Arcangela Tarabotti

Arcangela Tarabotti

Elena Cassandra Tarabotti, nasce a Venezia nel 1604; anche se la data di nascita è incerta si sa che fu battezzata il 24 febbraio nella Parrocchia di San Pietro[1]

. La sua famiglia apparteneva probabilmente alla categoria dei commercianti, il padre Stefano era esperto nelle cose di mare[2], e la madre si chiamava Maria Cadena. Vivevano nel rione di Castello, una zona popolare nota per le attività legate al mare dove si trovavano infilatrici di perle, marinai, costruttori di remi[3]…. Primogenita di almeno quattro sorelle e con due fratelli, sarà l’unica della sua famiglia ad essere destinata, contro la sua volontà, a diventare monaca nel monastero benedettino di Sant’Anna, nel rione Castello.Elena Cassandra infatti aveva ereditato proprio da suo padre un difetto fisico che la rendeva zoppa[4] e che per l’epoca non la rendeva maritabile, per questo fu destinata probabilmente ad entrare in monastero.

La Chiesa di Sant’Anna in Castello a Venezia dove suor Arcangela Tarabotti entrò nel 1617

Elena Cassandra entrerà in monastero nel 1617[5]. Tre anni dopo, nel 1620 prese i voti con la cerimonia della vestizione diventando suor Arcangela, nome con il quale firmerà anche la maggior parte delle sue opere, nelle quali denuncerà la drammatica realtà delle monache forzate, ma anche la più generale condizione della donna nella sua epoca e società. Essa verrà poi consacrata però solo nel 1629[6]. Arcangela non uscirà più dal monastero, dove vivrà per più di trent’anni e dove morirà per una bronchite il 28 febbraio nel 1652.

Arcangela Tarabotti scrisse diversi libri per denunciare la sua condizione di monaca forzata riuscendo a dare una chiara lettura della propria condizione che interessava però in realtà numerose veneziane. Riesce dalla propria esperienza a fare un quadro preciso delle motivazioni sociali, economiche e politiche che riguardavano la condizione delle donne veneziane nella sua epoca.
Le sue opere possono essere suddivise tematicamente e viste come una trilogia sulla condizione delle monache con le opere: La Semplicità Ingannata o La Tirannia paterna, L’Inferno monacale e il Paradiso monacale; un dittico proto femminista con gli scritti: L’Antisatira di Arcangela Tarabotti in risposta al Lusso donnesco e con Che le donne siano della specie degli uomini, e un nucleo invece a se stante che sono le Lettere familiari e di complimento.

Prima opera che firmò con lo stratagemma dell’anagramma di Galerana Baratotti, reso necessario per l’intensità dei temi trattati e per le sue argomentazioni. Infatti partendo dalla sua situazione di monaca forzata descrive la durezza dell’esistenza, non solo da un punto di vista personale, ma di quello di tante altre donne che come lei erano state costrette alla monacazione[9]. In questa opera Arcangela Tarabotti denuncia la sua condizione, che non è una situazione isolata ma è un costume adottato, abusato dalla società veneziana, dai padri che ingannano le figlie per farle entrare in monastero, dallo Stato, la Repubblica di Venezia, che permette questa pratica per preservare la classe nobiliare e dalle autorità ecclesiastiche, che vengono accusate anch’esse di essere troppo superficiali nell’indagare la reale vocazione delle monache, se non a volte complici nell’inganno.
L’opera presenta una struttura che si ritroverà anche negli altri suoi scritti, con una nota dedicatoria e la suddivisione in tre libri e verrà pubblicata solo dopo la sua morte nel 1654 con il titolo de “La semplicità ingannata”.
La semplicità ingannata

Edizione postuma, venne pubblicata con un titolo diverso anche per sottolineare l’aspetto che più nella sua esperienza, e in quella della maggior parte delle sue consorelle, era stato causa di tanto dolore, cioè appunto l’inganno da parte del genitore nell’età in cui più ci si fida di lui. Suor Arcangela usa la metafora di un uccellino che, libero, mentre canta viene intrappolato da una rete e rinchiuso[10]. La nota dedicatoria viene anch’essa cambiata: infatti ne La Ttrannia paterna era indirizzata alla Repubblica veneziana, qui invece Arcangela Tarabotti si rivolge direttamente a Dio, il quale è l’unico a conoscere la verità in una società di ingannatori.
Nella Lettera al lettore l’autrice spiega che non parla per astio, ma per denunciare l’inganno orribile che condanna degli esseri viventi a restare chiusi tra delle mura per sempre, per la salute del Cristianesimo e per il sollievo delle anime.
Anche l’ultima parte viene modificata, aggiungendo un capitolo in cui suor Arcangela prende le difese delle donne contro i ripetuti attacchi misogini dell’epoca, che nel Seicento si richiamano alla più vasta Querelle des femmes. Nello specifico risponde alle numerose critiche al genere femminile, rileggendo il mito di Eva e confutando l’evidenza per la quale, se Eva aveva peccato, era perché, a differenza delle donne della sua epoca, era libera di pensare e decidere.
L’inferno monacale

In quest’opera si ritrovano un po’ i temi che aveva già affrontato nella Semplicità ingannata ma si sofferma maggiormente nella descrizione della difficoltà della vita che non si è scelta. La convivenza con le altre monache del monastero, gli episodi che descrivono l’abbrutimento dell’animo di chi è costretto ad una vita che non voleva. L’opera si apre con ben due note dedicatorie, una alla Repubblica di Venezia, e che era quella originaria della Tirannia paterna, e una invece rivolta proprio a quei padri che avevano costretto le proprie figlie ad una vita piena di disagi e sofferenze.
Il Paradiso monacale

Seppur forse ultima opera del trittico pensato, diventa la prima opera pubblicata da Arcangela Tarabotti nel 1643. Viene dedicata al Cardinale di Venezia, Federico Baldissera Bartolomeo Cornaro e consiste in un soliloquio con Dio a cui confessa i suoi peccati, che tuttavia si fermano al solo fatto di non portare gli abiti monacali[14]. Nella Lettera al lettore pone in evidenza invece il motivo del libro, che era quello di sottolineare quanto per una monaca vocata i monasteri fossero luoghi di pace, sottolineando in questo modo in realtà quanto non lo fossero per chi, come lei, non aveva scelto liberamente una vita religiosa.
Le opere perdute

Si pensa che il Paradiso monacale, L’inferno monacale dovessero far parte di una trilogia sulla falsa riga della Divina commedia di Dante, poiché era prevista anche l’opera Il Purgatorio delle mal maritate , opera tuttavia persa. Sono rimasti anche i titoli di altri scritti mai trovati: Le contemplazioni dell’anima amante, La via lasciata del Cielo e La luce monacale.
L’Antisatira

Fu la seconda opera pubblicata da suor Arcangela nel 1644 e fu scritta in risposta all’opera di Buoninsegni e alla sua Satira Mennipea contro il lusso donnesco, nella quale ridicolizzava le donne per le loro acconciature, per il loro modo di vestirsi, per la loro vanità, associando al lusso un senso di peccato e dannazione.
L’opera fu dedicata a Vittoria Medici della Rovere, moglie di Ferdinando II de’ Medici.
Lettere familiari e di complimento

Furono pubblicate nel 1650 e dedicate a Francesco Loredan, membro dell’Accademia degli Incogniti. Dalla sua corrispondenza si riscontrano testimonianze che riportano episodi sia della sua vita monastica ma anche personale e culturale e dei motivi per i quali scrisse le sue opere. L’epistolario rende pienamente testimonianza degli scambi intellettuali che Arcangela ebbe con i maggiori scrittori e pensatori della sua epoca in Italia ma anche all’estero.
Che le donne siano della specie degli uomini – Difesa della donna

Fu la sua ultima opera, e fu scritta in risposta ad un trattato del 1647 che sosteneva che le donne non avessero un’anima: “Che le donne non siano della specie degli uomini. Discorso piacevole tradotto da Horatio Plata Romano”. Arcangela Tarabotti per difendere le donne da questa accusa usa a sua volta passi delle Sacre Scritture per smontare le affermazioni del trattato.

Da Wikipedia

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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