palpabile man mano che la distanza dalla metà si riduce.

La natura che ci circonda d’improvviso muta volto diventando aspra, dura, arida, insudiciata e bistrattata dall’ottusità di noi umani. Le erbacce sono l’unico elemento di bellezza e il resto é bruttura: i rifiuti accatastati e un fetore nauseante avvolgono tutto.

Il lamento di una fisarmonica spezza la tensione e ” Il cuore rallenta la testa cammina in quel pozzo di piscio e cemento in quel campo strappato dal vento a forza di essere vento (1)”

Topi morti, cassonetti puzzolenti, panni stesi lavati senz’acqua corrente, niente luce solo il lume della luna e delle stelle, lamiere contorte per tetti.

“Si ricordano che siamo Italiani solo quando ci sono le votazioni e promettono, promettono…ora dicono che ci cacceranno ma noi non vogliamo lasciare Nicastro, noi vogliamo solo un pezzo di pane sincero e poi morire qui dove anche i topi ci conoscono e ci vogliono bene, sono buoni con noi, siamo amici. Siamo qui dalla prima guerra mondiale, dal ’15 , siamo Zingari e siamo Italiani, vorremmo tanto far capire agli altri chi sono veramente i Rom”

Così grida alla telecamera una donna, giovane, forte, decisa, con gli occhi di cielo e i capelli di carbone.

Vedo tante altre donne: intrecciano capelli, lavano poveri stracci in vasche di plastica rotte. Un uomo con un ghigno poco simile a un sorriso suona una fisarmonica, balla e canta:” Mia moglie é un tipo ostico ma l’omini senza fimmini non ponnu stá”

Tante donne si fanno riprendere e parlano dei figli malati, delle case ammalorate, dei patimenti quotidiani, la dolenza più costante e veemente è contro i politici che da sempre assicurano e non mantengono, che sfruttano e non danno benessere, che si riempiono la bocca di giustizia ma non si impegnano a costruirla dando a tutti i cittadini pari opportunitá e uguaglianza di diritti e poi invettive pungenti contro alcuni dei più recenti governanti che odiano gi Zingari e vogliono distruggere la loro cultura.

Nel Campo sono tante le creature femminili, d’ogni etá, alcune tra le più giovani, hanno un linguaggio più evoluto che appalesa tracce, sia pur minime, di istruzione. É difficile per loro abbracciare il sapere offerto dalla Scuola, mi torna alla mente una ragazza, anche lei lametina e zingara, conosciuta agli inizi della mia carriera di docente, che si era laureata condannandosi così all’infelicità perpetua: rinnegata dal suo popolo, che si sentiva tradito dalla sua scelta, disprezzata dai colleghi per la “puzza” di zingara, priva d’identità era caduta in depressione e si era suicidata.

A un tratto, nel Campo maledetto, la scena cambia, tutto scompare per lasciare il posto a Lei, solo a Lei, la protagonista di un copione misterioso e sconosciuto.

É Francesca: la matriarca, la regina di Scordovillo.

Ha 96 anni, ha avuto 10 figli, è molto malata, la sua é una vecchiaia rubata.

Rosso, é rosso il colore di Francesca, la Gitana vegliarda dal viso segnato profondamente da una vita complicata.

Il rosso lo vedo sui suoi abiti, nel cibo che tocca con le mani, nelle ferite del suo volto, nel fondo dei suoi occhi, nella sua povera dimora.

É rossa come il sangue la sua vita trascorsa arrampicandosi giorno e notte sulle montagne, salendo fin sulle cime con la carriola carica di delusioni e di amarezze ma anche di gioie e di sorrisi, col marito che andava a giocare a carte e tornava a casa carico di desideri, di delusioni e sogni inappagati.

” Ora, dalla mattina alla sera sto seduta qua, le mie gambe sono stanche, sognano pure loro le montagne ma non ce la fanno più. Da ragazza li portavo io i soldi a casa non come le altre compagne che dovevano riceverli dai mariti per fare un po’ di spesa. Tutti gli Zingari del Campo appartengono a me, sono carne mia, qui siamo al buio, nel luridume…quanto vorrei, per me e per loro, una casa buona, una casa da cristiana, non vorrei tutta questa porcheria che mi schifo pure a sedermi”

Francesca ha uno sguardo fulminante, una voce che arriva all’anima, una forza che ancora trasuda dalle sue carni martoriate dai segni della miseria più che del tempo, dalla sua figura promana una luce e un profumo che ti incantano al punto da non vedere più il degrado che circonda ogni cosa, a brillare su tutto é uno splendido colore rosso, il suo colore!

Sono rossi i fiori sul suo vestito nero, rosso é il suo fazzoletto, rosse le pennellate che inaspettatamente spuntano sulle pareti nere del suo tugurio. Rossa é la sua vita e rosso é il fuoco che ancora brucia nella sua straordinaria anima.

Il mio amico Saverio mi propone di andare veramente con lui a Scordovillo, s’impegna a trovare il modo di farmi entrare ma io non voglio farlo…ho paura.

Ho paura, ho paura che la mia elaborazione, frutto delle splendide emozioni suscitate dal suo video, crolli confrontandosi con la realtà.

Francesca mi rimane nel cuore e, nonostante tutto, mi appare come una Donna Libera, capace di guardare negli occhi il destino, senza paura, perfettamente padrona della sua femminilità.

Chiudo gli occhi e risento il magico canto che mi ha accolto all’inizio di quest’avventura dell’anima…

“…ora alzatevi spose bambine

che è venuto il tempo di andare

con le vene celesti dei polsi

anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare

questo filo di pane tra miseria e sfortuna

allo specchio di questa kampina

ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca

il punto di vista di Dio.(1)”

(1) F. De André, Khorakhane
Libera elaborazione di Beatrice Lento della storia di Francesca raccolta da Saverio Caracciolo di LaCTV nel Campo Rom di Scordovillo nel Luglio del 2018

Ph Saverio Caracciolo

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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