Omaggio a Rosa Orfanó
Rosa
Mi chiamo Rosa Orfanò e sono nata a Tropea da una famiglia del popolo. Mio padre vendeva pesci e mia madre lavava panni alla fiumara.
Ero l’unica figlia e l’amore dei miei genitori
non mi é mai mancato.
Non ho fatto grandi studi perché nella mia casa non si concepiva l’idea di una donna letterata, ho sempre amato leggere, però, e ancora di più cucire e ricamare ma… ma al primo posto per me era la preghiera.
Appena avevo un pò di tempo, dopo aver aiutato mamma nei lavori domestici, mi mettevo in un angolino dell’unica stanza, che chiamavamo casa, e pregavo, pregavo tanto al punto da non accorgermi del tempo che passava.
Quando seppi di Loro e da chi? Non saprei dirlo di preciso perché in quegli anni a Tropea tutti ne parlavano. Tutti raccontavano del Sacerdote Francesco Mottola che con una figlia dei conti Scrugli, la più bella, Irma, giravano tra i bassi lerci e bui per dare conforto a tanti poveri, soprattutto ai vecchi ammalati e abbandonati.
Moltissimi ne parlavano e a tanti sembrava strano e sconveniente che una signorina nobile girasse per le vinee con un prete.
Eppure, a poco a poco, quella strana vicenda mi entrò dentro e mi prese il cuore e assieme a me tante altre giovani donne, tropeane ma anche dei paesi vicini, decisero di andare col prete e la signorina.
Diventammo le Carmelitane che non stanno chiuse a pregare nel convento ma scendono sulle strade per andare a cercare Gesù nei posti più sudici e scuri
. Assieme a me c’erano, come prime compagne, Gertrude, Micuccia, Maria, Angelina, Ninetta…. e tante altre, tutte nella grande Casa della Caritá di Via Abate Sergio dove nel frattempo avevamo accolto tante vecchie sofferenti, povere, abbandonate.
Le nostre giornate volavano senza accorgercene tanto eravamo prese dalla cura delle anziane che affollavano la Casa, col cuore sempre pieno di Caritá, era questa la parola che continuamente risuonava tra le pareti di quella dimora meravigliosa, affacciata sull’azzurro del cielo e del mare e sullo straordinario Scoglio dell’ Isola, era questo il messaggio che Padre Mottola e la nostra Sorella e Madre Irma ci offrivano senza sosta.
La mia mamma se ne andò presto nel cielo perché il suo cuore stanco si era consumato e a me rimase papá o, come usavo chiamarlo, “ u tata”.
Non l’ho mai trascurato, mai, neanche quando un’infezione alla mano, mal curata, mi paralizzò tutto il braccio destro. Addio ricamo e cucito, a me tanto cari, ma niente e
nessuno potevano impedirmi di lavare le nostre vecchiette, di pettinarle, di imboccarle, di carezzarle così come vedevo fare alla nostra amata Irma.
Anche le mie compagne si prodigavano fino allo stremo ed ognuna di noi aveva alcuni compiti particolari, Maria, per esempio, girava tutte le campagne in cerca di doni per la Casa e tornava sempre con le ceste piene, portate, a volte, anche da alcune donne che da noi avevano trovato rifugio.
Io amavo andare a trovare tante Signore, divenute amiche, e a loro e ai loro figli parlavo sempre dei nostri Irma e Francesco, riuscivo a incantarli tanto che alcuni, spesso, mi chiedevano di visitare la Casa della Carità e di incontrare il nostro Padre e la nostra Sorella Madre.
Sono felice di aver speso la mia vita in questo servizio e sono grata al Signore che mi ha fatto giovane donna al tempo di Francesco e Irma. Che gioia averli seguiti nel loro cammino di fede e di offerta totale di sè al Signore attraverso il conforto ai poveri.
Con Francesco e Irma ho imparato tantissimo, mi sono rinnovata profondamente. Pensavo di essere una buona cristiana perché pregavo tanto e ho capito che invece non bisogna mai essere soddisfatti di se stessi ma bisogna piuttosto ricercare sempre e senza freni la Santità, perché, come diceva Irma, tutto il resto é paglia.
Ho amato tanto il Signore e Lui mi ha amato facendomi diventare un’Oblata del Sacro Cuore. Gesù mi ha voluto bene donandomi tanta sofferenza, un male incurabile ha messo fine alla mia fragile esistenza terrena e sul mio lettino d’ospedale ho avuto il conforto degli amici più cari e della mia Irma.
La nostra Sorella Madre soleva dirci spesso:“ Se vedete un’ammalata a cui potete dare qualche sollievo, non deve importarvi niente di perdere una devozione per patire con lei; e se fosse necessario digiunare perché possa mangiare, dovete farlo…” e Lei, due mesi prima della mia morte, lo fece con me, lasciò tutto e, seduta sul mio lettuccio d’ospedale, dimentica del pranzo di Natale, mi imboccò e si cibò anche lei del mio pasto.
Sono partita per l’ultimo viaggio nel giorno di San Giuseppe e sono felice di aver visto attorno al mio corpo senza vita tutte, proprio tutte, le persone che ho amato, e ancora di più gioisco oggi vedendo che i piccoli semi che ho deposto nel cuore di tanti giovani, figli delle mie Signore amiche, si sono schiusi e donano ancora frutti che hanno il profumo inebriante del valore che ha dato senso alla mia vita: la Carità.
Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2
Beatrice Lento