Marisela Ortíz Rivera, psicologa e insegnante nata nello Stato di Chihuahua, è tra le fondatrici di Nuestra Hijas de Regreso a Casa, associazione nata nel 2011 per riunire i familiari e gli amici delle giovani uccise e scomparse. L’associazione è nata dopo la scomparsa e l’assassinio di una delle studentesse della Ortiz Rivera, Lilia Alejandra García Andrade, una giovane di diciasette anni, lavoratrice in una maquiladora e madre di due bambini. La ragazza fu rapita il 14 febbraio del 2001, torturata e strangolata. Il suo corpo venne ritrovato dopo una settimana.
Marisela Ortíz Rivera è insieme alla madre di Lilia, Norma Esther Andrade, la donna simbolo della lotta al femminicidio. Entrambe nel corso degli anni hanno ricevuto diverse intimidazioni e minacce di morte che le hanno costrette a lasciare Ciudad Juárez.
Ho intervistato Marisela nell’aprile del 2013 e ne ho tradotto le risposte.
1) Attualmente lo Stato messicano rappresenta lo Stato con il maggior numero di casi di violenza di genere e i due terzi dei crimini sono definiti di “violenza estrema” da María de la Luz Estrada Mendoza, coordinatrice dell’Osservatorio Cittadino per Monitorare la Giustizia nei casi di Feminicidio a Ciudad Juárez e Chihuaha e dell’Osservatorio Cittadino Nazionale del Femminicidio. Da anni Ciudad Juárez ha conosciuto un particolare boom mediatico e quando in altri paesi, come l’Italia, si parla di femminicidi in Messico, i documentari, i programmi, i telegiornali o i giornali informativi parlano esclusivamente del caso Juárez. Può chiarirci la sua visione sul femminicidio a Ciudad Juárez e, più in generale, nella Repubblica messicana? Ci sono Stati del Messico in cui tale problematica risulta altrettanto importante sebbene poco nota ai nostri occhi?
Ciudad Juárez è stato il primo luogo in cui si sono registrati i primi assassinii di donne con caratteristiche sessiste, razziste e classiste. È sempre qui dove noi donne abbiamo cominciato a lottare cercando di chiarire la natura di questi crimini, di porre un freno a queste tragedie, oltre che ottenere giustizia. Per questa ragione Ciudad Juárez è conosciuta come la capitale del femminicidio. Tuttavia, esistono numerose similitudini e allo stesso tempo grandi differenze tra gli assassinii dello Stato del Messico e quelli di Ciudad Juárez, dove ciò che attira l’attenzione, oltre il numero delle vittime, è la modalità in cui queste donne sono torturate e assassinate, per non parlare della mancata giustizia sia per le vittime, che per i loro familiari.
2) Secondo lei qual è la ragione di una così spropositata violenza contro le donne in Messico?
È certamente un problema che dipende da molti fattori. Si tratta di una problematica in cui risalta una cultura machista e misogina, e nella quale gli uomini tentano di dimostrare la propria superiorità rispetto alla donna. In Messico si uccide e si tortura perché si può; oltretutto, la corruzione che caratterizza le forze dell’ordine e alcuni settori del governo ha fatto in modo che questa situazione crescesse fino a raggiungere dimensioni inimmaginabili. L’assenza di volontà nel voler indagare sui casi di femminicidio e nel volerli prevenire dimostra la tolleranza di tali crimini da parte delle autorità, il cui interesse riguardo questo tema è praticamente nullo. Ecco perché questi possono essere considerati veri e propri complici. In alcuni casi, infatti, gli stessi membri della polizia sono coinvolti nella scomparsa e assassinio di queste donne.
3) Con la firma del Trattato di Libero Commercio molti uomini hanno deciso di recarsi a lavorare negli Stati Uniti. Anche le donne si sono spostate, molte verso le grandi città come Juárez. Senza dubbio l’industria delle maquiladoras ha contribuito a cambiare i ruoli nella società. Nel mio lavoro descrivo il cambiamento della famiglia tradizionale e, in molti casi, parlo di donne che conquistano la propria indipendenza per il solo fatto di essere loro quelle che “portano il pane a casa”. Pensa che questo cambiamento nei ruoli abbia potuto peggiorare in qualche modo la condizione delle donne a Ciudad Juárez?
Senza dubbio. Infatti un aspetto ampiamente evidenziato nella diffusione di alcuni casi è stato il sentimento di inferiorità da parte dell’uomo nei confronti della donna. Un uomo spodestato dal suo ruolo di dominatore. Questo, per loro, è inaccettabile, così come sono inaccettabili le libertà acquisite col tempo dalle donne, economicamente indipendenti e capaci di conquistare una posizione nella società che prima era loro negata. Donne che lavorano, uomini disoccupati. Tutto questo provoca rabbia nello stato d’animo di questi uomini costretti a mansioni prima attribuite esclusivamente alla donna. Da qui l’umiliazione e la frustrazione che li porta a commettere violenze e in casi estremi uccisioni, non solo su donne, ma anche su bambini e bambine.
4) Condivide l’idea di Marcela Lagarde che qualifica il femminicidio come un crimine di Stato? Pensa che anche gli alti livelli del potere siano influenzati da una cultura misogina che incide negativamente sulla risoluzione dei casi di scomparsa e omicidio delle donne?
Senza dubbio la violenza è presente anche a livello istituzionale, perché nessun problema legato alla donna e alla sua condizione sembra rappresentare una priorità nell’agenda politica messicana. Vi è un disprezzo generale per questo tema verso il quale si mostra un certo interesse solo quando esiste una certa pressione politica. Ciononostante, anche in questi casi esiste una politica di simulazione per cui solo in apparenza si presta attenzione a questi casi. Ad oggi, non esistono politiche reali, di prevenzione, né una volontà effettiva di porre fine a questa violenza.
5) Dopo la promulgazione della Legge Generale di Accesso alle Donne a una Vita libera dalla Violenza, crede che la situazione in Messico sia migliorata?
Non è migliorata affatto, e lo dimostrano le cifre in continuo aumento. Purtroppo questa legge ha solo una funzione dichiarativa; non vi è alcun reale desiderio di applicarla. I politici non ritengono necessario far rispettare la legge e preferiscono incolpare le stesse donne delle tragedie di cui sono protagoniste piuttosto che applicare politiche pubbliche che riescano a fermare questa barbarie, ancora meno se le azioni hanno un costo economico o politico. Essi non agiscono perché questo dimostrerebbe la volontà di assumere una responsabilità che è stata sempre negata.
6) Quanto tempo è passato dall’emissione della sentenza sul caso González ed altri (“Campo algodonero”) e quanta pressione sta esercitando la Corte Interamericana affinché questo caso possa considerarsi chiuso? Considera che il Messico stia avviando una procedura di non indennizzo, nonostante siano stati firmati la maggior parte dei trattati per la tutela dei diritti della donna?
Finora è stata rispettata in minima parte, e non nei tempi indicati. Credo che questa sentenza non troverà mai un seguito; nessuno vuole compiere quanto prescritto nella sentenza, anche perché non sono previste alcune sanzioni in caso di inadempienza. C’è bisogno di sanzioni significative, che colpiscano la parte economica e politica del paese, perché questa è la sola cosa che interessa a coloro che detengono il potere.
7) Nel 2001 si parlava della creazione di una nuova Procura Specializzata in delitti contro le donne, con l’obiettivo di chiarire tali crimini. Consultandone il sito ufficiale, è risultato quasi impossibile trovare informazioni sulle vittime di femminicidio. Ciò che vorrei chiederle è se, a partire dalla creazione di questa “nuova” Procura, è cambiato qualcosa a livello di archiviazione dei dati, o se continua ad essere altrettanto difficile reperire notizie aggiornate e, soprattutto, ufficiali su questo fenomeno.
Sono state aperte numerose procure, commissioni e uffici per poter dare una soluzione a questi casi di femminicidio. Nessuna di queste, però, ha dato dei validi risultati. Sembra, infatti, che si preferisca minacciare e giudicare le famiglie delle vittime e i difensori dei diritti umani in continua lotta al femminicidio, più che tentare di individuare e punire i potenziali responsabili. A questo si aggiungano i continui tentativi di minimizzare i fatti e distogliere l’attenzione pubblica, contribuendo all’atteggiamento di negazione e ridicolizzazione assunto da parte dello Stato. È risaputo, infatti, che le stesse procure sono solite cambiare le versioni dei fatti, creare falsi colpevoli e negare qualsiasi tipo di informazione di base tanto alle famiglie coinvolte quanto ai cittadini in generale, giustificandosi con la discrezione richiesta dai casi. Ma la realtà è che non esistono risultati e le persone detenute, ritenute senza ombra di dubbio responsabili di tali fatti, sono davvero poche.
8) All’inizio le autorità negavano questi crimini. Si trattava di casi isolati, nulla per cui preoccuparsi. Con l’intento di minimizzare, in molti casi, si accusarono le vittime di condurre una “doppia vita”, insinuando che esse stesse fossero responsabili della propria morte. Successivamente iniziò la costruzione di falsi colpevoli, con la chiara intenzione di voler disporre di capri espiatori. Nel 1995, Abdel Latif Sharif è stato accusato per l’omicidio di alcune donne, sebbene lui abbia sempre dichiarato, fino all’ultimo, di essere innocente. Cosa pensa di queste accuse?
Credo che questa domanda possa trovare risposta nella risposta alla domanda precedente. Succede ancora la stessa cosa, addirittura si è arrivati a minacciare le famiglie (e i loro difensori), e, in casi estremi, si è arrivati all’assassinio di coloro che hanno deciso di dedicare la loro vita a far conoscere la verità. È il caso dell’attivista Marisela Escobedo Ortíz, ma anche degli attentati armati e delle minacce di morte contro la mia associazione “Nuestras Hijas de Regreso a Casa” e i suoi membri, avvenimenti che hanno costretto molti di noi a fuggire dalla nostra comunità.
9) L’attenzione sul tema, dopo molti anni, sembra essere stata raggiunta. Adesso è indubbio come molti paesi del mondo e, più in generale, la comunità internazionale, siano al corrente di ciò che succede a Ciudad Juárez e del clima di corruzione e di impunità ivi vigenti. Tuttavia, sebbene negli anni siano state rafforzate alcune misure, il cammino sembra ancora lungo. Su cosa pensa si dovrebbe porre una certa enfasi?
Sulle politiche pubbliche di prevenzione; sulla diffusione reale dei fatti; sulla prevenzione, attraverso l’educazione per il raggiungimento di un’effettiva giustizia giuridica, soprattutto nei confronti di altre vittime del femminicidio, quelle dimenticate: i figli e le figlie di coloro che sono state assassinate o sono scomparse.
10) Cosa può fare una società? Quali responsabilità ha lo Stato affinché questo tipo di avvenimenti possano cessare? E cosa può fare la cittadinanza messicana in generale?
La società deve protestare. Non deve tacere. Coloro che rimangono in silenzio sono complici e permettono che questa situazione continui. Lo Stato ha comunque la responsabilità principale, e ad oggi sembra non abbia risposto ai suoi obblighi. Si deve porre fine a questa corruzione.
11) Cosa significa oggi essere un’attivista in Messico, e nello specifico a Ciudad Juárez?
È un’enorme responsabilità e nello stesso tempo implica il rischio constante di essere uccisi per difendere la giustizia. È un’attività pericolosa, per la quale molti messicani e messicane hanno perso la vita o il diritto alle loro libertà.
12) Infine, collegandomi alla mia ultima domanda, mi piacerebbe sapere se lei, in qualche momento da quando ha iniziato la sua lotta contro il femminicidio, ha mai pensato di lasciare tutto, soprattutto in seguito delle minacce ricevute.
Non ho mai pensato di smettere di lottare, so che morirò lottando. Considero la difesa dei diritti umani un impegno per tutta la vita. Se ho lasciato la mia comunità è per stare al sicuro e continuare a vivere. Perché morire significherebbe non poter più lottare e in questo modo, seppur lontana, posso ancora fare qualcosa per i miei cari. Forse, adesso, da quando ho lasciato il mio paese, ho acquisito una nuova visione, più ampia, oltre a sentire maggior coinvolgimento. Da lontano posso osservare con maggior lucidità i problemi e le possibili soluzioni. Il mio lavoro per Juárez non è finito; difatti, adesso ho organizzato un laboratorio di scrittura per testimoni con fini terapeutici; sono stati realizzati buoni testi, molti dei quali mostrano una drammaticità unica, ma è necessario renderli visibili poiché è l’unica maniera per ricordare le vittime
Dal Web intervista di Lara Tavolilla