Ofelia
Ofelia
Oh, padre mio,
che paura, signore! Che paura!
Stavo tutta sola
a ricamare nel mio gabinetto,
quando il principe Amleto,
col giustacuore tutto sbottonato,
senza cappello, le calze slacciate,
ricadenti sui piedi come ceppi,
pallido in viso, come la camicia,
le ginocchia che battono tra loro,
e uno sguardo così compassionevole,
che pareva sortito dall’inferno
per venire a spiegarmene gli orrori,
mi viene innanzi…
M’ha afferrato il polso,
e, stringendolo forte, s’è scostato
per tutta la lunghezza del mio braccio,
e, postasi una mano sulla fronte,
così…
s’è messo a scrutarmi la faccia
come uno che volesse disegnarla.
È stato a lungo in quella posizione,
poi, di colpo, mi scuote ancora il braccio
e, accennando col capo in su e in giù,
tre volte, emette un sì cupo sospiro,
sì pietoso, da dare l’impressione
che dovesse squassarlo
e porre fine lì stesso alla sua vita.
Poi mi lascia e s’avvia verso la porta,
con la testa girata sulle spalle,
quasi a trovar la strada senza gli occhi;
perché di fatto senza il loro aiuto
se n’è andato, tenendo fino all’ultimo,
rivolta indietro a me la loro luce,
finché ha trovato l’uscio ed è sparito.
Così, come voi m’avete comandato,
gli ho rimandato indietro le sue lettere
e mi sono negata ad ogni incontro.