Amalia Bruni e le sue conquiste nella cura dell’ Alzheimer
Amalia Cecilia Bruni è una scienziata e neurologa di fama mondiale, grazie alle sue scoperte sull’Alzheimer; attualmente è direttrice del centro regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme. Ma facciamo un passo indietro, per capire chi sia davvero questa straordinaria donna e cosa ha fatto per il bene dell’umanità.
Nasce a Girifalco (provincia di Catanzaro) nel 1955, da bambina erano altri i suoi sogni: fino a 10 anni voleva diventare una commessa; a 14 si è innamorata perdutamente del cervello, dopo aver letto un trattato di psicoanalisi. Poi scelse la facoltà di medicina, laureandosi nel 1979 e specializzandosi all’Università di Napoli. La famiglia avrebbe voluto vederla sistemata a fare endoscopie all’istituto Pascale, diretto allora da un cugino materno, ma Amalia scelse la strada più difficile, quella della ricerca. Rientrò in Calabria, dove iniziò la sua attività professionale presso il Reparto di Neurologia del “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro. Cominciò uno studio sulle forme ereditarie di Alzheimer, che la condussero all’individuazione della presenilina, il gene più diffuso della malattia. Il riconoscimento significativo di tale traguardo è rappresentato dall’istituzione nel 1996, a Lamezia Terme, del Centro Regionale di Neurogenetica. Il centro si occupa di malattie neurodegenerative, in particolare di demenze, con iniziative di natura sociale, come gli “Alzheimer Caffè”, spazi protetti in cui le persone affette da demenza e i loro familiari possono interagire a livello interpersonale: i primi mantenendo attive le funzionalità sociali; i secondi parlando dei propri problemi e delle strategie trovate per risolverli, in un’atmosfera accogliente, centrata sull’ascolto e sulla cordialità. Sono presenti operatori esperti che illustrano le attività, psicologi che si occupano della stimolazione cognitiva, gestendo i gruppi di sostegno per i familiari e tanti volontari. Primaria rimane la ricerca, la dottoressa spiega di essere particolarmente interessata al DNA della popolazione calabrese, che è particolare e variegato. Un esempio recente: c’è un gene coinvolto nell’Alzheimer di tipo genetico, l’App (proteina precursore della beta amiloide), di cui solo lei con il suo team si sta occupando, ed è originario proprio dalla Calabria. Nel 2000, un team di ricercatori internazionali, coordinato dalla Bruni, scopre la “Nicastrina”, la proteina delle membrane delle cellule nervose, che taglia la beta amiloide, che a sua volta è una delle sostanze che si accumulano nei cervelli degli ammalati di Alzheimer. Fino a pochi mesi fa erano convinti che fosse proprio la beta a provocare la malattia, ora la considerano associata ad essa, perché è presente anche nei cervelli di chi è sano. La proteina è stata chiamata, in questo modo, in omaggio al nome della famiglia calabrese di Nicastro in cui è stato trovato il gene codificante. Sempre lei arrivò a scoprire che il primo caso di Alzheimer è avvenuto nel 1904 in una paziente di 38 anni ricoverata nell’ex manicomio di Girifalco, rovesciando quanto supposto fino ad allora, ovvero che la malattia fosse nata in Germania. Consultando le cartelle cliniche, ormai ingiallite del manicomio, la dottoressa associò i sintomi dei pazienti con quelli tipici della malattia. Non solo, ma analizzando l’albero genealogico dei malati, ha capito che può anche essere ereditaria, come nel caso di Teresa, una casalinga calabrese di 44 anni, che aveva atteggiamenti strani, per esempio, dimenticava la strada di casa, oppure la pasta sul fuoco. La neurologa diagnosticò l’Alzheimer ereditario, ad esordio precoce. La donna aveva, infatti, tra i suoi antenati il trasmettitore originario della malattia.
Purtroppo, come spesso accade, a causa della superficialità umana, il Centro di Neurogenetica rischia la chiusura, perché mancano i fondi. La dottoressa Bruni ha lanciato l’allarme spiegando che il laboratorio è completamente chiuso, il centro ha quasi smesso di fare ricerca. “Siamo in una situazione di estrema difficoltà, il decreto Calabria ha dato il colpo di grazia a tutte le strutture”.
Amalia Bruni ha collezionato, nella sua lunga carriera, diverse specializzazioni, oltre che numerosi riconoscimenti per la sua attività di ricerca. Nel 2008, la nostra città le ha conferito il premio “Gelsomino d’oro, un riconoscimento dato a personalità che hanno contributo o contribuiscono alla rinascita economica, culturale o morale della Calabria. Ha raggiunto importanti traguardi, ha collaborato con numerosi ricercatori e scienziati, tra cui Rita Levi-Montalcini, ed è merito suo se i malati calabresi hanno un punto di riferimento vicino. La dottoressa ha trovato la strada giusta verso la cura definita di questa malattia e siamo certi che riuscirà a sconfiggerla definitivamente.