Gigliola Curiel
Gigliola Curiel nasce e cresce a Trieste, in una famiglia di origini ebraica. Negli anni Trenta si trasferisce, insieme alla famiglia, a Milano dove conosce Carlo Bettinelli, rampollo di un’antica famiglia milanese che commercia nel ramo delle pelli. Si sposano nel 1938. Carlo muore giovane lasciando sola la moglie negli anni duri del fascismo e della guerra; nonostante tutto Gigliola riesce, grazie al suo carattere coraggioso, se non spregiudicato, a salvare la propria vita e quella della figlia che porta in grembo e a sfuggire alle persecuzioni antiebraiche.
Al termine della guerra Gigliola è costretta a rimboccarsi le maniche e decide di cimentarsi con la sartoria, attività che apprezzava fin da piccola quando a Trieste seguiva con passione l’attività della zia Ortensia che vestiva, nel suo atelier in centro, l’élite della società mitteleuropea di inizio secolo. Gigliola, decisa a mantenere alto il prestigio del cognome Curiel “quando può metter mano su vere stoffe, tagliarle e cucirle, apre una sartoria in via Durini a Milano, dove resterà fino al ’50. Comincia con dieci lavoranti, un tagliatore, una premier, ha clienti occasionali che non sono ancora le vere milanesi, perché queste non si sono ancora accorte di lei”1.
Negli anni a seguire l’atelier di Gigliola Curiel diventa una tappa fissa per le signore della Milano bene, che trovano nel negozio di via Borgogna (lì si era trasferita la sartoria negli anni Cinquanta) sia abiti d’alta moda per brillare nelle serate di gala, sia abiti da giorno raffinati per essere eleganti in ogni momento della vita quotidiana; tra le clienti più affezionate ricordiamo: la contessa Anna Cicogna, la contessa Mina Borromeo Pesenti Pigna, Ute Von Aichbichler, (in arte Ute De Vargas cantante lirica), Enrica Pessina Invernizzi, la contessa Maria Teresa Crespi, e poi Elisa Riva, Antonia Levi Broglio, la contessa Vassallo, Giuliana Brenner. Le avventrici sono tutte attratte “dall’inconfondibile linea curriellana”2 che valorizza il corpo femminile, inoltre indossare “un abito firmato Curiel è un traguardo che tante donne sognano quale indice di classe e di eleganza inconfondibili”3.
La poliedricità delle creazioni Curiel richiama anche l’attenzione dei buyers dei grandi magazzini, tra cui quelli di Bergdorf Goodman, istituzione nel mondo della moda newyorchese. A partire dal ’53 Gigliola, prima couturier italiana a sfondare oltreoceano, firma un contratto con l’azienda americana per la produzione stagionale di una linea in esclusiva. Dice la stilista di questa esperienza:
“Conoscono il mio gusto che coincide perfettamente con quello delle loro ricche clienti di Bergdorf Goodman, perché sono vestiti che si vendono cari in America […]. I nostri abiti hanno il vantaggio di essere eleganti e ricercati nei tessuti e nella lavorazione, ma nello stesso tempo sono abiti facili, femminili, piacevoli da indossare”.4
A partire dagli anni Cinquanta la moda vive un periodo di rivoluzione artistica capitanata dai giovani stilisti. Gigliola osserva con attenzione le nuove tendenze e decide con coraggio di ignorarle, forte del suo ideale classico di bellezza ed eleganza, basato sulle linee e le proporzioni; tutto ciò viene riconosciuto dalle giornaliste di moda, che lo descrivono in maniera esauriente:
“Le sorprese non mancano mai. Ci sentiamo ormai un po’ malconce, dopo l’incontro con le ragazze aggressive uscite dalle sartorie, tutte in quella consumata divisa op, diventata un’ossessione, non più una novità, quando abbiamo avuto, che strano, un incontro con la vecchia moda di sempre, quella che ormai si dice buona solo per i crisantemi. Eppure che gioia guardare un vestito con gli occhi di prima, è come ritrovare la mamma dopo un avvenimento malvagio. Questa dolcissima sensazione l’abbiamo provata al dèfilè di Gigliola Curiel che a quanto pare, anche se non lo dice apertamente lo esprime solo con i fatti, ha eretto una muraglia cinese contro la scalmanata tribù di giovanissime donne a buchi e dalle ginocchia all’aria, che non intendono retrocedere davanti a quello che loro chiamano progresso. Eppure Gigliola Curiel con un self control quasi da inglese, ha mantenuto le distanze tra le due generazioni e ha imposto una splendida lunghissima collezione di abiti per donne ricche, affascinanti, non giovanissime […]. Le adulte, chiamiamole così, si vestiranno dunque dalla Curiel, e sceglieranno a piene mani fra i suoi duecentocinquanta modelli, una valanga di vestiti per tutte le ore, moderni anche se tradizionali, con quel tanto di nuovo nel colore, nell’impiego dei tessuti”.5
Purtroppo la malattia nel 1970 si porta via la “scultrice della moda”6, come l’ha definita il «New York Times». Il secondo marito di Gigliola decide di vendere il marchio Curiel. La parabola della casa di moda, però non è destinata a volgere al termine: l’intraprendente figlia Raffaella nello stesso anno, ovvero il 1970 riacquista il marchio e lo iscrive definitivamente nella storia della moda italiana.
Ala Gartner
Ala Gartner venne imprigionata ad Auschwitz, dove fece parte del movimento di resistenza del campo e dove venne impiccata per la parte avuta nel procurare la polvere da sparo con cui fu distrutto il Crematorio 4. Bedzin, Polonia, anni ’30.
Auguri Roberta!
«Lavorerò e farò del mio meglio, come presidente del Parlamento, per raccogliere l’eredità di David Sassoli, che è stato un combattente per l’Europa e per questo Parlamento». Sono le prime parole di Roberta Metsola, la candidata del Ppe che è stata eletta presidente dell’Aula di Strasburgo, prima donna a vent’anni di distanza da Nicole Fontaine: «Ventidue anni fa Nicole Fontaine è stata eletta 20 anni dopo Simone Veil. Non passeranno altri due decenni prima che la prossima donna sia qui», ha detto Metsola che oggi compie 43 anni e che per questo è il più giovane presidente nella storia dell’istituzione. Era la favorita grazie all’accordo della vigilia tra popolari, socialisti e liberali. Ma ha ottenuto anche i voti della Lega e dei conservatori dell’Ecr. Ha ottenuto 458 voti, quando ne bastavano 309. I votanti sono stati 690: schede bianche o nulle 74; voti espressi 616. La candidata dei Verdi Alice Kuhke ha ottenuto 101 preferenze, la candidata Sira Rego (La Sinistra), 57 .
Generazione Erasmus, proviene da un piccolo Paese come Malta, è sposata con un finlandese, ha 4 figli ed è stata candidata dal Ppe per dare nuovo slancio al gruppo, dopo la sconfitta della Cdu tedesca alle elezioni in Germania. Europeista convinta, a chi le chiedeva del sostegno ricevuto dalla Lega e dai conservatori, ha replicato che il voto è stato segreto e chi l’ha sostenuta ha scelto una persona che si impegnerà per la difesa dei valori e del progetto europeo. «Ma tutti coloro che vogliono distruggere il progetto europeo troveranno me e questo Parlamento» a sbarrargli la strada, ha spiegato.
Dal Corriere della sera
Elena Lucrezia Cornarono Piscopia
Elena Lucrezia Cornaro Piscopia è conosciuta come la prima donna laureata al mondo, avendo ottenuto la laurea in filosofia all’Università di Padova nel 1678.
Figlia naturale del nobile Giovanni Battista Cornaro, procuratore di San Marco, e della popolana Zanetta Boni, nacque a venezia nel 1646, quinta di sette figli. Venne iscritta all’albo d’oro dei nobili a 18 anni, quando il padre sborsò 100.000 ducati per elevare a patrizi lei e i suoi fratelli. Si appassionò presto agli studi, in cui venne seguita dal padre, deciso a servirsi delle doti di Elena per riscattare il lustro della famiglia Cornaro; a questo scopo la affidò al teologo Giovanni Battista Fabris, al latinista Giovanni Valier, al grecista Alvise Gradenigo, al professore di teologia Felice Rotondi e al rabbino Shemel Aboaf, da cui Elena apprese l’ebraico. Studiò anche lo spagnolo, il francese, l’arabo, l’aramaico, e arrivò a possedere una profonda cultura musicale. Approfondì inoltre eloquenza, dialettica e filosofia, prendendo per ques’ultima lezioni da Carlo Rinaldini, professore all’università di Padova e amico del padre.
Accanto alla passione per lo studio, Elena coltivava un’autentica vocazione religiosa, che la spinse a diventare, diciannovenne, oblata benedettina. Questa scelta scontentò i genitori, intenzionati a farla sposare, ma evitò loro la delusione di una reclusione monastica e permise alla giovane di vivere seguendo la regola benedettina. Nel 1677 fece domanda per addottorarsi in teologia, ma il cancelliere dello Studio padovano, il cardinale Gregorio Barbarigo, oppose un fermo rifiuto alla sua richiesta. Grazie alla mediazione di Rinaldini, Elena Lucrezia potè infine laurearsi il 25 giugno 1678 in filosofia, e non dunque in teologia, come inizialmente desiderato.
Elena, che aveva condotto i suoi studi interamente a Venezia, si trasferì a Padova solo dopo la laurea, andando ad abitare a Palazzo Cornaro, vicino al Santo. La sua costituzione, già debole, era stata messa alla prova dallo studio e dalle macerazioni ascetiche; si ammalava di frequente e anche per lunghi periodi, fino a morire nel luglio del 1684. Venne sepolta nella chiesa di Santa Giustina a Padova.
Fu a lungo considerata, da parte dei familiari, un fenomeno da esibire, donna erudita in grado di sciorinare dissertazioni filosofiche e dialogare in latino. Solitudine circondata da stupore, la sua, fatta di doti intellettuali eccezionali in un corpo di donna. Ma per la Piscopia non furono strumento d’affermazione della dignità femminile, nè del diritto a competere con gli uomini in campo intellettuale. La sua laurea non fu che uno spiraglio immediatamente richiuso, tanto che solo nel 1732 in Italia si laureò un’altra donna, Laura Bassi.
Nel 1773 Caterina Dolfin donò all’Ateneo padovano la statua raffigurante Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, che ora è posta ai piedi dello scalone Cornaro, nel Cortile Antico di Palazzo Bo. Omaggio alla prima donna laureata al mondo, ma oggi anche simbolo di emancipazione femminile.