La storia di Sara

La storia di Sara

Tra le donne che hanno sopportato per decenni c’è Sara, romana, 50 anni. «I primi tempi prendevo le botte come un gesto d’affetto: sono cresciuta con una padre violento, credevo che anche il mio ex lo facesse perché mi amava». La reazione di Sara è stata una profonda depressione, che l’ha portata a un ricovero e poi alla psicoterapia. Finita il giorno in cui il marito l’ha seguita, è entrato nello studio della psicologa e ha spaccato tutto. La dottoressa lo ha denunciato, poi ha telefonato a Sara e le ha detto che non poteva più seguirla. Sono iniziati anni di sevizie, minacce di morte o di suicidio (da parte di lui), referti in ospedale, denunce poi ritirate. «I carabinieri mi mandavano a chiamare e chiedevano: cosa vuole fare, proseguire o mettersi d’accordo? E io ritiravo», dice Sara. Anche questo succede spesso: «Senza una formazione specifica, le forze dell’ordine tendono a trattare le violenze come un fatto privato, che i coniugi devono risolvere da soli. Alcuni assistenti sociali li chiamano “conflitti”, invece che reati», spiega Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa.
Solo nel 2005, dopo quasi dieci anni di sevizie, Sara ha trovato la forza di chiedere di nuovo aiuto e si è rivolta al Centro antiviolenza della Provincia di Roma. Lì ha incontrato l’avvocatessa Teresa Manente, che un anno dopo ha portato il caso a processo. Sembrava fatta. Invece la mattina dell’udienza Sara ha mandato un fax in tribunale, per ritirare il mandato e la richiesta di costituirsi parte civile. «Ero in preda al panico: mio marito aveva bruciato il negozio di mia mamma». È il terrore, non il dolore, il nucleo delle violenze domestiche: le donne vivono nella paura costante, pensano soltanto a sopravvivere, tornano sui loro passi. Così danno forza ai persecutori. Sara ha vissuto in una bolla per anni. Finché un’amica le ha detto: «Tu hai paura di morire, ma sei già morta». Qualcosa è scattato: Sara ha cambiato la serratura di casa e ha scritto su tutti i muri, con il pennarello rosso: «Sono uscita dal cancro». A fine 2010 ha convinto l’avvocatessa Manente a riprendere il suo caso. Nel frattempo l’uomo è stato condannato per maltrattamenti a un anno (con l’indulto non farà carcere); è in corso un processo per stalking e gli è stato notificato il divieto di dimora nel Lazio. Sara non ha più paura: «Se la legge funziona, se non sei sola, puoi provare a rinascere a una vita (davvero) normale»

Dal Web

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

Invia il messaggio