Sofia Corradi
«Un’arrabbiatura e un’umiliazione: ecco la genesi dell’Erasmus. Ho promesso a me stessa che nessun altro studente avrebbe dovuto subire un’offesa come quella che avevo patito io». Gli occhi vivi e curiosi, la lingua veloce e forbita, la testa che corre nel tempo connettendo date e dati, aneddoti e visioni: sorride, con affetto e orgoglio, quando le si chiede se è vero che allievi e colleghi di mezza Europa l’hanno soprannominata «Mamma Erasmus». Sofia Corradi, 82 anni, fino al 2004 Professore di Educazione Permanente all’Università Roma Tre, è la persona a cui quattro milioni di studenti devono dire grazie: è lei che, per prima, nel 1969 ha ipotizzato nero su bianco un programma di mobilità tra atenei. Battendosi a colpi di ciclostile, nei 18 anni successivi, affinché quest’utopia si realizzasse. Un merito ora consacrato dal prestigioso Premio «Carlo V», che lunedì prossimo, festa dell’Europa, le verrà assegnato dal Re di Spagna Filippo IV e dal presidente del Parlamento Ue Martin Schulz
L’idea
La risposta, finale e definitiva, a quel direttore della segreteria che nel 1958 l’aveva cacciata dallo sportello, accusandola di volersi laureare andando in vacanza in America. «Dopo gli studi in giurisprudenza vinsi una borsa di studio Fulbright, finanziata con la vendita all’asta dei residuati bellici della II Guerra Mondiale, che mi diede la possibilità di passare un anno alla Columbia University di New York, conseguendo un Master in diritto comparato. Rientrata a Roma mi sono presentata alla segreteria dell’ateneo per farmi convalidare gli esami: lì mi hanno guardata con disprezzo, dileggiandomi davanti a tutti. In quel momento è nata l’idea dell’Erasmus».
Una volta laureata, la Corradi svolge attività di ricerca sul diritto allo studio presso l’Onu, prima di diventare consulente della Conferenza dei Rettori Italiani. Siamo nel 1969, sono gli anni della contestazione, le università sono in subbuglio, alla ricerca di autonomia e identità. Ed è a Ginevra, all’incontro dei pari ruolo europei, che Alessandro Faedo, rettore dell’Università di Pisa, si presenta con un appunto che riportava questo testo: «Lo studente, anche se non appartenente a famiglia residente all’estero, può chiedere di svolgere parte del suo piano di studio presso università straniere, presentandolo all’approvazione del Consiglio di Facoltà in preventivo. Il Consiglio di Facoltà potrà dichiarare l’equivalenza, che diventerà effettiva dopo che lo studente avrà prodotto la documentazione degli studi compiuti all’estero».
Il primo passo
«Era il nocciolo dell’Erasmus, un promemoria redatto con la mia macchina Lettera 22 e che conteneva i punti salienti del progetto – racconta la Corradi –. Quando illustravo la mia idea in tanti mi chiedevano a cosa serviva mandare gli studenti in Germania a inseguire le ragazze bionde. Io spiegavo che in Italia potevano inseguire le brune, ma non era quello il problema: se uno non aveva voglia di studiare non avrebbe dato esami comunque. Quello che contava è che gli esami passati all’estero fossero ritenuti validi in Italia». L’appunto della Corradi viene adottato dal ministro per la Pubblica Istruzione dell’epoca, Mario Ferrari Aggradi, come base per un disegno di legge approvato anni dopo. Mentre diventa il nucleo centrale degli incontri bilaterali con Francia e Germania per immaginare i primi scambi. «Grazie alla mia insistenza, e al fatto che forse in quei giorni c’erano poche notizie, i giornali diedero comunicazione di quello che stava accadendo. Era il primo passo per educare anche l’opinione pubblica. Ma eravamo davvero solo all’inizio e da quel momento lo sforzo andava in due direzioni: sollecitare l’ambito politico e parallelamente preparare le tabelle di equivalenza dei singoli esami tra vari atenei. Ogni nuovo documento e ogni tabella la duplicavo in decine di copie con il ciclostile, e inviavo lettere a rettori, docenti, politici, europarlamentari. 18 anni di battaglie, di piccole e grandi sconfitte, in cui ho rotto le scatole a tantissima gente. L’unica cosa che sopravviveva era il mio promemoria, che continuava ad essere usato come modello di riferimento».
La vittoria
E così, mentre l’Ue, all’epoca ancora Cee, prende forma, nel 1976 per la prima volta esami sostenuti da studenti italiani in Francia vengono, a fatica, ritenuti validi: la sperimentazione di quello che, seguendo le lentezze della burocrazia, nel 1987 sarebbe diventato l’Erasmus. «Studiare all’estero mi ha cambiato la vita – conclude la Corradi – ed è quello che ancora oggi racconto agli studenti nei tanti incontri che faccio. La cosa bella è che dopo le chiacchierate spesso si va a cena insieme, e quasi sempre mi chiedono di andare in discoteca con loro. Un’amica psicologa mi ha detto che è un modo per ringraziarmi per averli incoraggiati a volare fuori dal nido, ed è il massimo per un educatore: prima o poi mi sa che accetterò l’invito». Promessa di Mamma Erasmus.
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