Addio grande Luigi Maria Lombardi Satriani
Il grande Antropologo, figlio illustre di Calabria ci ha lasciato dopo una vita intensa di legami profondi con la sua terra e la sua gente.
sos KORAI Gli rende omaggio pubblicando il suo saggio donato al nostro Quaderno dell’8 Marzo GRETA.
Donne in cammino
In questi ultimi anni il numero di donne uccise da maschi che ritenevano così di amarle in maniera assoluta ed esclusiva (“se non la posso avere io, non potrà averla nessuno”), è stato particolarmente elevato. La cronaca quotidiana, purtroppo, porta, volta a volta, il proprio drammatico contri- buto a tale tragica contabilità. Vittime sicuramente, e in primo luogo loro, ma vittime anche i loro assassini, che perdono anch’essi la propria vita, condannandola alla galera per aver inteso praticare la violenza assoluta su donne che pure pensavano di amare, ritenendole proprietà indiscutibile. La cultura maschilista, così densa di pregiudizi, così intessuta di stereotipie, prosegue, con ritmo esponenziale, il proprio trionfale cammino. Nella mia pluridecennale pratica di riflessione e di ricerca sulla cultura tradizionale della nostra regione, e non soltanto di essa, ho incontrato spesso que- ste aberranti valutazioni della donna quale “cosa”, inferiore naturaliter, per così dire, rispetto al maschio e alle correlative, non meno aberranti, esalta- zioni dei maschi. Basterà pensare ai canti popolari, alle leggende, ai pro- verbi e a tutte le altre espressioni folkloriche formalizzate, per concludere che la donna vi svolge un ruolo subalterno complementare rispetto al ma- schio. Gli esempi a questo riguardo potrebbero essere legione. Eppure, no- nostante tutto, le donne nella società tradizionale conservarono una, per così dire, connaturata dignità che tutti riconoscevano e tutelavano. Sono nato e ho vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la “meglio gioventù”, per ri- prendere l’espressione pasoliniana, in un piccolo paese, San Costantino di Briatico, che continua a essere per me l’angolo del mondo dal quale guar- dare l’universo, la patria culturale, oltre che anagrafica, perché scelta come punto focale al quale continuamente ritornare, quali che siano le peregri- nazioni per il mondo. Ricordo come le donne venivano rispettate, accosta- te con una gentilezza e una finezza di tratto dai miei compaesani, quasi tutti protagonisti di una realtà contadina, troppo spesso liquidata perento- riamente come rozza e brutale. Non intendo indulgere a una visione idil- liaca di tale realtà, ma avverto, avendo avuto la fortuna di una lunga esi- stenza, il dovere di dare questa testimonianza di anni concretamente vissuti di cui conservo vivissimo il ricordo e che attraverso lo strumento della memoria, sono in grado di presentificare avvertendo di essi lo sno- darsi realistico, le sensazioni a esse associate, il sapore che le accompagna- vano. È quella dignità che viene presentata con estrema efficacia narrativa
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Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 da Corrado Alvaro, Fortunato Seminara, Mario La Cava, Leonida Repaci e da tanti altri scrittori impegnati a rappresentare la propria terra, la “non bella vita dei pastori d’Aspromonte”, la propria “terra amara”, il proprio “vento nell’uliveto”, il potente affresco del ciclo dei Rupe. Sono, questi, ci- tazioni, riferimenti alle opere di scrittori, ognuno dei quali andrebbe stu- diato in profondità, cogliendone caratteristiche e tratti specifici, rinvianti spesso a una società contraddittoria. A titolo esemplificativo, citerò Fortu- nato Seminara, che in La fidanzata impiccata ci presenta con rigorosa par- tecipazione lo scivolare graduale della protagonista dall’amore all’attesa, alla delusione, alla disperazione, al suicidio. La stessa dignità la ritrovo nelle donne dipinte da Enotrio Pugliese: macchie scure, avvolte negli scial- li che coprono tutto il corpo, spesso piegato a piangere un giovane immer- so nel proprio sangue. La donna, dunque, nella cultura tradizionale, svolge un ruolo di particolare rilevanza e in qualche modo insostituibile. È lei a presiedere ai momenti fondamentali dell’esistenza individuale: la nascita e la morte; i complessi rituali del parto e quelli funerari, la costituiscono di fatto come sacerdotessa di tale culto. Nonostante il dominio maschile – esercitato spesso sino alla ferocia, nel lungo snodarsi dei millenni – alle donne è connaturata o le donne hanno conquistato uno spazio nel quale si esplica un’antica, ineludibile dignità. Chi di noi ha avuto modo di peregri- nare per i nostri paesi assolati avrà notato gruppi di donne anziane, com- poste nei loro immutabili vestiti neri, sedute dinanzi alle loro case, e non può non essere stato colpito dalla dignità che emanava dalle rughe scolpite nel loro volto, apparentemente impassibile. La cultura, oltre che la fisiolo- gia, assegna loro – lo si è già accennato – di presiedere ai momenti più importanti della vita di un essere umano: la nascita, la morte. Il dolore connesso al parto, antica maledizione divina per l’infrazione del peccato originale (“… e tu, donna, partorirai con dolore”) potenzia il vincolo ma- dre-figlio, ulteriormente rafforzato dall’allattamento; al confronto la figura paterna sbiadisce, e non è un caso che sia stato ironicamente sottolineato che se ai maschi fosse stato assegnata dalla natura la procreazione, con il carico di dolore a essa connesso, il mondo si sarebbe estinto. Nella nostra cultura, poi, quando l’umano conclude l’ultima fase della sua esistenza, spetta alle donne della famiglia o ad altre da queste delegate aver cura del cadavere, in modo da renderlo visibile agli altri per l’ultimo saluto. Spetta ancora a loro il lamento funebre che ripercorre i tratti salienti della vita del defunto esaltandone le virtù, come ci è stato mostrato esemplarmente da Ernesto de Martino nel suo Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria (1958), divenuto rapidamente un clas- - 7-
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 sico della nostra ricerca antropologica. Negli anni Ottanta, Mariano Meli- grana e io abbiamo indagato i variegati aspetti con i quali viene affrontato nei nostri paesi il trauma della perdita della persona cara, ponendo in ri- salto le differenziate modalità con le quali si attuano le strategie del cordo- glio e il trascendimento della datità, del dolore: il risultato delle nostre ri- cerche è stato presentato nel nostro Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud (1982). In tali modalità la donna è quasi sempre presente, sacerdotessa del culto dei morti, vestale cui è de- mandato il compito di gestire la sacralità del distacco e l’intenso ethos del trascendimento, per usare una nota espressione demartiniana. Mi sto rife- rendo alla donna nella società tradizionale, è innegabile però che tale figu- ra ha avuto negli anni una radicale trasformazione. Il nostro oggi è marca- to da una ben diversa soggettività femminile, che riafferma con decisione le proprie ragioni. Si pensi che nell’Italia del dopoguerra ogni anno nasce- vano 35.000 bambini da ragazze nubili, la maggior parte delle quali erano andate a servizio a casa d’altri; il padrone che le considerava a propria di- sposizione in ogni senso aveva poco da temere dalla legge. L’Italia era l’u- nico Paese d’Europa – compresi il Portogallo di Salazar e la Spagna di Franco – a vietare la ricerca della parternità: i figli di NN, “nescio nomen”, bollati come tali pure sui documenti, non avevano diritto a cercare e sco- prire l’identità del padre. Nel clima attuale di rivendicazione orgogliosa della propria ineludibile autodeterminazione e della libera sessualità che ne consegue, si situa lo spazio della dichiarazione di Elda Billi che campeg- gia su una parete della Casa internazionale delle donne di Roma: Libera sessualità in libero stato OVVERO:il corpo, il desiderio, l’intelligenza:/vo- glia di vivere senza fili spinati,/inquisizione paludata di perbenismo,/roghi veri e virtuali, odori d’incensi nauseanti,/litanie lugubri di uomini che odiano le donne,/la loro autodeterminazione, la loro libertà./Corpo desi- derante, libero di volare,/di conoscere, di sognare, di stare al mondo,/in un mondo/senza prevaricazioni misogine,/senza armi, senza guerra, senza violenza,/senza compratori di anime:/questi i veri delitti contro l’umanità,/ non certo il corpo appassionato/che quando esulta non ha colore, razza, etnia, confini,/avendo ben presente che la libertà non significa licenza,/ma rispetto dell’altra, dell’altro, coscienti./Questo, almeno, ha insegnato il femminismo./A guardare con occhi aperti i diversi da me,/a condividere con loro speranze di tempi/senza quel sangue e senza quegli orrori/che uomini della Provvidenza e/sacerdoti del vero dio (e ognuno ha il suo)/ preparano per il futuro./Roma, 8 luglio 2000.Le donne oggi ereditano le conquiste del clima culturale faticosamente guadagnato dalle prime gene- razioni femministe e anche grazie a esso che possono godere per così dire - 8-
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 di una, pur sempre relativa, libertà. È una libertà pagata molto spesso con una ancora maggiore, devastante solitudine. L’anno scorso, per rendermi conto degli orientamenti che emergevano o che andavano emergendo dall’universo femminile, di cui intuivo movimenti e fermenti, ho assunto come osservatorio privilegiato le rubriche delle lettrici a settimanali di lar- ga diffusione e di differenziato target di lettori. In tali rubriche spesso sono pubblicate lettere di donne meridionali, di diversa età, che attendono dalle titolari, un consiglio, una parola di conforto o semplicemente l’ascolto dei loro dubbi, delle loro sofferenze. In un accurato studio di Maria Trigila (Lettere di donne ai giornali: i casi di Famiglia cristiana e Grazia), Miriam Mafai, che curò su Grazia la rubrica “Le donne parlano”, negli anni a caval- lo del Duemila, racconta di ricevere circa dieci lettere a settimana e di sce- glierne poi tre cui rispondere: il tema che in generale spicca, è quello della solitudine: vuoto e solitudine sembra le donne avvertano durante le loro giornate in particolare quando, dopo una vita impiegata a occuparsi di marito e figli, il primo magari muore o le lascia, oppure, pur presente, ri- sulta psicologicamente assente; i secondi, adulti, non vivono più in casa. «Le donne si chiedono cosa fare delle loro giornate e non è facile dare loro un consiglio. Chi non è mai andata a teatro non comincia a sessant’anni, chi non era abituata alla lettura non trova conforto nei libri. Ho suggerito spesso di mettersi in contatto con organizzazioni che si occupano di vo- lontariato, e il mio consiglio è stato seguito (alcune lettrici mi hanno scrit- to per ringraziarmi: “Adesso ho riempito le mie giornate aiutando gli al- tri)». Solitudine è poi quella delle mogli che lamentano, anche dopo soli pochi mesi di matrimonio, il torpore psicologico del proprio marito, il suo silenzio o incapacità di comunicare; solitudine la Mafai legge nel compor- tamento di alcune di loro che scrivono semplicemente per parlare di sé, che non sentono necessaria la sua risposta, quanto forte il bisogno di esser da lei lette. Temi molto presenti che pure la Mafai rileva tra le lettere che riceve, sono quelli della gestione della vita familiare di tipo tradizionale (il rapporto con le figlie adolescenti e poi il loro ruolo di donne nella famiglia; il rapporto nuora-suocera); quello del lavoro (che non c’è o che è faticoso, che impedisce di stare vicini alla famiglia o che potrebbe essere utile ab- bandonare per dedicarsi appunto esclusivamente alla famiglia). Vi è, nelle lettere scritte in questi anni alle/ai titolari di rubriche, una maggiore liber- tà di pensiero e di comportamento; possono permanere delle ingenuità, delle ritrosie, delle reticenze, dei timori ancestrali, ma complessivamente le protagoniste sono sciolte, ormai, dalle paure e dalle vergogne che avvi- luppavano la condizione femminile nella società tradizionale. Ovviamen- te, una considerazione siffatta è variamente valida, a seconda dei settori e - 9-
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 delle tematiche che le lettrici e le titolari delle rubriche via via affrontano. Ad esempio, mentre la pratica disinvolta della sessualità etero è abbastanza diffusa e non suscita problematiche per le quali rivolgersi alle rubriche, ben diversa è la situazione per quanto riguarda gli “amori proibiti”. Ne Le italiane si confessano – il bel libro pubblicato da Gabriella Parca nel 1959, nella quale sono presenti quasi trecento lettere scelte tra ottomila, inviate, in tre anni (1956-59) ai due settimanali più diffusi in tutta Italia – è presen- te, tra le altre, una lettera dalla Sardegna, a mio avviso estremamente em- blematica. «… Prima di tutto mi voglio presentare: ho 24 anni e sono spo- sata, ho una bambina e amo veramente mio marito. Ogni settimana seguo attentamente lo vostre risposte ma forse una risposta su questo argomento non l’avete mai data. Tutti, più o meno, chiedono consigli sui propri fidan- zati o fidanzate che siano, o cose del genere. La mia invece, è molto diversa: è una cosa che per il momento solo a voi posso confidare. Dunque si tratta di una ragazza che si è innamorata di me. Sì, è proprio così, avete capito perfettamente: si tratta proprio di una giovane della mia stessa età, che abita nella mia stessa frazione da cinque mesi. Nei primi tempi che l’avevo conosciuta non facevo troppo caso ai suoi complimenti, durante il riposo del lavoro, oppure quando veniva a trovarmi a casa, ma un mese fa, tor- nando a casa dal lavoro, alle 10 di sera come al solito, mi parlò dicendo che non poteva più dormire perché io le ho preso il cuore e che si è innamora- ta di me. Io le risposi che nulla le potevo fare; allora, prendendomi per le spalle, disse che io potevo fare qualcosa per lei, così dicendo mi baciò sulla bocca. Con uno scatto mi staccai da lei dicendole se era impazzita e tiran- dole uno schiaffo ma lei non fece nulla e rimase lì nella strada con la mano sulla guancia. Io le gridai che racconterò tutto ai suoi. “Niente loro potran- no fare per staccarmi da te”, rispose; “io ti amo troppo e non voglio perder- ti, sia anche con la minaccia, ma vedrai che con l’andar del tempo tu mi vorrai un po’ di bene e mi basta. Ma ora io mi sento proprio di odiarla. Non posso più sopportare il suo sguardo o durante il lavoro e mi continua a fare delle proposte poco pulite. Giorni fa volevo dir tutto a suo fratello e ai genitori ma dopo tutto non vorrei che gli altri lo sapessero. Ci sarebbero parecchi giovanotti che continuano a farle la corte, gente molto seria, di- stinta, ma lei proprio non ne vuole sapere. Per dire il vero è una bella ra- gazza, bionda, con gli occhi profondi, molto bella. E proprio di questo io ho paura, forse mi capirete… e non vorrei che questo mi dovesse accade- re». È un miscuglio di sorpresa, repulsione, timore di una sotterranea at- trazione che emerge in una lettera che ci giunge da decenni lontani. Leg- gendo tale lettera ho ricordato i miei incontri con Gabriella Parca a Parigi nei primi anni Settanta e di come mi comunicasse il senso di libertà che - 10 –
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 aveva, vivendo nella capitale francese, così diversa dal clima restrittivo e sostanzialmente bigotto del nostro Paese in quegli anni. Per analogia di contenuto ho ricordato anche le lettere che Michela Margiotta, salentina, ha scritto negli anni Sessanta ad Annabella Rossi, che l’aveva conosciuta nel corso della celebre spedizione demartiniana sul tarantismo. Questa si realizzò con approfonditi sopralluoghi, nella cappella di San Paolo a Gala- tina, con una équipe interdisciplinare, pronta a indagare il fenomeno dai diversi punti di vista: etnologico (E. de Martino), con specifica attenzione alla realtà sociale delle protagoniste (V. De Palma e A. Signorelli), psicopa- tologico e psichiatrico (G. Jervis), etnomusicologico (D. Carpitella), foto- grafico (A. Rossi). Annabella Rossi, la cui vivacità intellettuale e la cui cu- riosità nell’accezione migliore del termine erano notevolissime, come ho sperimentato direttamente lungo i diversi decenni della nostra amicizia e di una collaborazione che si realizzava attraverso incontri quotidiani, ave- va chiesto alla tarantata una serie di informazioni sulla sua vita e sulla sua condizione vista dall’interno. E Michela, che si affeziona sempre di più alla sua cara signorina, risponde con grande sforzo – avendo soltanto seguito la prima elementare –, alle richieste dell’antropologa. Michela è lusingata dell’attenzione della buona signorina, alla quale si lega emotivamente sem- pre più. Annabella pur affezionata a Michela, non ricambia in alcun modo il suo amore e poi, inaspettatamente per Michela, pubblica tutte le sue let- tere cambiando soltanto il nome, Anna invece di Michela: si tratta, però, secondo Michela, di uno stratagemma inutile, dato che nel piccolo am- biente nel quale vive, è immediatamente riconoscibile, dunque rimprove- ra, alla sua illustre interlocutrice, di aver messo in piazza i suoi sentimenti e le sue vicende personali. Il libro, pubblicato nel 1970 con un saggio di Tullio De Mauro, ha un grande successo, ma Michela rompe definitiva- mente con Annabella e nonostante i numerosi tentativi che questa fa nel tempo per riallacciare i rapporti, non la vorrà più vedere. Mutano i tempi, certo, ma permangono pur con ovvie modifiche, antiche paure, remote paure, antiche tabuizzazioni. È indubbio però che la donna sia oggi ormai in cammino sia in senso letterale, sia in senso metaforico. È in tale cammi- no molto è stato fatto ma ancora molto rimane da fare, ché i processi per conquistare la consapevolezza sono sempre complessi e articolati. Ma da parte dei maschi il cammino è ancora più lungo, ché la cultura maschilista, la tradizione virilocratica sono plurimillenari e richiedono un ancora maggiore sforzo perché siano trascesi realmente. Ma questo non li rende meno necessari e urgenti. - 11 –
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2
Luigi M. Lombardi Satriani