Rosa Genoni

Rosa Genoni


Socialista, militante per la pace, femminista, sarta, prémière, creatrice di moda. Parlando di Rosa Genoni le definizioni non possono che moltiplicarsi, e due universi concepiti come separati, se non in contrasto, come moda e politica finiscono per convergere sul terreno dell’emancipazione.
Primogenita di diciotto tra fratelli e sorelle, Rosa Angela Caterina Genoni nasce il 16 giugno 1867 a Tirano, in provincia di Sondrio. Il padre Luigi è calzolaio e la madre, Margherita Pini, sarta. A dieci anni, dopo aver frequentato appena la terza elementare, Rosa viene mandata a lavorare a Milano come piscinina, apprendista tuttofare dei laboratori di sartoria, andando a ingrossare le fila di quell’immensa manodopera femminile che gravitava allora intorno alla voce “vestiario”. Avida di conoscenza e dotata di spirito di iniziativa, Rosa sale passo dopo passo tutti i gradini della professione fino a diventare “maestra”. Intanto segue le scuole serali e impara anche il francese, sognando di poter andare a Parigi, all’epoca indiscussa capitale della moda.
Mentre si appropria del mestiere, Rosa inizia a interessarsi di politica. Giovanissima, frequenta i primi circoli socialisti. Ed è proprio a seguito di una trasferta con i compagni del Partito Operaio Italiano che ha modo di approdare a Parigi, dove decide di rimanere per perfezionare le tecniche sartoriali.
Forte di questo apprendistato, al ritorno a Milano nel 1888 viene assunta dalla sartoria Bellotti, impiego che le consente di far venire anche la famiglia nel capoluogo lombardo e successivamente di aiutare i fratelli a raggiungere il fratello Emilio in Australia.
Nel 1895 inizia la collaborazione con la prestigiosa Ditta H. Haardt e Figli. In seguito, nominata première, sarà a capo di 200 dipendenti. Da direttrice, può permettersi di proporre alle clienti i suoi “modelli speciali”, come si legge in un cartoncino d’invito alle collezioni, e non solo copie degli “stereotipati modelli parigini” secondo la prassi consolidata del tempo.
Concepisce una moda nazionale come “pura arte italiana”, che svincolata dalla sudditanza ai francesi sappia trarre ispirazione dal mondo classico e dai capolavori del Rinascimento, coniugando artigianato e industria generando “ricchezza” per il Paese («i cui denari – deplorava sulla rivista “Vita d’arte” – vanno a finire al di là delle Alpi»). Con questo spirito Rosa partecipa all’Esposizione di Milano del 1906, aggiudicandosi con le sue creazioni il Gran Premio per la sezione Arte Decorativa della Giuria Internazionale (due di queste – l’abito da ballo ispirato alla Primavera del Botticelli e il Manto di corte ispirato a un disegno di Pisanello – sono conservate alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze).
Anche negli anni in cui matura la sua affermazione professionale, Rosa è costantemente impegnata sul fronte delle lotte per il riconoscimento dei diritti delle lavoratrici. Seguace e grande amica di Anna Kuliscioff, nel 1893 partecipa insieme ad Anna Maria Mozzoni al Congresso socialista internazionale di Zurigo. Nella cerchia anarchica di Pietro Gori conosce Alfredo Podreider, giovane e promettente penalista milanese al quale sarà legata per tutta la vita e da cui nascerà la figlia Fanny: per molti anni la loro sarà una “libera unione”, i due si sposeranno infatti soltanto nel 1928. Nel 1905 le viene affidato il corso di sartoria e modisteria alle scuole professionali femminili della Società Umanitaria di Milano (in seguito per l’insegnamento di Storia del Costume si servirà, pionieristicamente, di una collezione di diapositive da lei appositamente fatta fare dall’editrice Minerva). Come delegata dalla Società Umanitaria insieme a Carlotta Clerici prende parte al Congresso Nazionale delle Donne Italiane nell’aprile 1908, con un apprezzato intervento sui rapporti tra “Moda e arte decorativa italiana”.
All’apice del successo, mentre la celebre attrice Lyda Borelli indossa i suoi modelli e anche la stampa internazionale parla di lei, grazie al suo impegno nasce in Lombardia il primo Comitato Promotore per una Moda di Pura Arte Italiana e Rosa non smette di farsi portavoce attraverso riviste come “Il Marzocco”, “Vita femminile”, “Vita d’arte”, di un messaggio di emancipazione, nella convinzione che “un traguardo di concreta autonomia nel campo della moda (possa) sgomberare il cammino delle donne verso rivendicazioni più impegnative sul piano civile”.
Nel clima di crescente militarizzazione che segna l’avvicinarsi della Grande Guerra, Rosa si schiera fermamente a favore del pacifismo, in opposizione alle tesi interventiste di altre, per esempio di Teresa Labriola. Nel 1914 fonda il Comitato “Pro Umanità”, per la raccolta e l’invio di aiuti ai prigionieri di guerra. Il 28 aprile 1915 è l’unica rappresentante italiana al Congresso delle Donne a L’Aja, promosso dalla nascente WILPF – Women’s International League for Peace and Freedom, dove il tema del suffragio si sposa alla causa della pace mondiale. Rosa siede al tavolo delle relatrici con i grandi nomi dell’attivismo internazionale del periodo, dall’olandese Aletta Jacobs all’ungherese Rosika Schwimmer, alle americane Jane Addams e Emily Greene Balch (entrambe future premi Nobel per la pace), e al termine dei lavori fa parte del ristretto novero di delegate che viaggiano per l’Europa per incontrare le più alte autorità e promuovere la cessazione della guerra.
Più volte sottoposta ai controlli di polizia e diffidata per la sua attività di propaganda, Rosa è attiva fino agli anni Venti nella sezione italiana della WILPF, nella quale coopera con il gruppo romano di Elisa Lollini Agnini e Anita Dobelli Zampetti (tutte e tre collaborano con i giornali socialisti “La difesa delle lavoratrici” e “Uguaglianza”). Ed è Rosa a coinvolgere la scrittrice e giornalista Virginia Piatti-Tango in arte “Agar” nelle attività delle wilpfers italiane.
Nel 1925 esce la sua Storia della Moda attraverso i secoli a mezzo dell’immagine; in precedenza Rosa aveva già dato alle stampe i volumi Per una moda italiana: modelli saggi schizzi di abbigliamento femminile: 1906-1909 e Storia del costume femminile: brevi cenni illustrativi della serie di diapositive, a testimonianza del suo intento didattico e di divulgazione della materia attraverso manuali e repertori ad hoc.
Con l’ascesa del fascismo lascia l’incarico di docenza presso l’Umanitaria, dopo essere stata insignita di Medaglia d’oro per i suoi 25 anni di insegnamento, e si ritira con la famiglia a Nervi. Né lei né Alfredo prenderanno mai la tessera del Partito Fascista.
Rimasta vedova, si trasferisce a Varese dove muore nel 1954.

Da L’enciclopedia delle donne

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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