L’ eroina mancata del DNA
Pochi sanno che nel 1963 sul podio per la consegna del Premio Nobel per la scoperta della struttura del DNA mancava uno scienziato il cui contributo è stato fondamentale: si trattava della ricercatrice Rosalind Franklin. Prematuramente scomparsa all’età di 37 anni per un tumore alle ovaie, ha condotto tutti gli esperimenti che hanno permesso di fotografare ai raggi X la struttura del DNA, e la cui interpretazione ha permesso di dedurne la struttura tridimensionale.
Rosalind Franklin dovette affrontare un ambiente ostile alle donne, che in parte la ostacolò nell’emergere nel panorama internazionale come scienziata, ma il suo forte spirito di indipendenza e la sua indiscutibile intelligenza le hanno permesso di imporsi comunque nella storia della scienza e sono arrivati fino a noi, tanto da far sorgere la necessità di una rivalutazione storica del suo lavoro.
Rosalind Franklin aveva 33 anni nel febbraio del 1953, quando sul suo taccuino di appunti scrisse che “il Dna è composto da due catene distinte”, due settimane dopo Crick e Watson costruirono il loro celebre modello della struttura del DNA, nel laboratorio di Cavendish a Cambridge.
Le “istruzioni” per costruire il modello arrivarono ai due scienziati per vie traverse, attraverso le quali vennero a conoscenza degli studi della Franklin, mai pubblicati in veste ufficiale. Wilkins, un superiore della Franklin, aveva, infatti, mostrato a Crick e Watson nel gennaio 1953 una fotografia del DNA fatta dalla Franklin, quella recante il numero 51, senza poter immaginare che da questa informazione i due scienziati sarebbero stati in grado di inferire la struttura del DNA, anche aiutati dalla lettura del volume di Max Perutz che riassumeva il lavoro dei principali ricercatori del centro, tra cui quello della Franklin. Watson nel suo celebre libro “La doppia elica” (1968) lascia intravedere le difficoltà che la scienziata dovette affrontare per poter continuare le proprie ricerche nel mondo della ricerca inglese decisamente ostile al genere femminile in quegli anni, nonostante il suo curriculum scientifico fosse eccellente.
Le difficoltà che dovette affrontare, unite alla prematura morte che non le ha permesso di ricevere il giusto riconoscimento, ne hanno fatto un’icona del movimento femminista nelle scienze.
Un riesame dei suoi carteggi, ha rivelato che la ricercatrice effettivamente soffriva molto l’ambiente in cui viveva, ma non tanto per il fatto di essere una donna, in quanto il maschilismo si manifestava solo in determinate occasioni e non tanto nella vita quotidiana, ma per la sua posizione sociale e religiosa, così diversa da quella degli altri personaggi che lavoravano al King’s College. Il suo disagio era tale, che appena le fu possibile si allontanò dalla struttura, anche se a detta dei suoi collaboratori, probabilmente era ad un passo da dedurre lei stessa la struttura del DNA. Dai suoi scritti non trapela nulla che riguardi un moto di amarezza o di dispiacere per questa mancata scoperta, operata dai due ricercatori basandosi sui suoi studi e a sua insaputa. Tutt’altro, nel resto della sua breve vita si dedicò agli studi del virus del mosaico del tabacco, sui quali produsse eccellenti lavori, e rimase sempre in più che ottimi rapporti con Crick, con il quale non solo scambiò una ricca corrispondenza epistolare ma passò molto tempo con i coniugi Crick, soprattutto durante i periodi di convalescenza della sua malattia.
Probabilmente mai avrebbe immaginato che la sua storia venisse in futuro interpretata come quella di un eroina mancata del DNA, e che al King’s College di Londra, che lei non aveva amato, le dedicassero addirittura un edificio, il “Franklin-Wilkins building”.
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