La Corte di Strasburgo condanna i giudici italiani e hanno detto basta al:” Se l’è andata a cercare!”
L’avevano definita «un soggetto femminile disinibito, creativo, in grado di gestire la propria (bi)sessualità e di avere rapporti occasionali di cui nel contempo non era convinta». Avevano messo l’accento sul fatto che avesse “mostrato gli slip rossi mentre cavalcava un toro meccanico”. E con queste motivazioni, nel 2015, i giudici della Corte d’Appello di Firenze avevano assolto sette giovani accusati di aver violentato una ragazza di 22 anni, ribaltando così la sentenza di primo grado. Ora però è arrivata la condanna: non per il gruppo di giovani, ma per i giudici che quella sentenza l’hanno scritta. È firmata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dice così: «Il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello trasmettono pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e che possono costituire un ostacolo alla tutela effettiva dei diritti delle vittime di violenza di genere”.
In pratica la Corte di Firenze non solo “non ha protetto i diritti e gli interessi” della ragazza dalla cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, ma con le motivazioni della sentenza ha di fatto avallato la ricorrente tesi del “se l’è andata a cercare”. Un atteggiamento che secondo Strasburgo viola l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello che tutela “il diritto al rispetto della vita privata e dell’integrità personale”.
La Corte non ha il potere di ribaltare la sentenza, che resta di assoluzione piena “perché il fatto non sussiste”. Ma ha condannato l’Italia a risarcire 12 mila euro alla ragazza per danni morali, oltre a 1.600 euro per le spese. “Una sentenza che rende giustizia a tutte le donne – dice Titti Carrano, l’avvocato che ha difeso la giovane protagonista suo malgrado della vicenda –. La vita e la dignità di questa donna sono state calpestate così come sono state calpestate la riservatezza e l’immagine”. Nel collegio giudicante è mancata l’unanimità: sei giudici hanno votato a favore (tra cui l’italiano Raffaele Sabato) e uno contro. Si tratta del polacco Krzysztof Wojtyczek.La vicenda risale al luglio del 2008, quando una ragazza all’epoca 22enne aveva denunciato uno stupro di gruppo avvenuto quattro giorni prima. Secondo il suo racconto, sette coetanei l’avevano violentata all’interno di un’auto nei pressi della Fortezza da Basso, dove erano in corso eventi estivi. Nel 2013 i giudici di primo grado avevano condannato sei di loro a quattro anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale di gruppo aggravata “dalle condizioni di inferiorità fisiche e psichiche” della vittima, che era sotto effetto di alcol.
Due anni dopo, però, la Corte di Appello di Firenze aveva ribaltato il verdetto, assolvendo tutti perché “il fatto non sussiste”, mettendo in dubbio la credibilità della ragazza per i motivi di cui sopra. La sentenza è diventata definitiva in quanto la procura generale di Firenze aveva rinunciato al ricorso in Cassazione. Le motivazioni dei giudici avevano subito sollevato manifestazioni di protesta e polemiche, che ora trovano sostegno nel verdetto di Strasburgo. «È essenziale – scrivono i giudici della Corte europea – che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle loro decisioni, di minimizzare le violenze basate sul genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria con parole colpevolizzanti e moralizzatrici».
Di Marco Bresolin