Category Archive Eventi

LE CALABRESI TACIUTE Maria e Bice Tocco Partigiane di Tropea

Lunedì 13 Marzo, alle ore 9,00, nella sede dell’Istituto Tecnico Turistico di Tropea, un incontro con tutti gli Studenti dell’ultimo anno di corso dei vari Indirizzi di Studio dell’Istituto d’Istruzione Superiore di Tropea. L’ evento fa parte del Festival LA CALABRIA DELLE DONNE, direttrice artistica Mariangela Preta, che, quest’anno, giunge alla sua seconda edizione. Tema della rassegna Le Donne tra Istituzioni e Politica.
Beatrice Lento, Presidente di sos KORAI, Organizzazione Di Volontariato per i diritti delle donne, discuterà sul tema con i giovani dopo aver parlato della Resistenza contro il nazifascismo da parte delle donne calabresi che furono partigiane. In particolare traccerà il profilo di due donne tropeane che fecero le staffette e di cui, fin’ora non si era avuta notizia.
Maria e Bice Tocco, o di Tocco, erano figlie di Ignazio, colonnello dell’esercito di stazza a Torino, e di Aurora Scrugli, sorella della ben nota Serva di Dio Irma. I particolari relativi alle loro storie, raccolti grazie al contributo dei familiari, verranno resi noti dopo l’incontro.
Ai nostri giovani il privilegio di conoscerne per primi la storia con l’augurio che il loro eroismo rimarchi ancor di più il valore della Libertà e della Democrazia.

Beatrice Lento

Presidente di sos KORAI ODV

Consuntivo di un 8 Marzo nel segno del Quaderno di sos KORAI JOLE

Entrare al Santa Chiara vestito a festa con il drappo rosso e oro, le pareti colorate da meravigliosi dipinti di donne e l’atmosfera delle grandi occasioni é giá un batticuore quando poi ti affacci dal portone e vedi una fila lunghissima di ospiti pronti ad entrare diventa difficile mantenersi lucidi. 

Questo é accaduto ieri quando all’ora concordata ci siamo ritrovati per celebrare insieme la Giornata Internazionale della Donna col Quaderno dell’8 Marzo di sos KORAI 2023. Diciassette le meravigliose donne che si sono narrate, direttamente o attraverso familiari e amici, tutte calabresi o che in Calabria hanno speso buona parte della loro vita. Grazie a loro, e alle altre donne, “cittadine“ dei tre Quaderni precedenti, ha iniziato a prendere forma un’identità regionale collettiva femminile intessuta di tradizioni e atteggiamenti di segno decisamente opposto rispetto agli stereotipi sul genere femminile, ancor più odiosi nei contenuti se riferiti a donne calabresi. 

Il conduttore, Angelo Stumpo, nostro socio, é riuscito a manovrare abilmente  i tantissimi fili sulla scena realizzando un intreccio affascinante e prezioso dal punto di vista culturale e soprattutto sul piano dei sentimenti

Molti i momenti particolarmente toccanti, tra questi la testimonianza del Sindaco di Tropea, Giovanni Macrì, che ha tracciato il profilo di Jole Santelli, la prima Donna Presidente della nostra Regione, a cui il quarto Quaderno é dedicato, evidenziando il suo legame fortissimo con Tropea e l’amicizia che li univa; i doni che un gruppo di donne ucraine, vicine all’associazione, ha voluto porgere ai relatori attraverso i propri bambini; l’interpretazione appassionata di stralci dei racconti del Quaderno da parte dell’attrice Noemi Di Costa, il concerto di musica antica, eseguito da tre artisti d’eccezione quali Maria-Lisa Geyer, Riccardo Parravicini e Cristiano Brunella, in cui il suono dell’Organo Portativo e della Fidula é stato lo sfondo ideale per la voce angelica della Soprano. 

Grande emozione ha suscitato anche la presenza, in prima fila, di Anna Petruzza, splendida e scattante ragazza del 1928, la cui avventurosa esistenza di “Mammina” di Briatico é racchiusa nel Quaderno, venuta appositamente da Milano a gustare l’emozione del momento, circondata dai figli giustamente orgogliosi del suo valore.

Non sono mancati i riferimenti all’attualità che vede la lotta coraggiosa delle donne iraniane, le importanti conquiste conseguite di recente dal genere femminile e il riferimento inevitabile alle donne che cercano di assicurare la vita ai propri figli fuggendo da guerre e violenze d’ogni tipo anche col rischio di infrangere per sempre il proprio sogno nel mare, com’é dolorosamente accaduto a Cutro.

La problematica della Parità di Genere é stata affrontata mettendo in evidenza i cattivi frutti della cultura patriarcale che, attraverso i processi educativi, paradossalmente gestiti in grande parte dalla donna con autolesionismo di genere inconsapevole, tentano di contaminare le coscienze delle giovani generazioni, perpetuando l’immagine di un essere femminile ancorata al cliché dell’angelo del focolare: la donna amorevole e accogliente ma sostanzialmente fragile, dominata dalle emozioni e quindi inaffidabile e inferiore all’uomo. 

Si è anche ribadita la strada da percorrere per un’autentica emancipazione che é fatta di sapere, di educazione, di indipendenza economica, di strutture sociali di supporto alla famiglia e di informazione scevra di misoginia. 

É importante liberarsi dal mito della virilità come supremazia e pensare che non esistono status naturali di superiorità, non esistono diritti al controllo né doveri di sottomissione. Liberiamo i nostri corpi, le nostre teste, i libri, i giornali, le favole, le materie di studio, gli sport da tutti i pregiudizi limitanti. Solo così potremo crescere in civiltà perché riusciremo a mettere a frutto tutti i talenti del genere umano senza assurde limitazioni.

A dare un contributo significativo all’incontro anche l’Editore Mario Romano, il Presidente della Consulta Pino Romeo e il Direttore Artistico della mostra di dipinti, anticipata rispetto alla prossima inaugurazione ufficiale, in omaggio all’8 Marzo, Emanuele Bertucci.  

Presenti col cuore le sorelle di JOLE, Roberta e Paola Santelli, che hanno inviato un emozionante messaggio così come Delfina Barbieri, Madrina del Quaderno, e Pippo Caffo, Presidente del Gruppo Caffo 1915, che, ancora una volta, é stato al nostro fianco donando la produzione del Quaderno. 

La soddisfazione più grande per noi di sos KORAI ODV é quella di essere riusciti nell’impresa di far divenire La Giornata Internazionale della Donna un momento condiviso con gioia dalla comunità e il Quaderno dell’8 Marzo un incontro gradito con tante donne che, a volte idealmente ma sempre in maniera incisiva,  continuano ad essere vitali, ecco perché mi sento di confermare che tutte le meravigliose donne del nostro Quaderno sono autentiche ambasciatrici di emancipazione e civiltà!

La Presidente di sos KORAI ODV

Dottoressa Beatrice Lento 

La Giornata Internazionale della Donna a Tropea col Quaderno dell’8 Marzo di sos KORAI ODV

L’8 Marzo a Tropea con il Quaderno di sos KORAI ODV

Dal 2018 la Giornata Internazionale della Donna si identifica, a Tropea, col Quaderno dell’8 Marzo realizzato dall’Organizzazione di Volontariato sos KORAI ODV, col Patrocinio del Comune. 

La pubblicazione, ogni anno, raccoglie storie di donne calabresi o, comunque, legate alla nostra terra, che con i loro vissuti tracciano l’identità della regione e, nel contempo, evidenziano il processo dell’emancipazione femminile che in terra di Calabria non è rimasto indietro.

Il Quaderno é un modo singolare di celebrare l’importante ricorrenza perché, oltre ad essere promotore di riflessioni sulla problematica femminile nella sua complessità, fa il punto della situazione regionale ripercorrendo vicende che coinvolgono l’intera umanità calabrese.

Un viaggio attraverso il tempo femminile che mette in luce costumi e usanze, rituali e tradizioni. Sono donne variopinte che innalzano il vessillo dell’incontro e della condivisione, tipico della terra più “mescolata” d’Italia. Il loro legame con i momenti più importanti dell’esistenza, quali la nascita e la morte, e la loro empatia le fa muovere in uno spazio surreale che, nonostante l’opprimente retaggio della cultura maschilista, carico di pregiudizi misogini, le trasforma in creature nobili e dignitose. Vengono in mente le contadine del nostro grande Maestro Albino Lorenzo che, sebbene curve nella fatica dei campi, conservano la fierezza e l’imponenza delle antiche matrone.

La produzione dell’opera é realizzata negli stabilimenti della  Romano Arti Grafiche ed é una donazione del “Gruppo Caffo 1915”. Madrina del Quaderno Delfina Barbieri Caffo, direttrici artistiche Anna Maria Miceli e Beatrice Lento che è anche la curatrice della pubblicazione e la presidente dell’organizzazione di volontariato.

La celebrazione della speciale giornata, che vedrà l’omaggio del Quaderno a tutti i partecipanti, si svolgerà al Santa Chiara di Tropea, a partire dalle 17,30, sarà condotta da Angelo Stumpo, socio del sodalizio, mentre Alessandra Giuliana Granata, anche lei socia, presenterà gli esclusivi intermezzi musicali, dal tema “La donna: icona e musa nell’amor cortese”, che vedranno l’esibizione della Soprano londinese Maria-Lisa Geyer, accompagnata da musicisti d’eccezione, i Maestri Riccardo Parravicini e Cristiano Brunella, all’organo portativo e alla fidula, mentre all’attrice Noemi Di Costa il compito di interpretare gli stralci dei racconti.

Nella ricerca delle donne dell’edizione 2023 si è privilegiata la voglia di non rinunciare ad essere protagonista del proprio tempo. Le diciassette creature che si sono presentate all’appuntamento, infatti, sono diversissime ma tutte ambasciatrici di se stesse e del proprio genere, sono donne che non si fermano ma pretendono di continuare ad essere ancora messaggere. Tra tutte Jole, la prima Donna Presidente della Calabria, a cui il Quaderno é dedicato, che, col sorriso e la caparbietà, ha evidenziato il volto bello della nostra terra e ha dimostrato che con l’amore si continua a vivere anche dopo la fine terrena.

Come presidente di sos KORAI ODV é sentito, oltre che dovuto, il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito e contribuiranno alla realizzazione dell’evento. Un abbraccio ideale a tutte le meravigliose creature che popolano il Quaderno 2023, luogo del cuore chiamato JOLE. In molti casi a narrare sono stati i familiari che per farlo hanno dovuto affrontare e vincere forti emozioni, cinque storie sono accompagnate anche dal ritratto delle protagoniste eseguito da amici, a tutti grazie, grazie, grazie!

Come Organizzazione Di Volontariato che si propone di acclarare il valore del Genere Femminile intervenendo nell’educativo, sos KORAI ritiene che il  Quaderno dell’8 Marzo possa esprimere compiutamente il senso che oggi assume la Giornata Internazionale della Donna: la memoria, la conoscenza, la riflessione e la presa di coscienza di quanto é stato fatto e di quanto c’é ancora da fare per i diritti e le libertà della Donna, per difenderli e per conquistarne di nuovi, qui e nel mondo. Anche se nel nostro oggi, coronato da grandi conquiste femminili, impensabili fino a ieri, sembrerebbe superfluo parlare di parità, non lo é per niente perché proprio lì dove ci sentiamo sicure eventi negativi ci dicono che occorre ancora protestare e rivendicare, il Quaderno é un meraviglioso strumento di lotta!

Buon 8 Marzo 2023!

Tropea 1 Marzo 2023

La Presidente di sos KORAI ODV

Dott.ssa Beatrice Lento  

Al via il Quaderno dell’8 Marzo 2023

Il Quaderno dell’8 Marzo 2023 si chiama JOLE, sì, é Lei, la prima Presidente Donna della Calabria, che, con la sua generosa audacia, ha dimostrato che l’amore vince ogni ostacolo. Il nostro ringraziamento a tutte le incantevoli donne che lo popolano, ai parenti ed amici che hanno narrato le loro storie, agli artisti che hanno eseguito i ritratti di alcune di loro, al Presidente Pippo Caffo che, anche quest’anno, ci ha fatto dono, con gratuito e generoso spirito di servizio, della realizzazione del Quaderno, alla Romano Arti Grafiche che ha eseguito con cura la pubblicazione, alla direttrice artistica Anna Maria Miceli che, con grande attenzione ai particolari, ha garantito la piacevolezza dell’opera, al Comune di Tropea che ci ha accordato il suo patrocinio e alla Madrina del Quaderno, Delfina Barbieri, che ci segue, sostiene e incoraggia con amore.

sos KORAI ODV plaude all’iniziativa del Comune di Tropea di una casa d’accoglienza per le donne vittime di violenza e i loro bambini

Comunicato stampa di sos KORAI ODV

Al via a Tropea una casa che accoglie le donne vittime di violenza 

sos KORAI ODV plaude all’iniziativa comunale

Come Presidente di sos KORAI ODV, associazione  impegnata, dal 2018, a contrastare, attraverso interventi educativi, la subcultura maschilista, apprendo, con viva soddisfazione, la pregevole iniziativa del Comune di Tropea di nobilitare un bene appartenuto alla criminalità organizzata destinandolo, dopo opportuno adeguamento, all’accoglienza di donne e bambini vittime di violenza. 

Mi emoziona moltissimo pensare alla panchina rossa, realizzata assieme al Comune e all’Istituto Superiore, nel 2019,  perché ha svolo appieno la sua funzione di sprone ad uscire dai circuiti dell’indifferenza: il dolore, o addirittura la morte, di una donna, per mano di un uomo violento, sono un macigno che pesa su tutta la comunità e agire attivamente con iniziative importanti come questa è motivo d’orgoglio per tutti i Tropeani.

Dietro l’aberrante  fenomeno, che purtroppo non arretra, c’é proprio la cultura patriarcale che confonde l’amore col possesso, un retaggio del passato di cui occorre sbarazzarsi agendo in controtendenza. 

La Panchina rossa all’affaccio di Largo Duomo, con la splendida frase di Emily Dickinson: “ Il silenzio é tutto ciò che temiamo. C’é riscatto in una voce” é stato uno dei tanti  piccoli ma significativi passi che hanno portato a questo magnifico risultato. 

Il Comune di Tropea conquista un altro grande  spazio di civiltà ed sos KORAI ODV esprime il suo forte plauso. 

Fin da ora, dichiariamo  la nostra disponibilità  a collaborare per offrire alle donne e ai bambini che saranno accolti vicinanza e iniziative rispondenti ai loro bisogni e auguriamo una felice realizzazione del lodevole progetto. 

TROPEA 1 febbraio 2023 

La Presidente di sos KORAI ODV

DOTT.SSA BEATRICE LENTO 

LE CALABRESI TACIUTE: LE DONNE PARTIGIANE tra loro anche due tropeane

LE CALABRESI TACIUTE: LE DONNE PARTIGIANE 

Tra di loro anche due tropeane 

Le “Calabresi Taciute”, dimenticate, finite nell’oblio anche nei loro paesi d’origine, di cui sto per parlarvi, sono le donne partigiane, le donne che hanno scelto di impegnarsi nella Resistenza contro il nazifascismo a prezzo di sacrifici enormi e non di rado della vita.

Perché taciute? Perché la storia é scritta dai vincitori e, dominando la cultura patriarcale, nei confronti delle donne é colpevolmente distratta, pensiamo alle tante opere di valore realizzate dal genere femminile, nel campo delle scienze e delle arti, dolosamente attribuite ai rispettivi mariti, compagni, fratelli, padri, e poi, ad essere mortificato con la disattenzione e col pregiudizio, non di rado, é tutto il sud d’Italia, considerato apatico e passivo. 

Oltretutto le donne non sono state mai considerate in grado di contrastare attivamente la guerra essendo forte Il cliché  dell’essere femminile fragile, vanitoso, instabile, volubile, buono solo a sposarsi, a fare figli, a servire, a decorare i salotti. Una concezione lesiva della dignità della donna che ha cagionato molte discriminazioni anche in tempi recenti. Fino al 1963, per esempio, esisteva il divieto di accesso ai concorsi per magistrato e proprio con questa assurda motivazione. “La donna” sosteneva, tra i tanti, Eutimio Ranelletti “é fatua, é leggera, é superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta …quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti.” Da ricordare, a questo proposito, l’on.le Teresa Mattei, coautrice di un emendamento volto ad abolire l’assurdo limite, che, a chi le chiedeva:” Signorina ma sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?”, rispondeva:” No, ma so che molti uomini non ragionano tutti i giorni del mese.”

Molte ragazze diventarono partigiane e vollero imbracciare le armi proprio per un impeto di emancipazione, per distruggere gli stereotipi dell’angelo del focolare e della crocerossina, ma ci furono anche tante partigiane che rigettarono le armi scegliendo di operare su altri fronti, rifiutarle significò, per loro, volersi impegnare, con forte coerenza, in una guerra alla guerra. Il loro modo di intendere la lotta si tradusse in un impegno pacifista che, dopo la liberazione, prese forma, nell’aula di Montecitorio, nell’inserimento del ripudio della guerra nella Costituzione.

La Resistenza delle donne, calabresi e non, fu un quadro variopinto in cui donne armate, che non esitano ad uccidere, coesistono con donne che rifiutano le armi anche se quella lotta voleva dire respingere un invasore straniero, contrastare la ferocia nazifascista, lottare per un futuro migliore in cui sarebbero stati garantiti i diritti umani e l’emancipazione di entrambi i generi. Per comprendere appieno la storia delle partigiane, sia calabresi  che di altre regioni, occorre tener presente il contesto di riferimento: uno sfondo culturale  sicuramente misogino.

Il fascismo reputava la donna un essere insignificante, fragile, privo di dignità, una macchina deputata al mantenimento della specie, pensiamo ai riconoscimenti che il duce elargiva alle madri prolifiche, all’esclusione delle donne dall’insegnamento di molte discipline considerare strategiche, come lettere, storia e filosofia, e alla doppia morale che, con il Codice Rocco, considerava lo stupro delitto contro la morale e non contro la persona, prevedeva il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. A tal proposito non possiamo non rendere omaggio a Franca Viola che, agli inizi degli anni ‘60, per prima, in Sicilia, poco più che diciottenne, respinse il matrimonio riparatore, e al cittadino illustre di Tropea, il Procuratore della Repubblica di Palermo, Pasquale Lo Torto, che, con le sue arringhe, contribuì al cambiamento culturale che portò all’abrogazione del delitto d’onore nel 1981, molto dopo la soppressione del reato d’adulterio, avvenuta nel 1968, e della riforma del diritto di famiglia datata 1975.

I partiti di sinistra, dal canto loro, non esitarono a vietare alle partigiane di sfilare dopo la liberazione perché volevano apparire come forze  politiche credibili e consideravano criticabile esibire la forza e il coraggio femminili, ci poteva essere una deroga solo per le ragazze che partecipavano senza armi o vestite da crocerossine e quindi si conformavano all’immagine tradizionale della donna per bene. 

La stessa famosissima canzone, simbolo della resistenza, ancor oggi cantata e considerata bandiera di libertà e di emancipazione, anche da tante donne, “Bella ciao”, in realtà, subdolamente, ha diffuso e diffonde l’idea che il maschio, intrepido e coraggioso, andava a combattere mettendo a rischio la salute e la stessa vita mentre le donne, capaci solo di essere belle, restavano a casa, al sicuro. 

In un film documentario di Liliana Cavani, “La donna nella resistenza”, una partigiana osservava:”Alla sfilata non mi hanno fatto partecipare, per fortuna che non sono andata, la gente, vedendo passare le mie compagne, diceva che erano delle donnacce.”

Donne calabresi partigiane ce ne sono state ma il loro impegno si svolse fuori dalla Calabria, nei luoghi in cui vivevano con le famiglie, spesso emigrate per mancanza di lavoro o perché ostacolate dal loro atteggiamento antifascista. 

Ho fatto ricerche accurate alla Biblioteca Regionale Calabrese di Soriano e all’ANPI e mi sono confrontata con storici, la ragione di questo dato sta sicuramente nei tempi della liberazione dal nazifascismo che in Calabria, e al Sud in genere, avvenne molto prima che nel resto d’Italia. Le loro storie sono molto simili a quelle delle partigiane d’ogni altra parte della nazione. 

Intanto non era mai successo prima che le donne entrassero in scena, da protagoniste, così numerose e di ogni condizione sociale. Sono “donne comuni” si legge sui libri, donne che, in larghissima parte, non si erano mai interessate di politica, vengono dalle campagne, dalle città, dalla borghesia, dalle classi umili, sono contadine, operaie, casalinghe, professioniste, senza istruzione, col diploma, con la laurea. 

L’opera femminile inizia nelle settimane che precedono l’armistizio e si rafforza dopo l’8 settembre. Si realizza un maternage di massa, tantissimi soldati allo sbando, per non finire nelle mani dei nazisti, vengono nascosti, sfamati e rivestiti per non essere riconosciuti. Le partigiane diventano anche moderne Antigone comprendo con lenzuola le vittime, tentando di ricomporre e pulire i loro corpi, sotterrando i poveri resti degli impiccati, dei fucilati, dei torturati, sottraendoli allo scherno a dispetto dei mitra puntati….a rischio della vita. Le tombe degli uccisi erano sempre adorne di garofani rossi e il due novembre del ‘44, in tutti i cimiteri, furono coperte di fiori e di messaggi politici sempre dalle partigiane, quale sfida aperta agli occupanti. 

Le partigiane furono protagoniste di molteplici azioni di lotta, gli unici indizi della loro ribellione erano i pantaloni e la sigaretta. All’epoca i pantaloni erano considerati roba da donnacce e fumare, soprattutto all’aperto e in luoghi pubblici, era una trasgressione forte, un piccolo, grande manifesto di libertà.

Una partigiana racconta che, nel gelido inverno del ‘44, dai vertici politici e miltari era arrivato l’ordine di non indossare i pantaloni, non perché potevano essere riconosciute ma per decenza.

Le partigiane parteciparono a vendette e ritorsioni, tra queste ci fu anche il compito di rapare a zero le donne che andavano coi tedeschi, per esporle al pubblico disprezzo, a discriminazioni e ad azioni violente. Una missione carica di autolesionismo di genere forse richiesta alle combattenti nella resistenza con uno sfondo di sadismo verso la donna, le partigiane caddero nella trappola accanendosi contro donne come loro, povere sventurate spinte dalla miseria.

Le resistenti furono anche promotrici di scioperi, fecero propaganda, nascosero sul proprio corpo e nelle carrozzine, con inesistenti neonati, documenti, armi, esplosivo. Diventarono infermiere, informatrici, portaordini e imbracciarono le armi. Insomma non furono solo staffette come certa storia vuol fare intendere per sminuirle, dimenticando, tra l’altro, che fare la staffetta non era compito da poco ma esponeva al rischio di violenze, di torture ed anche della stessa vita. 

In realtà per le partigiane non é stato facile perché spesso non erano ben accette neanche dai compagni ed erano biasimate dal giudizio del mondo. Per la società del tempo la promiscuità era tabù. Per tale ragione le donne pagarono un prezzo molto più alto degli uomini perché gettarono alle ortiche la reputazione, l’onore, la presunzione di verginità che allora era un bene primario. Eppure le partigiane superarono quel pregiudizio e addirittura lo usarono a beneficio della lotta. Tante missioni furono compiute lasciando credere di essere delle poco di buono che andavano a incontrare l’amante o, addirittura, il cliente.

Per molto tempo le partigiane hanno taciuto le difficoltà vissute anche perché i compagni erano comunque maschi e quindi imbevuti della mentalità patriarcale del tempo. I partiti di sinistra temevano che la presenza delle donne li facesse apparire sovversivi e, volendo mantenere una facciata di rigore, alcune formazioni non accettavano donne. Tra tutti i pregiudizi contro la donna il più pesante era quello della loro debolezza sia fisica che morale. Per questo motivo le partigiane volevano dimostrare di essere come gli uomini. Anna Cinanni, nome di battaglia Cecilia, di Gerace, emigrata a Torino con la famiglia, operaia alla Venchi Unica riferiva:”Mio fratello mi ha sempre detto di ricordarmi che non sono una donna ma una comunista che combatte per la Resistenza.” 

Il mascheramento della femminilità e la mascolinizzazione sono il prezzo pagato dalle partigiane, a volte questo meccanismo inconscio di difesa interviene ancora oggi in molte donne che occupano posizioni di rilievo nella politica, nel lavoro e nel sociale. 

Altra problematica, spesso taciuta, quella delle violenze sessuali subite; in un contesto in cui lo stupro veniva considerato come reato contro la morale le donne preferivano nascondere piuttosto che essere bollate con la frase:”Te la sei andata a cercare!” o, addirittura, condannate perché non si erano difese abbastanza preferendo farsi ammazzare piuttosto che subire la violenza, in questo la retorica comunista si confondeva con quella fascista.

Dopo il 25 Aprile tanti padri, mariti, fratelli, figli ricominciarono a brontolare se le donne di famiglia andavano alle riunioni o al sindacato, se le camicie non erano stirate, se il pranzo non era pronto e la casa non era in ordine. Il fascismo era finito ma il patriarcato rimaneva, questo “fuoco amico” fu veramente doloroso. Alcune si fecero piccole perché avevano capito, e a caro prezzo, che se sei femmina devi stare in secondo piano, devi tacere, non devi metterti in luce rispetto al maschio altrimenti perderai l’amore della famiglia, del tuo compagno oppure resterai sola o sarai emarginata e comunque la pagherai. 

Paradossalmente il 25 Aprile segnò, per molti versi, la fine di un vertiginoso sogno di libertà delle donne anche se molte  non ci stettero e continuarono la propria battaglia di liberazione nei partiti, nei sindacati, nelle amministrazioni pubbliche, a livello locale e nazionale. Queste donne proseguirono la lotta non solo per la libertà ma anche per un’Italia diversa e per i loro diritti civili e sociali.

I numeri ufficiali della Resistenza al femminile  parlano di 4653 donne arrestate, torturate e condannate, di 2750 deportate nei campi di concentramento nazisti e di 623 fucilate o morte in combattimento. A loro furono conferite 16 medaglie d’oro al valor militare e 17 d’argento. Si tratta di numeri in difetto anche perché molte donne non rivendicarono il proprio status perché ritenevano di aver fatto semplicemente il proprio dovere o perché segnate da eventi traumatici.

Caratteristica fondamentale della Resistenza delle donne fu il suo carattere collettivo, l’avere per protagoniste non alcune creature eccezionali ma vaste masse appartenenti ai più diversi strati della popolazione. Molte di loro erano bambine e furono segnate per sempre dalla guerra, dalla violenza, dalla fame, dalla paura. Saranno proprio loro a rimettere in piedi un Paese uscito dalla guerra, a renderlo più democratico, capace di spingersi verso una cultura di parità, uguaglianza, rispetto degli altri, verso un mondo di pace. 

I nomi di alcune partigiane calabresi si conoscono, di altre il ricordo si è perso anche nei paesi d’origine.

Anna Cinanni di Gerace, sorella di Paolo, che subì ripetute sevizie in carcere e superò i posti di blocco con le borse piene di volantini; Caterina Tallarico di Marcedusa, sorella del noto Comandante Federico, detto “Frico”, che, appena laureata in medicina, salì in montagna, diventò medico nella brigata del fratello e curò non solo i partigiani feriti ma anche i tedeschi e i fascisti prigionieri; Giuseppina Russo di Roccaforte del Greco che fece l’operaia a La Spezia, seguendo il marito, e, da organizzatrice di scioperi, passò ad imbracciare le armi e divenne, nel ‘43, la responsabile della cellula comunista del comitato sindacale clandestino; Anna Condò, staffetta tra il Piemonte e la Liguria che aveva lasciato Reggio Calabria dopo la sospensione dal lavoro dei genitori non allineatisi alla Repubblica Sociale Italiana. La più famosa tra tutte é sicuramente Teresa Talotta  Gullace di Cittanova alla cui vicenda si é ispirato Rossellini per il personaggio di Pina, interpretato da Anna Magnani, nel film “Roma città aperta”. Teresa, madre di cinque figli, incinta, non esitò ad andare dal marito imprigionato dai nazisti per dargli conforto e, mentre invocava la sua liberazione nel contesto di una rivolta venne uccisa da un soldato tedesco. Teresa fu l’unica donna ad essere sepolta tra i caduti della Resistenza e, nel 1995, Poste Italiane le dedicò un francobollo nell’ambito delle donne nella seconda guerra mondiale.

Come tropeana sono orgogliosa di ricordare due partigiane native di Tropea e che a Tropea trascorsero gran parte della loro vita, si tratta delle sorelle Tocco, Bice, nome in codice Beba, e Maria, figlie di Ignazio Tocco e di Aurora Scrugli. Le sorelle Tocco vivevano, con la famiglia d’origine, a Torino dove il padre era ufficiale dell’esercito. Entrambe fecero le staffette sulle montagne del Piemonte ed anche il fratello Antonio fu partigiano. Spero di poter riprendere e completare con maggiori dati la loro meravigliosa avventura di libertà.

Un contributo al riscatto alla memoria delle partigiane fu reso dall’Udi, Unione Donne Italiane, associazione nata durante la Resistenza. In essa confluirono i Gruppi di Difesa della Donna, diretti da Caterina Picolao, nati nel 1943 con lo scopo di creare un movimento di massa trasversale in cui le donne potessero unirsi alla luce dell’esortazione contenuta nel foglio di riferimento del movimento, “Noi donne“, che recitava:”Le donne italiane che hanno sempre avversato il fascismo, che della guerra hanno sentito tutto il peso per i lutti, le case distrutte, i sacrifici e le raddoppiate fatiche, non possono rimanere  inerti in questo grave momento”. Grazie all’Udi, la più grande organizzazione per l’emancipazione femminile italiana, che dal 2003 ha preso il nome di Unione Donne in Italia, molte donne raccontarono la loro esperienza di partigiane, pagine bellissime che tuttavia determinarono, nell’immediatezza, solo la conquista del diritto del voto non riuscendo ad incidere sulle altre sfere sociali ed economiche della società.

L’aspirazione ad avere un ruolo pubblico, dopo la liberazione, si scontrò con la società impreparata a quel salto culturale, si fece strada la memoria delle cadute ma per le sopravvissute il giudizio sociale non fu clemente. Lo stesso diritto al voto produsse scarsi esiti. Nel 1946 solo 21 donne, poco più del 3%, furono elette all’Assemblea Costituente, nessuna calabrese. Alle amministrative del ‘46 venne eletta anche una donna legata a Tropea, moglie del marchese Pasquale Toraldo, Lydia Serra, che diventò Sindaca illuminata della città per più di un decennio, guidandola  verso alti traguardi di civiltà 

La storia che seguì é l’attualità che registra disparità salariale, violenza subita, diversa dignità tanto che la donna deve giustificare abbigliamento e comportamento quando viene stuprata oppure affannarsi a dimostrare intelligenza e capacità per non apparire solo bella. 

I pregiudizi misogini persistono e il percorso avviato da quelle valorose non è ancora compiuto. 

Ricordare che quando uomini e donne sono stati insieme, come nella Resistenza, abbiamo vinto credo sia estremamente attuale.

Tropea 14 Gennaio 2023

Beatrice Lento

Il Natale è andare oltre il mio per guardare al nostro

Un altro Natale ci trova uniti dal comune vincolo di appartenenza a sos KORAI.
È bello stringere un patto per tentare di migliorare il mondo ed anche se il traguardo è ambizioso un piccolo passo verso la meta fa assaporare la felicità.
Il senso del Natale è questo, andare oltre il proprio per guardare all’altro: abbiamo tutti sempre da fare ma quando trascuro il mio per dedicarmi al nostro non è tempo sprecato e il servizio reso con convinzione riempie il cuore di gioia.
Carissimi, ci lega una scelta importante, portiamola sempre avanti e godiamo dei piccoli, grandi passi compiuti.
Il Natale Divino rafforzi il nostro impegno, il nostro affiatamento, il rispetto, la stima e l’affetto che ci uniscono e l’aiuto del Bambinello Santo ci guidi a seminare il bene.
Buon Natale!
La Presidente di sos KORAI
Beatrice Lento

Lo sfregio

L’artista Ilaria Sagaria: “La violenza tramite acido è un fenomeno globale che non è legato all’etnia, alla religione e tantomeno alla posizione sociale e geografica – ha detto Sagaria – Nonostante siano stati registrati casi di aggressione anche ai danni di uomini, rimane una forma di violenza con un impatto maggiore sulle donne. Oltre alla brutalità fisica causata da un gesto inumano, c’è il trauma psicologico da affrontare: la perdita dell’identità, la depressione e l’isolamento. Dopo la fase di ospedalizzazione, sono costrette a passare lunghi periodi chiuse dentro casa e, anche quando potrebbero uscire all’aperto, rifiutano di mostrarsi in pubblico e di affrontare lo sguardo degli altri. Mettono via gli specchi e le loro fotografie, eliminando qualsiasi cosa che possa mostrare quello che erano prima e quello che sono diventate in seguito, diventando così prigioniere di una casa privata di memoria e identità. Attraverso le loro testimonianze, ho ricostruito un racconto, una mise-en-scène fotografica che potesse restituire questi momenti senza spettacolarizzarne il dolore, concentrandomi sull’aspetto psicologico e sul concetto di identità”. 

…e l’avventura continua

Giornata importante perché la nostra Assemblea Straordinaria ha deliberato all’unanimità il nuovo Statuto in linea con la normativa del Terzo Settore.

Inevitabilmente il ricordo è andato ad una giornata di dicembre del 2017 quando, emozionantissimi, abbiamo dato vita all’Atto Costitutivo di sos KORAI.

Auguri all’Associazione perché continui il suo impegno contro la subcultura patriarcale che, ancor oggi, limita fortemente i diritti delle donne ed anche degli uomini perché mortificare i talenti femminili è una perdita di civiltà che decurta l’evoluzione umana nella sua interezza.

Nasce a Bergamo un movimento che vuole sostenere la rivoluzione delle donne iraniane che da mesi offrono la vita in cambio della libertà di esistere senza velo.

“Women Life Freedom – Let the wind wave your hair” nasce da un’idea di Gianluca Burini e della designer di moda di nazionalità iraniana Maryam Nezarati durante uno shooting fotografico.

Il progetto consiste nel rappresentare, attraverso delle fotografie, la forza e la determinazione della donna che prende posizione contro qualsiasi violenza, difende i propri diritti e afferma la propria libertà.

“Molte – sottolinea Sibyl von der Schulenburg, scrittrice e imprenditrice che ha aderito a questo movimento prestando la propria immagine – sono picchiate, sfregiate e violentate dall’autorità pubblica. Altre semplicemente uccise per strada.

Con loro ci sono anche giovani uomini che sacrificano tutto per un’idea di uguaglianza e libertà. Ora che la popolazione reagisce dall’interno, dobbiamo contribuire alla loro battaglia, accantonare comode scuse di tolleranza ed esprimere con coraggio i nostri principi di uguaglianza tra i generi e libertà di pensiero. Dobbiamo metterci la faccia, come si suol dire”.

Nei ritratti delle partecipanti, il buio e il velo nero rappresentano il dolore, la sofferenza e la tristezza in cui troppe donne sono state forzate, mentre i capelli, icona della femminilità, diventano simbolo di liberazione. Gli occhi esprimono determinazione ma anche rabbia per la sorte delle sorelle iraniane.

Le immagini sono diffuse sui social media, alcuni tra i partecipanti contano su molti follower come ad esempio il fotografo iraniano Alireza Alipour che vive a Lione. In Italia il movimento trova voce nei programmi di Indieliferadio

“Non amo fare appelli – continua la scrittrice Sibyl von der Schulenburg – ma in questo caso chiamo a partecipare chiunque voglia far sentire la sua voce in difesa delle donne iraniane. In particolare invito personaggi pubblici, politici, artisti, influencer e anche donne del mondo islamico ad alimentare questo movimento offrendo la propria immagine. Ne avete il coraggio?”.

dal web