Architetta

Architetta

L’INTERVISTA

Di recente vi siete opposte, definendola “discriminatoria”, alla Festa dell’architetto 2019. Perché avete scelto di non partecipare?
Il Premio e la Festa anziché rivolgersi a entrambe le figure professionali ne riflettono solo una, singolare, maschile: l’Architetto. Non riteniamo paritetico escludere a priori dalla lingua la presenza delle donne in architettura. Le indicazioni del MIUR e dell’Accademia della Crusca sono molto chiare a riguardo: esprimono con determinazione la necessità di un utilizzo non discriminatorio della lingua italiana. Risale al 1987 il pionieristico lavoro di Alma Sabatini “Il sessismo nella lingua italiana”.

RebelArchitette. Quote2A. Courtesy RebelArchitette
RebelArchitette. Quote2A. Courtesy RebelArchitette

Però non candidandovi al premio, non avete dato una chance di visibilità al vostro lavoro…
Qualora avessimo partecipato ed eventualmente vinto, avremmo ricevuto un premio che nega nel suo stesso titolo la nostra presenza come genere femminile nella professione. Credo sia abbastanza ovvio che, al nostro posto, nessun collega vorrebbe oggi sentirsi attribuire un premio intitolato al femminile. Nei due anni precedenti a questa edizione, proprio per evitare che molte iscritte si sentissero a priori escluse dal partecipare, avevamo già sollecitato il Consiglio Nazionale degli Architetti PPeC (con una richiesta ufficiale, diffusa poi online) a trasformare la dicitura in Festa e Premio dell’Architettura. Le professioniste iscritte in Italia presso gli ordini professionali stanno crescendo in modo considerevole (42%). Le under 30 superano addirittura il numero di colleghi maschi, in Lombardia rappresentano il 44,7% degli iscritti e il numero delle iscritte in università oltrepassa quello dei maschi. Quali altri dati servono per evidenziare la necessità di un trattamento equo? Non è più tollerabile continuare a utilizzare il solo termine al maschile singolare. Le architette ci sono ed è importante nominarle in modo corretto.

Esistono sì, ma non tutte riescono a definirsi tali. Questo almeno emerge dalla vostra ricerca sul ricorso al timbro al femminile da parte delle professioniste. Qual è lo scenario a due anni dall’introduzione di questa possibilità?
La risposta dei nostri organi rappresentativi riguardo all’utilizzo del linguaggio di genere e l’adozione del timbro è ancora ampiamente inadeguata. Nonostante l’approvazione del primo timbro bergamasco abbia avuto favorevole risalto nazionale e siano seguite altre campagne, a oggi sono solo cinque gli ordini che ci hanno confermato il loro utilizzo. Gli ordini professionali italiani che abbiamo contattato a riguardo sono stati 106; a rispondere all’indagine, coordinata dalle architette Cinzia Bigoni e Caterina Pilar Palumbo, appena 41. Tra l’altro, 35 ordini e il Consiglio Nazionale PPeC hanno aderito già da anni alla Carta Etica per le Pari Opportunità e l’uguaglianza nella professione di architettosviluppata dall’Associazione ADA. Sottoscrivendola si impegnano sia a costituire Commissioni di Pari Opportunità specifiche, sia a tutelare e valorizzare la figura della donna nella professione. Non capiamo come non possa ancora venire considerato strategico l’utilizzo del termine Architetta.

RebelArchitette. Le solite al solito, performance. Photo © Francesca Perani
RebelArchitette. Le solite al solito, performance. Photo © Francesca Perani

Veniamo a nomi e numeri.
Bergamo, Roma, Lecce, Napoli e Torino prevedono entrambi i timbri; Bergamo anche quello di Pianificatrice. Roma, Lecce e Napoli hanno aderito grazie a richieste provenienti da singole iscritte. L’Ordine di Torino ha risposto alla nostra sollecitazione approvando la declinazione del timbro proprio in questi giorni, grazie al lavoro portato avanti dal “Focus pari opportunità” coordinato dalla consigliera Rita Argento e dall’architetta Romina Botta. Otto ordini (Como, Lecco, Lodi, Pavia, Pisa, Potenza, Venezia, Vicenza) hanno colto la necessità di affrontare il tema in consiglio: ci auguriamo di conoscere i risultati nelle prossime settimane. Gli ordini di Brescia, Catanzaro, Genova, Isernia, Lucca, Palermo, Perugia, Trento, Trieste, Varese utilizzano la dicitura neutra Arch., senza specificare il genere.

Chi si è opposto?
Tredici ordini (Valle d’Aosta, Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, L’Aquila, La Spezia, Mantova, Monza Brianza, Oristano, Parma, Reggio Calabria, Sondrio) hanno riferito che, non avendo ricevuto richieste in merito, non hanno ancora preso in considerazione questa attuazione. Ci sono poi gli ordini di Bologna, Massa Carrara, Milano, Teramo e Terni: hanno confermato di aver deciso, in sede consiliare, di non voler adottare la dicitura Architetta; a Milano e Massa Carrara erano pervenute diverse richieste.

Perché è così importante che il termine Architetta diventi sempre più comune?
Proviamo a fare un paragone. Se vostro figlio volesse seguire un corso di danza, a conclusione del quale lo definissero “ballerina uomo” non trovereste la cosa inaccettabile? Noi sì, e non possiamo più permetterlo. Nella lingua italiana i nomi professionali sono declinati al femminile e al maschile: con la declinazione finale a-osingolare, e-i al plurale o con l’aggiunta dell’articolo. Che sia per resistenza o per ignoranza, la sua non adozione è di fatto un’ulteriore discriminazione nei confronti delle donne.

RebelArchitette. TimeFor50 - Tempo di parità. Courtesy RebelArchitette
RebelArchitette. TimeFor50 – Tempo di parità. Courtesy RebelArchitette

Va tuttavia rilevata una diffusa diffidenza, se non indifferenza, di tante professioniste verso questa definizione: non tutte si riconoscono.
Molte colleghe non sono pronte a utilizzare il termine architetta, perché per decenni si sono autodefinite al maschile. Possiamo comprendere una loro personale difficoltà all’accettazione del cambiamento, ma dopo aver dibattuto sul tema per molti anni la nostra vera domanda è: come mai si nega alle più giovani, che già utilizzano il termine in università, di riconoscersi nel timbro professionale? Se vogliamo che anche le donne abbiano una professione che le rappresenti, dobbiamo favorire questa adozione linguistica perché avvenga in tempi brevi e perché favorisca altre professioni che rimangono ancor oggi intrappolate in una terminologia discriminante. Le mediche di base di recente hanno esplicitato la nostra stessa necessità grazie al lavoro del Movimento Giotto, ma vediamo difficoltà anche per quanto riguarda avvocate, ingegnere, ministre, assessore, direttrici, calciatrici, capitane, etc.

Italia VS estero. Ritenete che il panorama professionale nazionale sia ancora immobile rispetto al tema della parità di genere?
All’estero si vivono problemi simili. L’unica differenza è la maggiore consapevolezza e, dunque, la maggiore volontà di cambiamento congiunta da parte di uomini e donne. In Italia sembra non esserci ancora piena coscienza del problema. Nessuno sembra accorgersi, ad esempio, che case editrici di riviste specializzate in architettura abbiano sempre avuto una prevalenza di direttori maschi (Domus, dal 1928 a oggi, ha avuto una sola donna), che la Biennale di Architettura di Venezia non abbia mai avuto una curatrice del Padiglione Italia, oppure che interi comitati scientifici quali quello della recente Biennale di Architettura di Pisa presentino solo 2 donne su un totale di 22 membri.

Eppure qualcosa sta iniziando a cambiare…
Da qualche tempo il gruppo #boycottmanels, promosso dalla manager culturale Patrizia Asproni, dichiara che qualora si presentino conferenze sbilanciate o completamente al maschile sia gli uomini che le donne dovrebbero boicottarle non partecipando. Ci sembra un’ottima idea, dato che la discriminazione avviene anche in occasioni pubbliche. Dal nostro report #timefor50 #tempodiparità, su 411 eventi di architettura realizzati negli ultimi due anni in Italia il 37% presenta soli relatori uomini. Con #tempodiparità chiediamo espressamente che si miri a una equa partecipazione. Ma noi intanto stiamo discutendo dell’accettazione di un termine, Architetta, che in Spagna e in Portogallo è assolutamente in uso comune (arquitecta, arquiteta) e che la lingua italiana prevede da sempre.

È in arrivo la 17. Biennale di Architettura. Cosa vi aspettate da Alessandro Melis, sul fronte del Padiglione Italia? 
L’esperienza internazionale di Alessandro Melis in Regno Unito lo rende un potenziale outsider, un protagonista “indipendente” da cui ci auguriamo grandi cose sia sotto il profilo delle scelte curatoriali che di sensibilità verso i temi sociali. Ci aspettiamo che scelga di rappresentare il tema chiamando a partecipare coloro che meglio lo interpretano in una formula meritocratica, allargata e quindi inclusiva. Ogni progetto di architettura dovrebbe esserlo e quindi perché non pensarlo applicato in questa occasione? Crediamo nel valore della diversità data da sguardi differenti per genere, per età e per quante differenze non ancora emerse: questo è il messaggio della nostra campagna #timefor50 #tempodiparità. L’architettura in questo momento ne ha disperatamente bisogno.

RebelArchitette. Le solite al solito, performance con Antonello Manenti e Caterina Palumbo. Photo © Francesca Perani
RebelArchitette. Le solite al solito, performance con Antonello Manenti e Caterina Palumbo. Photo © Francesca Perani

A Venezia, alla Biennale del 2018, avete fatto sentire la vostra voce. Prevedete altre azioni corali nella prossima edizione?
Il nostro coinvolgimento alla Biennale sarà coerente con gli obiettivi che contraddistinguono la nostra attività; non possiamo sapere se sarà necessario o meno. Per noi in realtà è fondamentale riuscire ad avere un impatto sulle nuove generazioni di studenti e studentesse. Al momento stiamo lavorando con una rete internazionale per fare in modo che il libro online (Architette=Women architects HERE WE ARE!), sino a oggi consultato da più di 13300 utenti da tutto il mondo, possa tramutarsi in una grande piattaforma aperta e collaborativa. Un contenitore dinamico che raccolga quanti più profili possibili di architette di talento da studiare, da approfondire, da cui trarre ispirazione, da invitare come relatrici, da interpellare come membri di giurie, come docenti e come esperte in temi specifici.

Un obiettivo verso cui puntate?
Sin da novembre 2017 diffondiamo un modulo di richiesta che ogni iscritta o iscritto può inviare direttamente al proprio Ordine per favorire l’adozione del timbro alle nuove generazioni di iscritte. È questo il nostro obiettivo principale: non lasciare che le laureate, una volta superato l’esame di Stato, si vedano applicare di default un termine maschile.

‒ Valentina Silvestrini

http://www.rebelarchitette.it/

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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