Caterina: la strega
Il mio nome è Caterina dei Medici.
Sono morta il 4 marzo 1617, strangolata e poi data alle fiamme davanti ad una folla urlante e spaventata, sicura solo che quel giorno non sarebbe toccato a nessuno di loro, perché il tribunale dell’Inquisizione, quella mattina, aveva già scelto la sua vittima sacrificale.
Sono una strega, o meglio, sono una povera donna, accusata e condannata per stregoneria, vittima della vita e della miseria che con me non si sono risparmiate.
Sono una delle streghe della Vetra, così definite per il luogo del nostro martirio. Si, perché di questo si tratta, ma non sono diventata santa.
Piazza Vetra a Milano si trova tra la Basilica di San Lorenzo e la Cerchia dei Navigli. Per secoli questo luogo è teatro della tortura e della morte dei milanesi condannati per i più differenti reati, per lo più inesistenti, come i miei.
Il nome Vetra deriva dai “vetraschi”, i lavoratori che in questo quartiere con il vetro grattano i panni per conciarli. I residui della concia sono versati nella Vetra, il canale di scolo che da il nome alla piazza e al quartiere.
Tutta la zona è malsana, misera e povera.
Per arrivare in questo posto, l’ultimo per i condannati, bisogna passare sul ponte cosiddetto “della Morte”. Giunti nella piazza, sterrata un tempo, da una parte si trova l’area destinata alla tortura e di fronte quella dell’esecuzione. A ricordare a tutti che questo è un luogo si sofferenza e morte, dove arrivano per lo più i poveri e i disagiati, c’è la statua di San Lazzaro.
L’attività inquisitoriale in Lombardia fa molte vittime. I numeri con certezza non si sanno, mancano spesso i documenti. La follia dilaga soprattutto nel nord della regione. All’inizio del 1400, Antonio da Casale in provincia di Como fa condannare al rogo 300 streghe in pochi mesi. Nel 1431 la Val Levantina e la Valtellina sono “invase” dall’Inquisizione che condanna decine e decine di donne al rogo per stregoneria.
Gli anni a venire sono davvero cruenti, pieni di terrore e incertezza.
Le esecuzioni a Milano si moltiplicano, alternandosi fra Piazza Vetra e Sant’Eustorgio, fino al 1558 quando Papa Paolo IV trasferisce il tribunale dell’Inquisizione di Milano da S. Eustorgio a S. Maria delle Grazie.
1563: Carlo Borromeo è consacrato arcivescovo di Milano. Con lui l’Inquisizione si diffonde nelle Valli Alpine, dove le antiche tradizioni ancora sono molto diffuse. La sua attività è tristemente nota. Ma non riguarda la mia vicenda, non riguarda la mia vita.
La mia storia si svolge nel periodo nel quale Federico Borromeo è arcivescovo di Milano, tra il 1595 e il 1631. In questo periodo la caccia alle streghe a Milano e in Europa si intensifica notevolmente.
Il Tribunale dell’Inquisizione, alloggiato a S. Maria delle Grazie, lavora alacremente per mandare al rogo della Vetra il maggior numero di persone accusate di stregoneria.
E’ il 1573. Nasco a Broni da una famiglia povera ma onesta. A 13 anni mio padre decide di darmi in sposa a Bernardino Zagalia, detto Pinotto, un uomo rozzo, più grande di me, che non vuole una moglie, ma solo una donna da sfruttare e da picchiare quando gli va.
Ci trasferiamo a Pavia. Fin da subito la mia vita è una miseria. Oltre alla botte e agli abusi, mio marito mi costringe a prostituirmi.
Dopo sei anni di sofferenza il buon Dio mi dà una possibilità. Resto vedova.
Il solo modo che ho per sopravvivere è fare la sguattera nelle osterie, oppure la serva presso i signori del posto. Nel 1598 vengo presa come fantesca – domestica – nella casa del capitano Giovanni Pietro Squarciafico a Occimiano, nel Monferrato.
Il capitano mi sembra una brava persona. Ha un debole per me. In poco tempo divento la sua amante e con lui ho due figli. Ma mi sbaglio, non è un uomo buono, non mi vuole e non vuole i nostri figli, mi disprezza e come lui la gente del posto. Per riscattare la mia situazione nel 1610 decido di diventare “strega formale”, partecipando per la prima volta ad un barilotto (sabba). Spero di acquisire dei poteri magici che possano aiutare me e i miei bambini in questa vita di miseria e soprusi.
Ben presto le chiacchiere sul mio essere “strega” e sulla mia dubbia moralità arrivano al Vescovo di Casale Monferrato, che consiglia al capitano di allontanarci per far cessare le maldicenze. Il capitano è un bravo cattolico, ubbidisce.
Per tre anni siamo costretti a girovagare. Ho lavorato in molti posti diversi, poi nel 1613 sono andata a servizio presso la casa del capitano Vacallo. Li non rimango a lungo, ma i guai mi seguono, forse li attiro.
Il padrone ha una relazione con l’altra domestica che lavora per lui, che si chiama come me, Caterina, ma per distinguerci lei la chiamano Caterinetta. È la figlia della cuoca. Il Vacallo è ossessionato dalla giovane, la cerca e la scaccia di continuo, sembra quasi … innamorato. Per un po’ ha pensato di sposarla. Ma come può un uomo del suo rango pensare con affetto a una donna tanto inferiore? Il Vacallo è certo di essere vittima di un sortilegio, fatto apposta per soggiogarlo da Caterinetta e da sua madre, con il mio aiuto ovviamente, che sono strega “formale”. Non ne faccio certo mistero.
E così vengo allontanata dalla casa del capitano che parte per la Spagna. E Caterinetta? Sparisce, non so più nulla di lei.
È il 1616, arrivo in casa del senatore Luigi Melzi d’Eril. Poco dopo il mio arrivo in casa io e il senatore iniziamo una relazione. Questa volta voglio migliorare la mia vita, quell’uomo mite mi piace, e così costruisco degli amuleti, degli oggetti del maleficio che lascio nel letto del padrone, per farlo innamorare di me. Ma ancora una volta le cose non vanno bene. Il Melzi d’Eril si ammala di una malattia misteriosa, presumibilmente di origine nervosa; inizia a soffrire di dolori allo stomaco e di melanconia. I medici non capiscono l’origine del suo male e per non fare la figura degli incompetenti decidono che certamente la natura del malessere è magica.
Per motivi poco chiari, il capitano Vacallo il 30 novembre 1616 arriva a casa del Melzi d’Eril. Rivedendomi qui, si convince subito che ho messo in atto un maleficio. Il mio destino è segnato. Il capitano avverte il figlio del senatore, Ludovico, che in casa a loro servizio hanno preso una strega.
L’accusa è presto fatta. Il verdetto scontato.
La testimonianza dei medici sulla natura magica del male, le parole di Vacallo e le testimonianze delle due sorelle suore del senatore, che giurano che gli oggetti trovati nel suo letto sono “maleficati” mi condannano senza ombra di dubbio come una strega. Il senatore, in un primo momento dalla mia parte, si convince della mia colpevolezza e per salvare il suo “onore”, afferma che sicuramente è vittima di maleficio, perché sono talmente brutta da essere intoccabile.
Brutta…. Ho 44 anni, la vita è stata per me un calvario di sofferenza e abusi, sono stata rifiutata ed emarginata ed ora mi si accusa per ignoranza.
Mi arrestano il 27 dicembre.
Confesso è meglio, così magari non mi fanno del male e non mi uccidono, non voglio morire, ho due figli, sono ancora giovane. Ammetto di essere una strega e di aver fatto un incantesimo per far innamorare il senatore d’Eril. Confesso il sabba e di aver aiutato Caterinetta a far innamorare Vacallo.
Ma non basta. Ho paura.
Mi vengono a prendere, mi portano in una stanza buia, un sotterraneo, dove le uniche luci presenti erano quelle della candela e dei bracieri accesi nel camino. Il tempo passa, non so quanto, mi bendano, mi denudano. Ho freddo, tanto, e ho paura. Ma perché farmi del male, ho confessato.
Nella stanza ci sono il giudice che mi fa le domande, il cancelliere che redige il verbale e il medico che dove occuparsi di me. Un uomo incappucciato mi fa del male. Mi ispeziona, abusa di me. Mi sento morire. Vorrei morire, ora. Mi fanno male. Confesso ancora.
Il giudice emette la sentenza: morte. Cado a terra, nessuno mi aiuta, nessuno ha pietà di me.
Mi portano sul luogo dell’esecuzione, in Piazza Vetra, sopra un carro. La gente urla, sputa, mi ingiuriano. Vorrei solo finisse tutto in fretta, ho freddo.
Il tragitto mi sembra infinito. Per l’occasione, per la prima volta, hanno costruito una baltresca, un palco, che consente alla grande folla dei presenti di assistere mentre il boia mi strangola prima del rogo.
È il momento. Sento solo le parole del funzionario inquisitore incaricato che ripete questi versetti del Vangelo: “Se uno non dimora in me, venga buttato come un ramo che si secca, e questi rami vengano raccolti e bruciati”. È il momento, ho paura. Ancora un attimo e tutto sarà finito. Solo il buio. Finalmente non ho più paura.
Cosi muoio il 4 marzo 1617. Sono una delle streghe della Vetra, una delle tante donne colpevoli senza colpa.
Ci vorranno ancora 30 anni prima che i roghi a Milano finiscano. L’ultimo, nel 1641, si conclude in modo grottesco. Il boia, maldestro tenta per due volte di impiccare Anna Maria Pamolea e la sua serva Margherita, ma tutte e due le volte la corda si spezza.
Il Registro delle sentenze capitali a questo punto si dimentica delle condannate per raccontarci la furiosa lite tra il boia e un cavaliere della Confraternita di San Giovanni Decollato in merito alla “professionalità” del boia.
Dal Web, Rosella Reali