Le magare di San Fili, lasciatemelo dire, sono diverse.
In che senso le magare di San Fili sono diverse?
Per rispondere a tale domanda bisognerà dire, ovviamente riferendoci alla terminologia classica (dialetto cosentino – sanfilese) chi è o cosa è una magara?
Non biasimo gli ignoranti (perché di ignoranti, ossia di persone che non conoscono il significato del termine o del fatto, si tratta) che non sanno cosa si celi dietro la parola magara… dopotutto la parola magara è un termine legato al dialetto dei nostri anziani ed il dialetto dei nostri anziani, lo sappiamo benissimo, è una lingua tutt’altro che viva e vegeta.
Il dialetto sanfilese (cosentino?) proprio perché una lingua a rischio d’estinzione… non può più definirsi neanche dialetto. Il dialetto infatti è il linguaggio proprio di una determinata regione o città, contrapposto alla lingua nazionale, e quindi una lingua più viva, è il caso di dire, di quella ufficialmente riconosciuta.
La magara, se cerchiamo su internet o su un qualsiasi dizionario del (defunto) dialetto cosentino, viene segnalata come sinonimo di strega… e forse in altre zone ed in altri tempi di strega (nel significato dispregiativo del termine) veramente si trattava.
Ma le magare di San Fili, lasciatemelo dire per l’ennesima volta, sono diverse… e sicuramente non sono streghe nel vero senso della parola.
E allora chi o cosa sono le magare? … sempre navigando su internet mi sono imbattuto in un post che spiegava chi sono le mavare termine con cui si indicano in Sicilia (siamo, guarda caso, comunque nel Regno delle Due Sicilie) una sorte di streghe.
Strano a dirsi, in tale post ho letto esattamente cosa avrei voluto scrivere io nel cercare di spiegare chi sono o cosa sono le magare di San Fili almeno nell’immaginario che mi sono creato fin da quando ho emanato i miei primi vagiti.
«La “mavara” è, secondo la voce popolare, una conoscitrice di antichi segreti di magia, ella sa utilizzare le preziose virtù delle piante per guarire ma anche per avvelenare, sa preparare una fattura ma sa anche scioglierla, sa ridare l’amore perduto e farlo perdere a chi ce l’ha già, etc.
Molte giovani fanciulle ricorrono alle arti di questa maliarda e ciò che le chiedono è sempre la stessa cosa. suscitare l’interesse di un uomo in particolare per legarlo a sé, oppure far tornare un amante che se n’è andato… (non è il caso che io scriva come fa… è un po’ forte…)».
Tale post, ci dice l’autrice, è prelevato dal libro “Messinarcana” di Giandomenico Ruta.
Ed è proprio così, le magare di San Fili (mavare in Sicilia) sono sì le naturali depositarie della conoscenza di antichi misteri (ovvero di parte ciò che siamo abituati, per ignoranza in materia, a considerare delle arti magiche) ma non per questo possono essere considerate dei soggetti buoni solo da mandare al rogo in quanto servitori (servitrici) del male.
… e purtroppo di magare sul rogo, grazie alla Santa Inquisizione, ne sono finite tantissime.
Le magare (sarebbe bello sapere da cosa deriva questo termine) sono un po’ indovine, un po’ psicologhe, un po’ erboriste (arte tipica delle streghe durante il periodo che le ha viste vittime di una inconcepibile persecuzione), un po’ fattucchiere (che fanno la fattura o tolgono la stessa), un po’ zingare, un po’ druide, un po’ sacerdotesse della greca Ecate, un po’… sante e un po’ demonie.
Spesso, nel modo di esprimersi del popolo sanfilese (quello vero) non raramente abbiamo sentito qualificare qualche ragazza alquanto vispa (sveglia, eccessivamente intelligente e furba) con il termine “è na bella magareddra” in senso ovviamente più che positivo.
Nei secoli che ci siamo appena lasciati alle spalle (XIX e XX) contrapposto al femminile “magareddra” (donna appunto intelligente e furba) c’era il maschile “brigante, brigantieddru” (a qualificare il ragazzo intelligente e furbo).
Le magare di San Fili erano (qualcuno dice che lo sono tuttora) regolarmente interpellate per problemi di cuore e di salute: “ppe ru carmu” (tipico quello dei “cattivi”, ovvero dei vermi intestinali), per indovinare il futuro e “ppe ru for’affascinu” (in particolare per togliere il malocchio).
Di Pietro Per
… /pace ma… “si vis pacem para bellum”!