Franchetta Borelli: strega di Triora

Franchetta Borelli: strega di Triora

Era inverno, il 2 gennaio, di molti secoli fa… in una casa di pietra e antiche travi, adagiata nel suo letto di anziana signora, si spegneva un’anima intensa… si spegneva una donna che molto aveva visto e vissuto, che molto aveva sofferto e patito… una donna che sussurrò dal nero pozzo di dolore della tortura “io stringo li denti, e loro diranno che rido”… si spegneva una delle Streghe di Triora: Franchetta Borelli.In occasione di questo anniversario appena trascorso, ripercorriamo ciò che travolse la vita di quel piccolo paese dell’entroterra ligure.

Triora era, ed è, un piccolo paese arroccato nelle montagne della Liguria, a picco sul vuoto, a picco su boschi incantevoli, ricchi e selvaggi e sterminati, aggrappato alla roccia, roccia di cui son fatte tutte le case e i vicoli ancora oggi. Passeggiare nei nebbiosi mattini d’inverno per Triora consente di ascoltare antichi ricordi che aleggiano nell’aria da secoli… L’atmosfera si fa rada, ci si siede sugli scalini della Ca’botina, e si ascolta… se farete attenzione vedrete un alito di vento smuovere qualche vecchio e secco ramo, ed un sussurro giungere al vostro orecchio… è la voce di Franchetta, che narra, a modo suo, ciò che vide, ciò che visse, ciò che la rese forte e saggia, ciò che non la uccise e la rese immortale….
“Ricordo che era il 1587 ed era estate. Non l’estate allegra del raccolto, ma l’ennesima di povertà e carestia. Non avevamo nulla con cui nutrire le bestie e nulla da riporre nelle dispense per l’inverno… da due anni vivevamo di stenti, da due anni la disperazione si leggeva nei nostri poveri occhi, da due anni gli animali eran pelle e ossa e per ‘ste strade ci si arrampicava a fatica e curvi. Era colpa delle streghe, sicuramente colpa delle streghe… il Parlamento triorese si era riunito sapete? e così aveva deciso: sono le streghe sono le streghe sono le streghe! Avevan pagato cinquecento scudi per avere i loro processi! Morivamo di fame, ma i soldi li avevamo per trovare le streghe!

Quanta pura e quanto odio…

Rammento che in ottobre giunsero i vicari dell’inquisizione di Genova, nelle persone sciagurate e malvagie di Girolamo del Pozzo e di un altro suo compare di cui non conosco il nome. Rammento le sue parole aspre e dure, i suoi discorsi perversi ed osceni, e ancora oggi, che sono solo un povero alito di nebbia, ricordo bene la paura che riuscì a scatenare, ad alimentare, ad insinuare nell’animo di tutti i miei compaesani, ricordo i nomi che vennero crudelmente elencati: ecco le streghe! Ecco chi ha affamato bestie e bambini! E ricordo i volti stravolti, lo stupore e l’angoscia di chi venne strappato dalle braccia delle proprie famiglie e trascinato nelle prigioni.

Noi nemmeno le avevamo le prigioni… presero due case, le resero sicure e ci stiparono le streghe. Ci chiamavano baggiue, streghe, e ci sputavano addosso. Ma noi non avevamo fatto nulla…

All’inizio presero venti povere anime, poi un’altra dozzina, e poi anche i bambini. Venimmo tutti torturati. La mia amica Isotta ne morì. Era vecchia, aveva più di sessant’anni, ma non le risparmiarono nulla, come a me del resto. Morì e non poté nemmeno avere i Sacramenti povera anima… Confessarono tutti: venivano appesi e lasciati cadere, le braccia assumevano pose così orrende ed innaturali… e chi non avrebbe confessato?

Che inverno di dolore e di orrore… con i boschi che si riempivano di lamenti… con le fonti che cantavano il nostro patimento.

A gennaio il Consiglio degli Anziani pensò che forse era troppo, che forse l’Inquisizione stava esagerando… ormai avevano coinvolto anche altre amiche mie.

Sapete io non ero una povera stolta, ma una signora per bene, e le signore per bene, da che mondo è mondo, non si toccano.

Ah che sospiro di sollievo quando il vicario Del Pozzo disse che noi non centravamo nulla, che tutte le accuse erano assurde… aveva ricevuto una bella strigliata dal suo vescovo! I ricchi non si toccano.

Il Consiglio non ne voleva sapere più nulla. Una pover’anima si era buttata dalla finestra per sfuggire alle torture ed era morta. Era troppo… ormai accusavano tutto e tutti… non controllavano nulla, si passava alla tortura e via!

Era troppo… e il consiglio, in quel gennaio, ricordo che voleva che il paese tornasse tranquillo! Oh il Podestà, quello Stefano Carrega, si difese strenuamente! Disse che loro il loro sporco lavoro lo avevan fatto con coscienza, scrisse al vescovo, ricordo ancora le parole, che “la volontà di questo populo è sempre stata et è (che) cotali malefiche totalmente si estirpino et si erdadichino da questi paesi e tutti ad alta voce in parlamento congregati hanno acceso animo e gridato e di continuo gridano che si estirpino”. (ndr: lettera data 20 gennaio 1588)
Quel mese di gennaio mi fu caro, sperai che tutto finisse. Loro se ne andarono, ma nulla finì. Le streghe vennero lasciate alla Ca’botina e alla Ca degli Spiriti, le “nostre prigioni”. Le lasciarono lì a marcire fino a maggio. Nessuno venne ad ascoltarle, nessuno si preoccupò di loro, nessuno pensò alla lunghezza delle albe in prigionia… nessuno.

Quando a maggio arrivò il nuovo Podestà, quel Gian Battista Lerice, le mie amiche negarono tutto ciò che la corda delle tortura aveva strappato alle loro lingue. Voi pensate che vennero credute? No, nessuno ascoltò le loro verità. Ancora Nessuno. Arrivò di nuovo l’estate e ricordo che a giugno, l’8 giugno, il commissario straordinario che il buon governo di Genova ci aveva mandato, un tale Giulio Scribani, iniziò a lavorare per chiudere la sporca e triste faccenda.

Volesse il cielo che mai lo avesse fatto…

Volesse il cielo che mai quel demonio avesse calcato il povero suolo del mio paese..

Volesse il cielo che lo Scribani fosse rimasto all’Inferno.

Ma il cielo non volle, e l’inferno sbocciò di nuovo tra i vicoli della povera Triora.

Quel folle disse che ci accoppiavamo col Diavolo, che uccidevamo donne, bambini e animali, e che rinnegavamo la Buona Vergine! Quel folle disse che le streghe erano in tutta la valle, e portò l’odore dello zolfo anche nei paesotti vicini! Che demonio, che oscenità, arrivò a chiedere che quattro poveracce di Andagna venissero bruciate vive. Vi rendete conto? Vive, tra le fiamme, senza aver mai nuociuto ad anima alcuna!

Alla fine, quando ottobre era ormai giunto, diciotto di noi vennero portate a Genova ed incarcerate. Volevano ucciderle. Non ce ne fu mica bisogno… morivamo come mosche lo stesso. Da troppo tempo non ci scompigliavamo i capelli al sole. Cinque di noi se ne andarono così, senza aver più visto i boschi e le fonti, senza aver più abbracciato i figli e i mariti… 
E dalla disperazione, le altre gridarono il mio nome. 
Io, Franchetta Borelli, venni arrestata quell’estate. Venni incarcerata e torturata. Dissero che io ero la più potente di tutte! Dissero che da fanciulla ero bella come il peccato e che mi davo a tutti. Io non confessai nulla, gli risi in faccia a quegli stolti. Ero ricca e vecchia, e forte. Io risi, e non gli dissi nulla. Mio fratello pagò mille scudi e me ne tornai a casa. Non avevo più carne sui piedi, me l’avevano bruciata… eppure io mi rifugiai lo stesso nei boschi. Quando tornai lo feci solo perché avevano arrestato il mio povero fratello. E loro ricominciarono a torturarmi, lo fecero per 23 ore di fila… Una volta sola avevo parlato, la prima notte di tortura, mesi prima, e da allora più nulla avevo detto. Rimasi zitta, o parlai delle mie amate castagne. Ormai era autunno e maturavano ed il loro profumo era caro al mio vecchio cuore… Non dissi nulla. Distrussero il mio povero corpo, ma io rimasi placida. Non piansi, risi…
Ci volle quasi un anno perché ci lasciassero tornare a casa.

Tornammo a casa al tempo del raccolto, proprio come quando tutto era iniziato. Era l’agosto del 1589.
Io, in tutta la mia lunga vita, non avevo mai sofferto così tanto, non avevo mai visto e udito tanto dolore…. e mai più ne avrei voluto vedere. Quando resi l’anima a Dio, il 2 gennaio del 1595, non pensai a coloro che avevano bruciato i miei piedi, distrutto le mie ossa e flagellato la mia pelle..

ma pensai al profumo delle castagne, al vento nei capelli quand’ero giovane e bella.

Pensai ai boschi e al vento, e in vento tra i rami dei castagni mi tramutai…”
Ho voluto narrarvi la storia di Franchetta in prima persona, come se la raccontasse lei, perché amo immaginarla come una vecchia saggia donna capace ancora oggi, dopo secoli, di narrare con semplicità l’orrore di cui l’uomo sa macchiarsi. Si dice che il sonno della ragione genera mostri. Così fu, a Triora, come a Salem, come in tutta Europa, per secoli e secoli. 

In questa giornata di neve riguardo le immagini della bella Triora e narro con voce sottile la storia di questa donna forte e coraggiosa. In vita amò così tanto questi boschi che pare ovvio pensare che, da spirito, lei ancora vi abiti, ancora rida leggera e guardi con benevolenza chi passeggia con rispetto tra i castagni….

“…io stringo li denti, e poi diranno che rido”

Franchetta Borelli
“I grit my teeth, and they say I laugh”

Franchetta Borelli
Note: Articolo scritto da Argante
Per una lettura storica precisa e ben datata e documentata vi rimando all’articolo di Andrea Gandolfo presente nel sito del comune di Triora:

http://www.comune.triora.im.it/Guidaalpaese/tabid/10686/Default.aspx?IDDettaglio=3930
Le tre bocche di cerbero di Stefano Moriggi
Bagiue – Le streghe di Triora – Fantasia e realtà di Sandro Oddo
I Segreti di Triora 
Il potere del luogo, le streghe e l’ombra del boia.

A cura di Maria Antonietta Breda, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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