Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

Nato
Dunque è sua madre.
Questa piccola donna.
Artefice dagli occhi grigi.

La barca su cui, anni fa,
lui navigò fino a riva.

È da lei che è venuto fuori
Nel mondo,
nella non-eternità.

Genitrice dell’uomo
Con cui salto attraverso il fuoco.

È dunque lei, l’unica
Che non lo scelse
Pronto, compiuto.
(…)

«(…) Nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: “mondo normale”, “vita normale”, “normale corso delle cose”… Tuttavia nel linguaggio, nella poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c’è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo.
A quanto pare, i poeti avranno sempre molto da fare.»
Nel passo, parte del discorso pronunciato per l’assegnazione del Nobel 1996, molti concetti chiave della poetica di Wislawa Szymboska: lo scetticismo che si esprime nell’incessante non so; le qualità del poeta, eletto dalla sorte, il quale attraverso la dote dello stupore, dell’ispirazione e dell’ironia trasforma il mondo ordinario in stupefacente.
Wislawa Szymborska cresce in una famiglia con tradizioni patriottiche e insurrezionali, frequenta la scuola elementare delle migliori famiglie di Cracovia. Intorno ai dieci anni comincia ad andare al cinema e racconta la sua prima esperienza sentimentale in una poesia.
Nel 1935 viene iscritta al liceo delle Orsoline; cominciano allora i primi dubbi.
«Per un periodo sono stata molto credente. Adesso si sente dire che la perdita della fede ha aperto la strada al comunismo. Nel mio caso le due cose non hanno avuto niente in comune. La mia crisi religiosa non nasce dal sapere che il parroco va a letto con la perpetua. I miei dubbi sono di natura razionale. Non sono assolutamente d’accordo con l’opinione di Dostoevskij che se Dio non esistesse tutto sarebbe ammesso. E’ un pensiero ripugnante. Esiste un’etica laica, che è nata attraverso lunghi secoli e grandi sofferenze e che naturalmente deve molto al decalogo. La fede non dovrebbe essere concepita in modo dogmatico. Nessuno può dirsi completamente non credente».
Nel 1945 comincia a scrivere per l’inserto del quotidiano «Walka» e a frequentare i circoli letterari di Cracovia ed è in questo ambiente che inizia a comporre poesie con continuità. Debutta su un quotidiano cracoviense con la poesia Szukam slowa (Cerco la parola).
Nel 1948 abbandona la casa dell’infanzia, sposa Adam Wlodek, scrittore e fervente comunista, e si trasferisce con lui in una soffitta presso l’ostello dei letterati, un luogo dove passavano i più importanti scrittori del periodo. La sera con altri ospiti dell’ostello si improvvisano agoni poetici, giochi di parole che talvolta venivano pubblicati: i limeryck.
Nel 1951 si iscrive al partito comunista. Szymborska esordisce ufficialmente come poetessa nel 1952, con il suo primo volume di versi Dlatego zyjemy” (Per questo viviamo). È un debutto sotto il segno del realismo socialista e grazie a questo libro viene ammessa all’Unione degli scrittori.
La cautela oggi la contraddistingue, soprattutto per aver creduto al comunismo, per averne scritto, ed in un secondo tempo essersene allontanata, al punto che oggi tiene a mantenere il distacco da ogni schieramento, sia culturale che politico.
Nel 1954 divorzia dal marito con il quale rimarrà comunque in buoni rapporti fino alla sua morte. Sulla rivista «Vita letteraria», nella quale dal 1953 dirige il settore della poesia, debuttano quelli che diventeranno i migliori poeti polacchi della generazione del disgelo (Herbert, Bialoszewski, Harasymonwicz, Poswiatoska). Nella rivista appaiono suoi articoli sul primo maggio, sul nuovo anno, e una celebre recensione sulla mostra delle arti plastiche nella quale proponeva l’idea di far circolare negli appartamenti privati le opere d’arte, per incoraggiarne una fruizione individuale e condivisa anche presso la gente comune. Nel 1954 riceve il premio Città di Cracovia. Inizia un periodo di viaggi all’estero.
«Mi sono resa conto di quanto la mia vita sia priva di elementi drammatici. Come se avessi vissuto la vita di una farfalla, come se la vita mi avesse semplicemente accarezzato la testa. Questo è il mio ritratto. Ma sono veramente io? Effettivamente nella vita sono stata fortunata, anche se non sono mancati morti e numerose disillusioni. Ma dei fatti personali non voglio parlare. Allo stesso modo non amo che lo facciano altri. Dopo la mia morte sarà tutta un’altra cosa». Nel 1957 grazie ad una borsa di studio del Ministero della Cultura, Szymborska va a Parigi e si reca nella redazione della rivista letteraria dell’emigrazione polacca «Kultura». Aveva appena pubblicato la sua terza raccolta di poesie Wolanie do Yeti(Appello allo Yeti) che aprivano una nuova stagione della letteratura polacca all’insegna del disgelo e che a tutt’oggi viene da lei considerata il suo vero debutto letterario.
Nel 1960 la rivista «Vita Letteraria» inaugura una nuova rubrica Posta Letteraria nella quale Szymborska commenta i manoscritti di aspiranti scrittori e risponde ai quesiti più bizzarri. È un ruolo poco confacente alla sua natura discreta, ma di fatto deve scegliere quale poesie pubblicare e quali no. Negli anni Settanta abbandona questo compito dichiarando che dopo molti anni le capitava di sognarsi poeti che si presentavano con valigie piene di sonetti.
Dai primi anni Sessanta inizia un’intensa attività di traduttrice dal francese. Nel frattempo insegna, pubblica alcuni libri tradotti dal ceco e dallo slovacco, abbandona l’ostello di via Krupnicza e si trasferisce in un piccolo appartamento, da lei definito “il cassetto”: è così piccolo che i mobili vengono fatti su misura. Ma per la prima volta dispone di un appartamento tutto suo con bagno privato e riscaldamento centralizzato.
In questi anni le sue poesie mostrano sempre maggior freddezza nei confronti della realtà politica del suo Paese, e un’ottica diversa: «Ho sempre guardato a tutta la sfera terrestre con la sensazione che ancora in altre parti del mondo si svolgono fatti terribili. Ma dopo una crisi profonda negli anni ’50 ho capito che la politica non è il mio elemento. Ho conosciuto gente molto intelligente per la quale tutta la vita intellettuale consisteva nel mediare su quello che aveva detto Gomulka ieri e oggi Gierek. Un’intera vita chiusa in un orizzonte così terribilmente ristretto. Così mi sono sforzata a scrivere versi che potessero superare questo orizzonte. Non mancano in essi le esperienze polacche. Se ad esempio fossi una poetessa olandese, la maggior parte dei miei versi non sarebbero stati scritti. Ma alcuni sarebbero stati scritti ugualmente, indipendentemente dal luogo dove sarei vissuta. Questa è una cosa importante secondo me». Nel 1966, come segno di solidarietà in occasione dell’espulsione del filosofo Leszek Kolakowski, restituisce la tessera al partito comunista. È un passo decisivo che mette a rischio il suo posto di lavoro. Le viene affidata una piccola rubrica di recensioni dal titolo Letture facoltative. Szymborska commenta così quel periodo: «È andata a finire bene. Ora non dovevo passare ore e ore in ufficio, non dovevo leggere chili di testi quasi tutti scadenti. Ora potevo scrivere quello che volevo».
In questo decennio la poetessa partecipa a molti incontri con i giovani nelle scuole, spesso in paesini di provincia. Non ama però le letture pubbliche o gli incontri con l’autore, è sempre alla ricerca della semplicità e della spontaneità: ha difficoltà a rispondere alle domande sulla sua poesia, non ama le dichiarazioni poetiche, né leggere i suoi versi prima della pubblicazione; non ha mai scritto saggi di critica letteraria né giudizi sui poeti, nemmeno amici, contemporanei.
«Ho sempre amato tanto la prosa. Sembra strano lo so, ma è così. Ho sempre letto più prosa e quando ho iniziato a voler scrivere, quando pensavo che avrei scritto, all’età di dodici, tredici anni, era per me inconcepibile la scrittura poetica. Dio ci scampi dalle poesie! – dicevo, scriverò enormi romanzi, in più volumi, grassi, voluminosi, intere biblioteche di romanzi!»
Negli anni Ottanta non si iscrive a Solidarnosc: «perché non ho sentimenti collettivi. Non mi vedo in alcun raggruppamento. Forse a causa della lezione che avevo ricevuto, non potevo più appartenere ad alcun gruppo. Posso solo simpatizzare. L’appartenenza per uno scrittore è solo un problema. Lo scrittore deve avere delle sue convinzioni e vivere in modo coerente».
Quando nel 1983 viene sciolta l’Unione dei letterati polacchi, gli scrittori continuano ad incontrarsi in clandestinità in circoli organizzati dalla Szymborska e dal filosofo Filipowicz, divenuto suo compagno. Nel 1988 viene ammessa nell’organizzazione internazionale degli scrittori PEN-Club prendendo parte all’incontro mondiale svoltosi a Varsavia. Nel 1991 viene assegnato alla poetessa il premio Goethe grazie soprattutto all’opera divulgativa del suo amico e traduttore tedesco Karl Dedecius. Alcune sue poesie vengono inserite nei manuali scolastici tedeschi. Riceverà anche la laurea honoris causadell’Università di Poznan e il premio Herder. Occasionalmente interviene nel dibattito pubblico, firmando una petizione nel 1992 in difesa dei servizi pubblici e contro il progetto di legge che prevedeva la penalizzazione dell’aborto, provocando grande disapprovazione nell’opinione pubblica cattolica; firma una lettera contro la soppressione da parte del Ministero della Cultura del gruppo letterario Adam Mickiewicz; firma un appello per la Cecenia; firma un’altra petizione per bloccare il tasso dell’IVA a zero: «Quando lo scopo è degno, puro, umanitario, con piacere. Peggio se si intuisce che l’obiettivo è propagandistico-politico. Allora lo evito».
I riconoscimenti alla poetessa nel corso degli anni si moltiplicano fino al Nobel nel 1996.
Dopo il Nobel viaggia ancora meno, si reca con Milosz a Francoforte per la Fiera internazionale del libro. Per molti anni pubblica con l’editore e poeta Kriniczi, per la casa editrice W.a5, sarà lui a raccogliere il grande successo del Nobel.
Le sue poesie erano già tradotte a partire dagli anni Cinquanta, e prima del Nobel era pubblicata in 36 lingue. In Italia era presente dal 1961. Alcune sue poesie vengono musicate in Svezia, in Polonia, in Italia.
Nelle motivazioni della scelta degli accademici svedesi si afferma che Szymborska «è autrice di una poesia che, con una precisione ironica, permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di verità umana. Si rivolge al lettore combinando in modo sorprendente lo spirito, la ricchezza inventiva e l’empatia, ciò che fa pensare talvolta al secolo dei Lumi, talvolta al Barocco».
Dopo un lungo silenzio, nel 2002 esce un volume di nuove poesie, Momento, a questo segue nel 2003 un insolito volumetto di Limeryk, Moskalisk, Lepiej Odwodki, Altruitk, una serie di composizioni in rima e sfottò sulle consuetudini polacche, generi alimentari, alcolici, argomenti sui quali fin da giovane la poetessa si diverte a scrivere. Il volume è il concentrato del kitsch, con grandi spazi illustrativi consistenti in collage creati dalla poetessa. L’ultima pubblicazione di poesie è del 2006 con il titolo Due punti.
«Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e soprattutto – nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta – quasi se ne vergognasse un po’. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo…»

Dall’Enciclopedia delle donne

Beatrice Lento

Laureata in Psicologia Clinica, Tropeana per nascita e vissuti, Milaniana convinta, ha diretto con passione, fino all'Agosto 2017, l’Istituto Superiore di Tropea. I suoi interessi prevalenti riguardano: psicodinamica, dimensione donna, giornalismo, intercultura, pari opportunità, disagio giovanile, cultura della legalità, bisogni educativi speciali.

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