Archivio mensile 31st Ottobre 2019

Tentazione aspettando il 25 NOV

  Ecco come fu. – Vero com’è vero Iddio! Erano in tre: Ambrogio, Carlo e il Pigna, sellaio. Questi che li avevano tirati pei capelli a far baldoria: – Andiamo a Vaprio col tramvai -. E senza condursi dietro uno straccio di donna! Tanto è vero che volevano godersi la festa in santa pace.
  Giocarono alle bocce, fecero una bella passeggiata sino al fiume, si regalarono il bicchierino e infine desinarono al Merlo bianco, sotto il pergolato. C’era lì una gran folla, e quel dell’organetto, e quel della chitarra, e ragazze che strillavano sull’altalena, e innamorati che cercavano l’ombrìa; una vera festa.
  Tanto che il Pigna s’era messo a far l’asino con una della tavolata accanto, civettuola, con la mano nei capelli, e il gomito sulla tovaglia. E Ambrogio, che era un ragazzo quieto, lo tirava per la giacchetta, dicendogli all’orecchio:
  – Andiamo via, se no si attacca lite -.
  Dopo, al cellulare, quando ripensava al come era successo quel precipizio, gli pareva d’impazzire.
  Per acchiappare il tramvai, verso sera, fecero un bel tratto di strada a piedi. Carlo, che era stato soldato, pretendeva conoscere le scorciatoje, e li aveva fatto prendere per una viottola che tagliava i prati a zig zag. Fu quella la rovina!
  Potevano essere le sette, una bella sera d’autunno, coi campi ancora verdi che non ci era anima viva. Andavano cantando, allegri della scampagnata, tutti giovani e senza fastidi pel capo.
  Se fossero loro mancati i soldi, pure il lavoro, o avessero avuto altri guai, forse sarebbe stato meglio. E il Pigna andava dicendo che avevano spesi bene i loro quattrini quella domenica.
  Come accade, parlavano di donne, e dell’innamorata, ciascuno la sua. E lo stesso Ambrogio, che sembrava una gatta morta, raccontava per filo e per segno quel che succedeva con la Filippina, quando si trovavano ogni sera dietro il muro della fabbrica.
  – Sta a vedere – borbottava infine, ché gli dolevano le scarpe. – Sta a vedere che Carlino ci fa sbagliare la strada! –
  L’altro, invece, no. Il tramvai era là di certo, dietro quella fila d’olmi scapitozzati, che non si vedeva ancora per la nebbiolina della sera.
  «L’è sott’il pont, l’è sott’il pont a fà la legnaaa…» Ambrogio dietro faceva il basso, zoppicando.
  Dopo un po’ raggiunsero una contadina, con un paniere infilato al braccio, che andava per la stessa via. – Sorte! – esclamò il Pigna. – Ora ci facciamo insegnar la strada -.
  Altro! Era un bel tocco di ragazza, di quelle che fan venire la tentazione a incontrarle sole. – Sposa, è questa la strada per andare dove andiamo? – chiese il Pigna ridendo.
  L’altra, ragazza onesta, chinò il capo, e affrettò il passo senza dargli retta.
  – Che gamba, neh! – borbottò Carlino. – Se va di questo passo a trovar l’innamorato, felice lui!-
  La ragazza, vedendo che le si attaccavano alle gonnelle, si fermò su due piedi, col paniere in mano, e si mise a strillare:
  – Lasciatemi andare per la mia strada, e badate ai fatti vostri.
  – Eh! che non ce la vogliamo mangiare! – rispose il Pigna. – Che diavolo! –
  Ella riprese per la sua via, a testa bassa, da contadina cocciuta che era.
  Carlo, a fine di rompere il ghiaccio, domandò:
  – O dove va, bella ragazza… come si chiama lei?
  – Mi chiamo come mi chiamo, e vado dove vado -.
  Ambrogio volle intromettersi lui: – Non abbia paura, che non vogliamo farle male. Siamo buoni figliuoli, andiamo al tramvai pei fatti nostri -.
  Come egli aveva la faccia d’uomo dabbene la giovane si lasciò persuadere, anche perché annottava, e andava a rischio di perdere la corsa. Ambrogio voleva sapere se quella era la strada giusta pel tramvai.
  – M’hanno detto di sì – rispose lei. – Però io non son pratica di queste parti -. E narrò che veniva in città per cercare di allogarsi. Il Pigna, allegro di sua natura, fingeva di credere che cercasse di allogarsi a balia, e se non sapeva dove andare, un posto buono glielo trovava lui la stessa sera, caldo caldo. E come aveva le mani lunghe, ella gli appuntò una gomitata che gli sfondò mezzo le costole.
  – Cristo! – borbottò. – Cristo, che pugno! E gli altri sghignazzavano.
  – Io non ho paura di voi né di nessuno! – rispose lei. – Né di me? – E neppure di me? – E di tutti e tre insieme? – E se vi pigliassimo per forza? – Allora si guardarono intorno per la campagna, dove non si vedeva anima viva.
  – O il suo amoroso – disse il Pigna per mutar discorso – o il suo amoroso come va che l’ha lasciata partire?
  – Io non ne ho – rispose lei.
  – Davvero? Così bella!
  – No, che non son bella.
  – Andiamo, via! E il Pigna si mise in galanteria, coi pollici nel giro del panciotto. – Perdio! se era bella! Con quegli occhi, e quella bocca, e con questo, e con quest’altro! – Lasciatemi passare – diceva ella ridendo sottonaso, con gli occhi bassi.
  – Un bacio almeno, cos’è un bacio? Un bacio almeno poteva lasciarselo dare, per suggellare l’amicizia. Tanto, cominciava a farsi buio, e nessuno li vedeva. – Ella si schermiva, col gomito alto. – Corpo! che prospettiva – Il Pigna se la mangiava con gli occhi, di sotto il braccio alzato. Allora ella gli si piantò in faccia, minacciandolo di sbattergli il paniere sul muso.
  – Fate pure! picchiate sinché volete. Da voi mi farà piacere! – Lasciatemi andare, o chiamo gente! – Egli balbettava, con la faccia accesa: – Lasciatevelo dare, che nessun ci sente -. Gli altri due si scompisciavano dalle risa. Infine la ragazza, come le si stringevano addosso, si mise a picchiare sul sodo, metà seria metà ridendo, su questo e su quello, come cadeva. Poi si diede a correre con le sottane alte.
  – Ah! lo vuoi per forza! lo vuoi per forza! – gridava il Pigna ansante, correndole dietro.
  E la raggiunse col fiato grosso, cacciandole una manaccia sulla bocca. Così si acciuffarono e andavano sbatacchiandosi qua e là. La ragazza furibonda mordeva, graffiava, sparava calci.
  Carlo si trovò preso in mezzo per tentare di dividerli. Ambrogio l’aveva afferrata per le gambe onde non azzoppisse qualcheduno. Infine il Pigna, pallido, ansante, se la cacciò sotto, con un ginocchio sul petto. E allora tutti e tre, l’uno dopo l’altro, al contatto di quelle carni calde, come fossero invasati a un tratto da una pazzia furiosa, ubbriachi di donna… Dio ce ne scampi e liberi!
  Ella si rialzò come una bestia feroce, senza dire una parola, ricomponendo gli strappi del vestito e raccattando il paniere. Gli altri si guardavano fra di loro con un risolino strano. Com’ella si muoveva per andarsene, Carlo le si piantò in faccia col viso scuro: – Tu non dirai nulla! – No! non dirò nulla! – promise la ragazza con voce sorda. Il Pigna a quelle parole l’afferrò per la gonnella. Ella si mise a gridare.
  – Aiuto!
  – Taci!
  – Ajuto, all’assassino!
  – Sta zitta, ti dico! –
  Carlino l’afferrò alla gola.
  – Ah! vuoi rovinarci tutti, maledetta! – Ella non poteva più gridare, sotto quella stretta, ma li minacciava sempre con quegli occhi spalancati dove c’erano i carabinieri e la forca. Diventava livida, con la lingua tutta fuori, nera, enorme, una lingua che non poteva capire più nella sua bocca; e a quella vista persero la testa tutti e tre dalla paura. Carlo le stringeva la gola sempre più a misura che la donna rallentava le braccia, e si abbandonava, inerte, con la testa arrovesciata sui sassi, gli occhi che mostravano il bianco. Infine la lasciarono ad uno ad uno, lentamente, atterriti.
  Ella rimaneva immobile stesa supina sul ciglione del sentiero, col viso in su e gli occhi spalancati e bianchi. Il Pigna abbrancò per l’omero Ambrogio che non si era mosso, torvo, senza dire una parola, e Carlino balbettò:
  – Tutti e tre, veh! Siamo stati tutti e tre!… O sangue della Madonna!… –
  Era venuto buio. Quanto tempo era trascorso? Attraverso la viottola bianchiccia si vedeva sempre per terra quella cosa nera, immobile. Per fortuna non passava nessuno di là. Dietro la pezza di granoturco c’era un lungo filare di gelsi. Un cane s’era messo ad abbaiare in lontananza. E ai tre amici pareva di sognare quando si udì il fischio del tramvai, che andavano a raggiungere mezz’ora prima, come se fosse passato un secolo.
  Il Pigna disse che bisognava scavare una buca profonda, per nascondere quel ch’era accaduto, e costrinsero Ambrogio per forza a strascinare la morta nel prato, com’erano stati tutti e tre a fare il marrone. Quel cadavere pareva di piombo. Poi nella fossa non c’entrava. Carlino gli recise il capo, col coltelluccio che per caso aveva il Pigna. Poi quand’ebbero calcata la terra pigiandola coi piedi, si sentirono più tranquilli e si avviarono per la stradicciuola. Ambrogio sospettoso teneva d’occhio il Pigna che aveva il coltello in tasca. Morivano dalla sete, ma fecero un lungo giro per evitare un’osteria di campagna che spuntava nell’alba; un gallo che cantava nella mattinata fresca li fece trasalire. Andavano guardinghi e senza dire una parola, ma non volevano lasciarsi, quasi fossero legati insieme.
  I carabinieri li arrestarono alla spicciolata dopo alcuni giorni; Ambrogio in una casa di mal affare, dove stava da mattina a sera; Carlo vicino a Bergamo, che gli avevano messo gli occhi addosso al vagabondare che faceva, e il Pigna alla fabbrica, là in mezzo al via vai dei lavoranti e al brontolare della macchina; ma al vedere i carabinieri si fece pallido e gli s’imbrogliò subito la lingua. Alle Assise, nel gabbione, volevano mangiarsi con gli occhi l’un l’altro, che si davano del Giuda. Ma quando ripensavano poi al cellulare com’era stato il guaio, gli pareva d’impazzire, una cosa dopo l’altra, e come si può arrivare ad avere il sangue nelle mani cominciando dallo scherzare.

Giovanni Verga

Ali Tate Cutler

É la prima modella taglia 50!

“Ci sono stati molti momenti in cui ho avuto tanti dubbi, certo. Ho messo in discussione il fatto di essere carina, sentivo la necessità di cambiare lavoro per proteggere la mia salute mentale a causa dell’enorme pressione alla quale ero sottoposta”

Certamente questo evento aiuterà molte donne a liberarsi da ogni imbarazzo legato al peso e a sentirsi sexy.

Ali Tate Cutler

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“Ci sono stati molti momenti in cui ho avuto tanti dubbi, certo. Ho messo in discussione il fatto di essere carina, sentivo la necessità di cambiare lavoro per proteggere la mia salute mentale a causa dell’enorme pressione alla quale ero sottoposta”

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Sylvia Earle e il mare

Sylvia Earle, oceanografa di fama mondiale, è stata ospite al “National Geographic Festival delle Scienze” di Roma (fino al 22 aprile all’Auditorium Parco della Musica, www.auditorium.com). Ha tenuto una conferenza sulla salvaguardia degli oceani. Durante il festival si celebra anche la Giornata della Terra del 22 aprile.

Quello che sogno veramente è che tutti un giorno possano andare sott’acqua, a esplorare gli oceani, con le mute da sub e i sottomarini. Lì c’è un mondo straordinario, ancora sconosciuto e tutto da scoprire. Non bisogna averne paura». Sylvia Earle è una celebrità: oceanografa di fama mondiale, ingegnere, scienziata, fondatrice di diverse associazioni per la salvaguardia degli oceani (Mission Blue, SEAlliance and Deep Ocean Exploration and Research), nonché esploratrice per la National Geographic Society. Il New York Times l’ha nominata “Leggenda vivente” e per la rivista Time è un “Eroe del Pianeta”. Negli anni ’50 è stata una delle prime donne a immergersi con le bombole. Oggi di anni ne ha 82: al telefono qualche giorno fa, mentre mi parlava da chissà dove, mi ha raccontato che la settimana prima aveva fatto un’immersione in Indonesia. 

«Sott’acqua mi sento a casa»

«Gli oceani oggi sono in pericolo e dobbiamo fare qualcosa in fretta » mi racconta. «Ci sono già delle “zone morte” dove manca l’ossigeno, non crescono le piante e i pesci muoiono». Lei, che ha collezionato oltre 100 spedizioni e passato più di 7.000 ore sott’acqua, può testimoniarlo. Le prime immersioni con la maschera e le pinne risalgono a quando aveva 13 anni, nel Golfo del Messico, dopo che la famiglia si era trasferita dal New Jersey alla Florida. Da allora è stato amore assoluto. Complici anche i film del guru Jacques Costeau. Si è poi laureata in Biologia marina e ha iniziato il dottorato di ricerca in Botanica per catalogare le alghe. «Sott’acqua mi sento a casa» confessa. E una casa a 15 metri di profondità per 15 giorni l’ha avuta davvero: «Era il progetto Tektite, nel 1970. Insieme ad altre 4 donne (perché stare così a stretto contatto con scienziati uomini a quei tempi sarebbe stato compromettente, ndr) abbiamo vissuto in una struttura subacquea ed eseguito ricerche ed esperimenti sulla flora marina. Una specie di paradiso, nell’arcipelago delle Isole Vergini».

«Il mio obiettivo è creare sempre più parchi marini protetti». 

Oggi per proteggere quel paradiso e tutto il mondo sottomarino, la Earle gira di continente in continente tenendo conferenze e partecipando attivamente a campagne e iniziative. Nel 2009 ha vinto un Ted Prize con la sua lezione su come gli oceani influenzino la nostra vita: «Il Pianeta è fatto per il 71% di acqua, che alimenta l’atmosfera terrestre. Se questo ecosistema subisce variazioni, e l’oceano non è più in grado di assorbire anidride carbonica e produrre ossigeno, ci andiamo di mezzo tutti». Colpa del petrolio che viene scaricato in mare, dei fertilizzanti per l’agricoltura che attraverso i fiumi arrivano fino alle coste, della pesca intensiva che distrugge la fauna e il ciclo vitale. «L’oceano è troppo grande, vasto. Si pensa che tutto possa contenere e niente possa nuocergli. Non è così». Lo dimostrano la plastica e la spazzatura che vengono ingerite dai pesci, contaminandoli. «Perciò non li mangio» dice. «E anche perché sono contraria alla pesca intensiva». L’impegno di Sylvia ora è concentrato sugli “Hope Spot”, luoghi della speranza: parchi nazionali sottomarini dove la fauna e la flora devono essere protetti (chiunque può segnalarli sul sito missionblue. org). «Oggi ce ne sono circa 100 censiti dalla Iucn, International union of conservation of nature, un’associazione di scienziati e volontari che condivide dati e informazioni sulla natura. Il nostro obiettivo è crearne sempre di più e sensibilizzare i governi a ridurre le emissioni nocive».

«Con i colleghi maschi ho sempre usato il senso dell’umorismo»

“Her Deepness” (Sua Profondità, come viene chiamata) nel 1964, durante il primo viaggio nell’oceano indiano, era l’unica donna in un equipaggio di 70 uomini. «Pensi ai commenti! (ride, ndr). Oggi è tutto molto più facile di quando ho iniziato io: ci sono donne comandanti, tante scienziate, signore a capo di industrie. Prima, potevi ottenere qualche vantaggio in quanto donna, ma per lo più avevi dei doveri da compiere». Come se l’è cavata con i colleghi maschi? «Sfruttando il senso dell’umorismo e mettendo sempre al primo posto la mia professione. Per raggiungere certi livelli e portare avanti le tue passioni devi fare le cose nel miglior modo possibile, senza chiedere favori o aspettare che qualcuno raccolga qualcosa per te o ti aiuti a portare un peso. Non devi farti trattare come una bambina. Non aspettarti di avere favoritismi, ma dimostra che sei tremendamente seria in quello che fai» dice Sylvia, 2 mariti e 3 figli. «Li ho portati con me ogni volta che mi è stato possibile durante i viaggi lunghi, e li ho coinvolti nelle mie ricerche». E così facendo ha trasmesso loro la passione per il mare. La più grande oggi è amministratore delegato e presidente di una società che costruisce sottomarini e robot subacquei, il secondo lavora al California Fish and Wildlife Department e l’ultima è una musicista che si ispira per le sue composizioni all’oceano.

Da Donna Moderna

La grande Emily

Una parola muore
quando è detta
dice qualcuno
Io dico che proprio
quel giorno
comincia a vivere.

E Dickinson

Le chiavi

Allora questa è del cancello, questa del portoncino blindato, no questa è del garage….. Se cambio la serratura ha detto che m’ammazza, dice che è anche casa sua, solo perché ci ha abitato , ma io ci stavo in affitto da prima che arrivasse lui, ma se cambio la serratura ora m’ammazza. La cambio?, non la cambio???… 
E io non l’ho cambiata, così è entrato di notte tranquillo con le sue chiavi e mi ha strangolata mentre dormivo. Il ragazzino non si è accorto di nulla, ha continuato a dormire. 
Era bravo con il ragazzino, lo portava ai campi sportivi a vedere le partitelle, è stato quello che mi ha ingannato, se uno è buono con il ragazzino è buono pure con me, pensavo… 
Mi sentivo tanto sola, la fabbrica , il ragazzino, mi piaceva vedere un uomo dentro casa la mattina, son belli i maschi in bagno mentre si fanno la barba con quel buon profumo di pulito….. per essere pulito era pulito , si cambiava due camice tutti i giorni, io non ero una grande stiratrice ,lo so, ma lui era un po’ fissato, è colpa delle madri che abituano questi maschi come al Grand Hotel, e poi quando escono nel mondo vero non ci si ritrovano più… 
Se avessi avuto i soldi c’andavo io al Grand Hotel insieme al ragazzino e lasciavo quella maledetta casa, me l’avevano detto al centro anti-violenza, cambia la serratura , ma io c’avevo paura che m’ammazzava , l’aveva urlato ai quattroventi :”se cambia la serratura l’ammazzo”. E io non l’ho cambiata….e infatti è entrato e m’ammazzato…non c’è una logica…. Chi ci capisce qualcosa è bravo…
Allora questa è della porta principale, no del portoncino…

Entrava e usciva a tutte le ore come gli pareva, accendeva la televisione a tutto volume di notte, mi svegliava il ragazzino, svuotava il frigorifero, si mangiava la spesa di due giorni, era abituato a servirsi a piacimento …poi veniva in camera da letto, lì non c’erano proprio le serrature, apriva e anche lì si serviva a piacimento, solo del bagno non aveva le chiavi, lì potevo chiudermi a piangere in santa pace.

Eppure dopo l’ultima discussione sembrava quietato, vedrai che ha capito, ho pensato, non mi ha neanche detto: “se cambi la serratura t’ammazzo”, allora mi son detta, quasi quasi domani la cambio…ma mi ha ucciso prima… 
Io non lo volevo offendere, volevo solo lasciarlo o meglio volevo che lui ci lasciasse in pace a me e al ragazzino… 
Ma lui dalla madre non ci voleva tornare, eppure la madre stirava meglio di me, me lo diceva sempre, dovresti imparare da mia madre, non ho fatto in tempo…

Scusate glielo dite voi alle ragazze del centro anti-violenza che c’avevano ragione, io non le ho più trovate, dice che hanno dovuto chiudere per via dei tagli , ora al posto loro c’è una banca, ma il mutuo non me l’hanno dato, peccato volevo tanto cambiare casa… ora mi son rimaste solo queste chiavi e non mi ricordo neanche cosa aprono… questa è del cancello… e questa??

Serena Dandini

La doppiezza dell’uomo violento

Così afferma Dacia Maraini.

“È una realtà che ho potuto constatare studiando diversi casi. Spesso la vittima non viene creduta perché il suo carnefice mostra all’esterno un aspetto talmente ben costruito che risulta difficile convincersi che possa essere una persona violenta. Penso che la doppiezza di questi uomini nasca da un totale rifiuto del cambiamento. Non riescono ad accettare la volontà di autonomia delle donne, la loro emancipazione”.

Elena

Michela Murgia riscrive la storia di Elena di Troia e la trasforma in una Donna innamorata di un uomo di cui comprende perfettamente la mediocrità.

Sceglie Lei perché proprio Elena é la più vituperata di tutta l’epica al punto di essere considerata la causa di una guerra che di motivazioni ne aveva ben altre.

Un amore perduto in mare

“Venne l’Aurora ed Ero non vide lo sposo.  Allungava gli occhi da tutte le parti sul vasto dorso del mare, se mai riusciva a vedere il suo sposo vagare, dopo che s’era spenta la luce, e quando lo vide ai piedi della torre, morto, straziato  dagli scogli, si stracciò sul petto la bella veste e si gettò a capofitto dall’alta torre. Così Ero morì assieme allo sposo morto, e godettero l’uno dell’altra anche nell’ultima sorte.”

Ilaria Bernardini riscrive il mito: Ero diventa una migrante innamorata e la narrazione é ambientata su un gommone vero. Ogni notte tra le onde muoiono in tanti e la scrittrice grida l’orrore e l’abominio di cui siamo capaci.

L’amore rubato

La ragazza non immaginava
Che anche quello fosse l’amore
In mezzo all’erba lei tremava
Sentiva addosso ancora l’odore

Chissà chi era, cosa voleva
Perché ha ucciso i miei pensieri
Chissà se un giorno potrò scordare
E ritornare quella di ieri

La ragazza non immaginava
Che così forte fosse il dolore
Passava il vento e lei pregava
Che non tornassero quelle parole

Adesso muoviti, fammi godere
Se non ti piace puoi anche gridare
Tanto nessuno potrà sentire
Tanto nessuno ti potrà salvare

E lei sognava una musica dolce
E labbra morbide da accarezzare
Chiari di luna e onde del mare
Piccole frasi da sussurrare

E lei sognava un amore profondo
Unico e grande, più grande del mondo
Come un fiore che è stato spezzato
Così l’amore le avevan rubato

La ragazza non immaginava
Che così lento fosse il dolore
Stesa nel prato, lei piangeva
Sulle sue lacrime nasceva il sole

E lei sognava una musica dolce
E labbra morbide da accarezzare
Chiari di luna e onde del mare
Piccole frasi da sussurrare

E lei sognava un amore profondo
Unico e grande, più grande del mondo
Ma il vento adesso le aveva lasciato
Solo il ricordo di un amore rubato

Come un fiore che è stato spezzato
Così l’amore le avevan rubato