Mi chiamo Ottavio
…e sono morto a Pompei…
Mia madre non voleva che mi attardassi a giocare con gli altri bambini ma io avevo otto anni e mi sentivo un uomo. Non volevo dividere il giaciglio con lei e respirare il suo odore di spezie e di latte mentre mi stingeva a sé chiamandomi il suo piccolino. Non ero piccolo.
Quella mattina decisi di dimostrare a tutti che ero grande girovagando solo per Pompei. Era quasi ora di pranzo e, dimenticando le prediche di mia madre, rubai un frutto rosso e succoso, Giove non mi avrebbe punito.
E fu mentre lo assaporavo che accadde tutto. Sentii la terra tremare e un rombo possente librarsi nell’aria. Poi il cielo si oscurò e dalla cima della montagna si alzò un nuvolone di fumo.
Tremando mormorai “mamma” mentre il fumo si addensava, mentre le lacrime scendevano sulle guance …e poi non vidi più nulla, poi fu solo terrore.
Mi chiamo Ottavio e sono morto a Pompei…e ora so che non fu per l’ira di Giove, non fu per quella arancia.
Liberamente riassunto dal racconto di Carla Vangelista che immagina l’ultimo giorno di vita del bambino di Pompei ritrovato tra i resti dell’eruzione del Vesuvio