Un fiore sulla scrivania

Un fiore sulla scrivania

Intervista di Eugenio Arcidiacono a Tatiana Biagioni

” Se provi attrazione per una collega e metti un fiore sulla sua scrivania, non compi una molestia. Lo diventa se lei non gradisce e tu ripeti il gesto.”

Nel suo studio di Milano l’avvocato Tatiana Biagioni da anni ascolta le storie di donne che subiscono molestie sul posto di lavoro. Parla in modo pacato, ma si accalora quando le chiediamo di Asia Argento e del produttore Weinstein che l’ha violentata. «È vergognoso perché si cerca di deviare l’attenzione sul fatto che lei abbia denunciato dopo vent’anni, mentre ciò che conta è l’abuso che ha subìto. Quello che è accaduto a lei lo ritrovo in tante donne comuni che si sono rivolte a me: un uomo molto potente e di una certa età di fronte a una donna giovane in condizione di inferiorità. Come si fa a giudicare in modo così superficiale, a dire: potevi rifiutarti? Ogni donna reagisce in modo diverso e ogni situazione è diversa. Di norma non si denuncia: si cerca di andare avanti, cercando la strada che si ritiene meno dolorosa».

Perché non si denuncia?

«Il primo motivo è appunto la paura, del tutto fondata, di perdere il lavoro. Poi c’è la vergogna di essere giudicate dalla società o anche dai propri familiari. Una vergogna frutto del pregiudizio che si esplicita in espressioni come “un motivo ci sarà stato” o “se l’è andata a cercare”. Mentre è assodato che quasi tutti i molestatori sono seriali e quindi tendono a ripetere il loro comportamento a prescindere dall’atteggiamento della vittima. Eppure nei racconti che le donne mi fanno c’è sempre il senso di colpa per non essere riuscite a comportarsi diversamente».

Qual è il confine tra il corteggiamento e la molestia?

«Prima di tutto bisogna concentrarsi sul luogo, ossia il posto di lavoro. C’è una bella differenza se una battuta anche pesante viene fatta durante una cena tra amici o dal tuo capo mentre stai lavorando. Perché a un amico puoi rispondere per le rime, mentre con il tuo capo devi avere a che fare tutti i giorni, quindi non sei assolutamente libera. Poi la legge definisce la molestia un comportamento indesiderato che ha l’effetto di produrre un clima intimidatorio, offensivo e umiliante. Quindi assume il punto di vista di chi lo subisce, non di chi lo compie. Il quale può anche non avere lo scopo di molestare, ma se produce questo effetto, per la legge si configura così. In generale sul posto di lavoro non sono ammesse battute a sfondo sessuale: se un uomo le fa e vede che la collega non ride o cambia argomento, deve essergli chiaro che il comportamento è indesiderato. Così come se vede che la collega si ritrae quando lui cerca un contatto fisico».

Veniamo da decenni di conquiste dei diritti femminili. C’è stata una regressione?

«Negli ultimi vent’anni è accaduto proprio questo. Molti uomini di fronte alle accuse si indignano: “Ma come, io non l’ho toccata nemmeno con un dito…”. Perché identificano il molestatore con lo stupratore, ma non è così. Il problema è che spesso nemmeno le donne sono consapevoli di ciò che subiscono. Se il tuo capo ti invita a cena, tu rifiuti e lui te la fa pagare in qualche modo sul lavoro, allora la regola deve essere che si comunica questo comportamento ai responsabili aziendali e se non basta si fa una denuncia per molestie. Solo così questo fenomeno potrà finire».

Però nessun datore di lavoro ammetterà mai che è stato quello il motivo del licenziamento…

«In effetti è un problema, perché l’onere della prova spetta alla vittima e non è quasi mai semplice dimostrare le accuse. Però, dato che i molestatori sono seriali, si possono cercare altre testimonianze che avvalorino la denuncia. In più, la Cassazione ha anche sancito la possibilità di usare a scopi difensivi registrazioni audio, oltre a mail, chat e Sms».

Chi denuncia cosa può ottenere?

«Prima di tutto ogni atto conseguente alla molestia viene dichiarato nullo, dal licenziamento al demansionamento, al trasferimento. E poi si può chiedere un risarcimento del danno non patrimoniale».

La legge obbliga i datori di lavoro a tutelare l’integrità fisica e morale dei dipendenti. Quindi in caso di molestie anche loro sono responsabili…

«Le aziende dovrebbero essere le prime a denunciare, anche solo perché gli converrebbe da un punto di vista economico. Una persona molestata rende il 70% in meno, ma anche tutti quelli che le stanno intorno provano disagio e quindi sono meno produttivi. E invece c’è ancora la tendenza a lavare i panni sporchi in famiglia».

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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