Vittoria daGRETA, Quaderno dell’ 8 Marzo di sos KORAI

Vittoria daGRETA, Quaderno dell’ 8 Marzo di sos KORAI

Quando mi fu chiesto dalla dott.ssa Lento di scrivere la mia storia e quella di Maria, circa due anni fa, immediatamente dopo la nascita di Maria a nuova vita, io respinsi l’invito, poiché macinare ancora

quel dolore, ricordando gli sguardi miei e di Maria e sentendo ancora il suo profumo, mi infastidiva.

Ne avevo avuto abbastanza di quel rapporto: troppo dolore, troppo amore, troppa intensità…percepirlo ancora mi scorticava mille altre volte la pelle del corpo…ero stanca.

Sono stati anni quelli, ben otto, quasi nove, che hanno segnato totalmente il mio rapporto con la vita e il suo senso, anni che mi hanno vista immersa in continue sfide fatte di decisioni con me stessa per Maria, che mi hanno sempre più incorag- giata a guardare diritto in faccia la realtà, senza lagne né timori, perché è vero che quando hai a che fare con il cuore della vita tutto, all’improvviso, si ribalta dentro di te.

Ma chi è Maria? Maria è una donna di sessantotto o forse cinquantadue o forse settantasette anni o forse di un anno o addirittura di due o tre mesi…che, dopo aver dedicato tutta la sua vita ad accudire il marito, dializzato per venticinque anni, ad un certo punto, dopo la sua morte, si fa venire la bella idea di conoscere Alzheimer, impavida e senza alcun freno, come quando incontri, per caso, un tizio all’improvviso e perdi completamente la testa per lui. Attenzione perché perder la testa per Alzheimer non è mica cosa dappoco.

Questo tizio, che non conoscevo, se non per sentito dire e che già in passato aveva rapito altre persone, e nessuna era riuscita a dirgli di no, é stato capace di prenderla tutta la mia Maria. L’ ho odiato, perché lei, dal momento in cui l’ha conosciuto, ha quasi subito dimenticato chi fosse e chi io fossi….totalmente sconvolta da costui, niente riusciva a farle cambiare idea e io urlavo e mi disperavo cercando di farle comprendere che non era Il suo tipo.

Niente da fare, Maria era sua… battaglia persa. Anni in cui dici:“ Ma come? Mi guardi, mi tocchi, senti e ascolti la mia voce ma non mi ami più? Non mi riconosci più? Guardami, sono Vittoria, sono tua figlia. Perché mi stai facendo questo, perché hai deciso di non seguirmi più? Perché hai deciso di non amarmi piú? Perché tanti altri hanno la mamma e io, invece, ho quasi dimenticato il tuo sapore, il tuo sentire, le tue tenerrezze? Rispondimi Maria! Rispondimi mamma!”

Ricordo ancora quando mi insegnavi a cantare, quando mi tenevi le mani per guidarmi a muovere i primi passi, col cuore, verso la vita. Sei sempre stata una donna docile, tenera, remissiva, educata e disponibile con tutti, ora, che dovevi ancora insegnarmi a vivere, te ne sei andata dietro a quello. Perdevo velocemente tutto: mio padre e dopo sette mesi mia madre, ormai dimentica di se stessa, di tutta la sua vita e di me. Accettare queste perdite non fu cosa facile, dovevo fare qualcosa per me prima di tutto e di conseguenza per Maria. L’intruso non lascia scampo, ti toglie tutto, e quindi cosa fai? Te lo fai amico. Inizia subito un percorso di accompagnamento a Maria che, a dirla tutta, serviva maggiormente a me. La mia priorità ero io e il sorriso che tutte le mattine, quando mi recavo nella sua stanza, quella di fronte alla mia, lei mi regalava:“ Maria svegliati sono le 9 iniziamo la nostra giornata!” E lì una serie di canzoni-melodie, forse anche un pochino stonate, parole legate tra di loro senza neanche un filo logico preciso, ma tutto, proprio tutto, non era lasciato al caso, tutta quella complicità, tutta quella compassione vicendevole abbattevano quella barriera che per i primi due anni, da quando Alzheimer aveva deciso, bruscamente, di fare parte della nostra vita, io avevo costruito.

Lì, in quel momento, capìì quanto l’umanità di ognuno di noi può realizzare cose grandiose! E il bello era che io ero la protagonista e Maria mi partoriva ogni giorno a vita nuova. Alzheimer mi stava regalando, a sua insaputa, una dolcezza con mia madre che raramente si percepisce, tutto assumeva, nel dramma della malattia, una luce diversa, più dinamica, più coinvolgente.

E tra le mille avventure del wandering, durato 5 mesi, dei punti di sutura alla testa, per la caduta dalle scale, della protesi al femore, degli attacchi di TIA, ripetuti e asintomatici, io e Maria non avevamo certo il tempo di annoiarci. Sedia a rotelle, rialzatori water, ciambelle per la prevenzione delle lesioni da decubito, pannoloni, traverse, cateteri, omogenizzati, acqua gelificata, assistenti sanitari, insomma, in altre circostanze, roba da urlo isterico…in altre circostanze…ma quelle non erano le altre circostanze, erano le mie e di Maria e noi eravamo una squadra affiatata e sapevamo come darci la mano, sostenerci e accompagnarci.

Dulcis in fundo: un presidio sanitario sconvolgente, in quelle circostanze isteriche che non dovevano apparte- nerci ma che per un nano secondo mi dominarono, l’arrivo del letto col rispettivo materasso antidecubito.

Basta! Ancora una volta mi sentivo arrabbiata e al tempo stesso fortificata.

Ancora non vuoi arrenderti Alzheimer? Bene sposto i mobili della stanza dove dorme Maria, tolgo i libri e dipingo i muri, vuoi sapere come? Non bianchi, piatti, tristi, uniformi, come a voler segnare una condanna a morte, ma arancione sfumato di giallo, il colore del sole, del fuoco, della forza, dell’amore.

Certamente, perché fu solo l’amore a muovere me e Maria nella stessa direzione, quella direzione che ogni giorno tracciavo per Lei e, nonostante tanti dubbi, tante mie domande sul faccio bene, faccio male, Lei mi ricompensava col suo sorriso. Io sapevo che col progredire della malattia la mia mamma avrebbe avuto una totale regressione ma certamente non potevo assoggettarmi come una vittima a questa iattura.

Ho cercato di rifiutare ciò che stava accadendo a lei e a me, ma nulla da fare. Non è negando una data situazione o circostanza di malattia che le cose migliorano e si corre il rischio di essere soggiogati da un atteggiamento vittimistico. Il malato, qualunque sia la sua patologia, deve metabolizzare il suo status e non deve arrendersi.

Oggi la mia Maria mi manca e nonostante le difficoltà vissute vorrei ancora averla accanto. Grazie a Lei e alla sua terribile sofferenza ho capito, ho capito che la malattia e tante altre circostanze difficili e tormentate della vita non sono negatività perché grazie a loro puoi scoprire meglio te stessa e conoscere il senso vero dell’Amore…ciao Maria, grazie di tutto quello che mi hai donato…rimarrai per sempre dentro di me.

Vittoria Laria

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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