Per 238 giorni Ebru Timtik non ha mangiato. Il suo corpo è diventato sempre più fragile e piccolo, ora dopo ora. Poi il suo cuore giovane non ce l’ha più fatta e si è fermato. Pesava appena 30 chili e negli ultimi giorni poteva bere solo attraverso una piccola siringa. Così è morta a Istanbul, il 27 agosto 2020, l’avvocatessa e attivista per i diritti umani.
«È morta da martire», hanno scritto i membri dell’Associazione degli Avvocati progressisti di cui Ebru Timtik faceva parte. Insieme a 17 colleghi era stata condannata, nel 2019, a 13 anni e mezzo di carcere per «appartenenza a gruppo terroristico», in particolare di essere legata al gruppo marxista-leninista Dhkp-c, Fronte di Liberazione del Popolo Rivoluzionario. Tra gli altri, Timtik aveva difeso la famiglia di Berkin Elvan, un adolescente morto in seguito alle ferite riportate durante le proteste di Gezi Park nel 2013. Con l’Associazione di cui era socia, Ebru Timtik difendeva gli oppositori di Erdogan.
«È stata fatta morire sotto i nostri occhi», ha scritto sui social, Sezgin Tanrikulu, deputato del Chp, la principale forza di opposizione al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «L’abbiamo persa a causa della coscienza cieca della giustizia e della politica. Il suo unico desiderio era di avere un processo equo e onesto». Il 14 agosto, la Corte Costituzionale aveva rigettato il ricorso il ricorso presentato a giugno dal collegio difensivo internazionale contro la sentenza emessa sulla base di un’unica testimonianza di un detenuto rimasto anonimo. Poco prima, il tribunale di Istanbul aveva rifiutato di scarcerare l’attivista, nonostante un referto medico evidenziasse le sue condizioni di salute critiche e incompatibili con il carcere. In risposta, Ebru Timtik e il suo collega Aytac Unsal, anche lui condannato e in sciopero della fame insieme a lei, sono stati trasferiti in due diversi ospedali della città.
“Non vogliamo giustizia solo per noi, combattiamo per i diritti di tutti”.
Scritto da David Sassoli