Luigi Luca Cavalli Sforza: razza umana concetto infondato!
Purtroppo non ha ricevuto il Nobel ma la sua lotta scientifica al razzismo lo avrebbe ampiamente meritato, ecco un articolo che parla di Lui in occasione della sua morte avvenuta oggi…grazie grande Luca!
Ha dimostrato che il concetto di razza umana è biologicamente infondato e abbattuto la barriera tra cultura scientifica e umanistica, facendo dialogare discipline diverse per arrivare a costruire un atlante genetico della storia del mondo. Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista e scienziato, è morto a 96 anni a Belluno, dove viveva. Con i suoi studi ha messo le basi per la nascita di una nuova disciplina, la genetica delle popolazioni. Era nato a Genova nel 1922. La sua carriera scientifica, cominciata in Gran Bretagna, è proseguita fra l’Italia e la California, in particolare nelle Università di Parma, Pavia e Stanford dove insegnava. A Stanford negli ultimi anni è stato insignito del titolo di professore emerito. Dopo aver studiato a Torino nella scuola di Giuseppe Levi, come prima di lui avevano fatto Rita levi Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco (tutti e tre premiati con il Nobel per la Medicina), Cavalli Sforza ha cominciato la sua carriera nell’Università di Pavia con il pioniere della genetica italiana, Adriano Buzzati Traverso, fratello dello scrittore Dino. Allora i geni erano un’entità da definire, comprendere e misurare: anche grazie al fascino di queste ricerche Cavalli Sforza ha seguito Buzzati Traverso in Germania e poi nell’Istituto di Idrobiologia di Pallanza, in Piemonte, studiando soprattutto la genetica del moscerino della frutta e dei batteri. In seguito il suo interesse scientifico si sarebbe invece concentrato soprattutto sull’uomo. Di Buzzati aveva sposato la nipote, Alba Maria Ramazzotti.L’amore per l’Italia
I colleghi ricordano Luigi Luca Cavalli Sforza come un ricercatore animato da grande curiosità, che lo aveva portato a studiare tanto la biologia quanto la statistica, discipline diverse che riuscì a conciliare nelle ricerche sulla genetica delle popolazioni, dai primi studi condotti in Italia fino ai viaggi in Africa. Dal 1970 ha lavorato nell’Università di Stanford per oltre 20 anni ed è tornato in patria nel 1994, fermamente intenzionato, diceva, a lottare contro «l’inerzia e la lentezza della ricerca italiana». Proprio in Italia intendeva portare avanti le ricerche sull’origine delle popolazioni, che definiva «importanti per comprendere i meccanismi dell’evoluzione e l’adattamento culturale», e sui movimenti migratori. Presto avrebbe osservato, però, che la ricerca era ferma ai livelli di 30 anni prima, con «poco denaro e mal distribuito».
L’atlante genetico del mondo
In ogni caso Cavalli Sforza ha continuato a lavorare, arrivando ad affermare che il concetto di razza è solo culturale e non è dimostrato da alcuna base genetica. Inoltre ha saputo far dialogare discipline diverse – genetica, matematica, archeologia e linguistica – per costruire un atlante genetico del mondo, un albero genealogico dell’evoluzione umana basato su dati biologici, ma anche archeologici e linguistici. Cavalli Sforza era socio dell’Accademia nazionale dei Lincei e membro della Royal Society. Tra le numerose onoreficenze che ha ricevuto nel corso della sua vita, la Medaglia d’oro del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e il Premio Balzan. Tra le sue pubblicazioni: Geni, popoli e lingue (l’opera più importante); L’evoluzione della cultura; Il caso e la necessità: ragioni e limiti della diversità genetica; Razzismo e noismo: le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro. Insieme al figlio Francesco ha scritto il libro Chi siamo. La storia della diversità umana. Cavalli Sforza si è impegnato anche nella divulgazione scientifica, attraverso pubblicazioni, incontri, organizzazione di festival e mostre.
Dai batteri all’uomo
«È stato uno studioso di grandissima importanza a livello mondiale, ha attraversato tutti i campi della genetica, iniziando dai batteri per arrivare all’uomo» è il ricordo di Guido Barbujani, professore di genetica all’Università di Ferrara che in diverse occasioni ha collaborato con Cavalli Sforza. Anche Barbujani studia la genetica delle popolazioni. «L’intuizione più importante di Cavalli Sforza è l’aver capito, negli anni ‘70, che nel nostro Dna è racchiuso un messaggio che arriva dalle generazioni precedenti e che ci aiuta a capire aspetti della storia e della preistoria che altrimenti ci sarebbero rimasti ignoti. Un uomo di grande lucidità intellettuale, ma anche un grande imprenditore scientifico: ha dato vita a iniziative a livello mondiale, trasformando le sue intuizioni in progetti di ricerca vastissimi come lo Human Genome Diversity Project (Hgdp), strumento attraverso cui si è passati dalla lettura di un singolo genoma alla comprensione delle differenze tra genomi, differenze che ci rendono individui unici e irripetibili».
La storia degli antenati
In che cosa consiste la genetica delle popolazioni? «Fino agli anni ‘70 era una disciplina il cui scopo consisteva nel limitare il più possibile il rischio di malattie genetiche recessive, che si ha quando due genitori sono portatori sani e un quarto dei figli sviluppa la patologia. Dunque un ambito molto limitato – sottolinea Barbujani -. Cavalli Sforza è stato il primo a capire con chiarezza che nelle nostre cellule c’è molto di più, la traccia di una storia trasmessa dai genitori, dagli antenati, fino ad arrivare ai primi sapiens. Una vera e propria genetica dell’evoluzione. Questa intuizione ha messo in moto tante collaborazioni interdisciplinari – con linguisti, archeologi, antropologi, biologi molecolari – e sono stati avviati progetti di ampio profilo culturale».
Confronto tra genomi
Come si è arrivati a superare il paradigma della razza? «Gli studi di Cavalli Sforza e di altri hanno permesso di definire che il concetto di razza non è biologicamente valido – risponde il professor Barbujani -. Si è visto con chiarezza che non ci permette di capire le differenze tra individui, mentre abbandonandolo e lavorando sul confronto tra genomi si aprono grandi strade per la comprensione del nostro passato e della specificità dei singoli esseri umani». Lei è stato allievo di Cavalli Sforza? «Non direttamente – conclude lo scienziato -. Tutti noi genetisti abbiamo lavorato sulle sue idee, ma quando ero nel pieno sviluppo della mia carriera io facevo parte del gruppo di Robert Sokal negli Stati Uniti, uno studioso austriaco che era in concorrenza diretta con Cavalli Sforza. Questo ci ha impedito di lavorare fianco a fianco nello stesso laboratorio, ma nonostante ciò abbiamo collaborato in numerose ricerche. Nutro molto affetto nei suoi confronti, così come lui ne provava nei miei. Voglio ricordarlo come uno dei grandi intellettuali italiani del Ventesimo secolo, un uomo che è riuscito a scavalcare le barriere storiche tra scienze esatte e scienze umane, un merito che, sono certo, gli verrà riconosciuto nei prossimi decenni».
Di Laura Cuppini