Letizia Battaglia
“La Città di Palermo l’ho amata e odiata: la mia Palermo fa puzza e questo mi piace molto. È la Palermo che io amo, quella del centro storico: quella dei quartieri “bene” non mi interessa, non ci vado, non ho amici da quelle parti. Palermo puzza splendidamente, è il motivo per cui non riesco a lasciare questa città: la sua potente decadenza che tenta di rialzarsi continuamente. Palermo è affascinante per me, potrei vivere a New York, Parigi, Roma o Napoli, ma vengo sempre attratta da Palermo. C’è del bello, una storia dietro di noi che è importante e che bisogna rispettare. C’è una lotta nel presente da anni che forse non sapete, forse taciuta e non amata, ma noi lottiamo continuamente. La nostra bellissima vita molta gente la vive lottando per cambiare una realtà che spesso non è stata voluta da noi, ce la siamo trovati per colpa di governi che hanno preteso per decenni che fossimo un bacino di voti. Perciò la povera Palermo è stata gestita da politici mafiosi: come potevamo reagire se un potere politico era lì a volere che eravamo solo voti? E la Mafia era lì per portare voti a Roma.”
“Fotografa della Mafia” è un titolo insopportabile. Io ho fatto la cronista per diciannove anni per il giornale l’Ora da freelance poi sono andata a Milano perché dovevo andare via da Palermo. Ho iniziato a proporre gli articoli, ma non andavano bene senza foto, per questo ho incominciato a fotografare. Poi il giornale l’Ora mi ha richiamata e sono stata felice di ritornare a Palermo. Fui la prima donna, in Italia nel 1974, a lavorare per un quotidiano: le fotografe sono sempre esistite, ma con un lavoro più calmo. In un quotidiano di una città come Palermo, in quegli anni particolari, non ho fatto foto solo di Mafia; ho fatto di tutto, bastava portassi delle fotografie. Erano molto esigenti al giornale l’Ora, 24 ore su 24. Una grande scuola di giornalismo civile, io gli devo molto. Era un ambiente composito, era un giornale comunista del pomeriggio, c’erano i vecchi comunisti che avevano un certo tipo di formazione e poi c’erano i giovani che oggi sono tra i più grandi giornalisti italiani. C’era un fermento contro il fascismo, contro la Mafia e contro la corruzione: in questa sono stata fortunata
“Non ho fotografato solo io i morti di Mafia. C’erano altri fotografi, solo che io ho usato le mie foto per fare delle esposizioni contro la Mafia, perché a me non piace. Io nel mio piccolo facevo il meglio per raccontare alla gente quanto era brutta, cattiva e sporca. Ma io veramente ho fatto di tutto, anche matrimoni e paesaggi. In questa mostra del MAXXI ci sono tutti questi momenti. Io mi chiedo dove sono le foto degli altri fotografi, perché non le tirano fuori per raccontare cosa fu in Italia? C’è una cronaca da raccontare”
Il lavoro come impegno civile e responsabilità politica
“Io vivo in coerenza con tutto quello che faccio. Non posso separare la mia fotografia da come gestisco la mia vita, da come amo e da come mi vesto. L’impegno civile nasce dall’infanzia, quando percepii che c’era un’ingiustizia, che noi avevamo il Parmigiano e la signora affianco a noi no, io lo rubavo a mia Madre e lo portavo. È una cosa nata con me.”
“Io non ho mai considerato me stessa come artista, lo capisco ora perché nei musei chiedono le mie foto. Io mi sono mossa come persona, dovevo correre: mentre lavavo i piatti mi chiamava il giornale che diceva di correre. Ho voluto essere una persona semplice, una vita senza vanità. Sono stata deputato, in Sicilia a tutti dicono “Onorevole, Buongiorno” a me semplicemente “ciao Letizia”. Ho trasmesso questo.”
Colleghi maschi
“Ho avuto colleghi maschi nello studio ed è andata benissimo. Più in generale, nel mondo a me è andata bene. (So di Paola Agosti che a Roma si è dovuta ritirare perché le davano i calci quando doveva fotografare. Piccolina, brava fotografa.) È chiaro che ci sono problemi, però se ti imponi si fa. La polizia mi impediva di fotografare certe contingenze, ma poi quando ho cominciato ad urlare era imbarazzante. Ho trovato questo stratagemma e poi ho trovato l’aiuto di Boris Giuliano che fu capo della squadra mobile, meraviglioso non più sbirro che poi fu ammazzato, molto gentile.”
I morti, amici o persone care
“Tante sono le persone che stimavo o che amavo che sono morte per colpa della Mafia.”
“Io non ho fotografato né la strage di Capaci, né Falcone, né Borsellino, ma ero là. Mi dispiaccio oggi di questo: un fotografo deve fotografare ed è importante come documento, come espressione personale, per lasciarlo ai posteri. Io, però, non ce la facevo più, per questo poi andai fuori.”
Le foto di omicidi oggi
“Dipende da come le cose vengono fotografate e portate a conoscenza. C’è una foto che io amo e amo questa fotografa donna, che ha fotografato quel piccolo bambino profugo morto sulla spiaggia. Pure lì si parlò di scandalo. Perché no? Devi fare vedere anche quello. Ci sono quadri in cui si mostra una decapitazione e sono nei musei. Noi abbiamo delle testimonianze e dipende dalla fotografia, se c’è rispetto o se è solo l’orrore della carne macellata. Dentro deve esserci un rispetto per quello che fotografi, devi fare sentire quello che senti dentro. Un bravo fotografo non registra solo quello che vede, ma anche quello che ha dentro: è complicato, ma ci possiamo riuscire. Non è solo l’attenzione ai particolari, l’angolazione, ma tutto soprattutto il sentimento che tu hai: cerchi di restituire la tristezza del fatto in un modo che conserva il rispetto.”
Grandi fotografi maestri
“Ero molto amica di Josef Koudelka, siamo andati insieme col camper in Turchia, in Jugoslavia e nel nord Europa. Lui è meraviglioso, è stato un maestro che mi ha dato tantissimo e lo considero uno dei più grandi fotografi del mondo: è bello ed importante avere dei maestri. Io me lo sono cercato, lui doveva fotografare le processioni e telefonò perché doveva avere ospitalità. Appena ho sentito che era lui stavo cadendo per terra. Quando venne, Koudelka ha guardato le mie foto, c’era anche il mio ex compagno Franco Zecchin. Dietro una foto se gli piaceva metteva una K e ne ho avute tante. Io non ho più fotografato cose buone per un anno, perché essere sottoposti ad un giudizio di una mente così mi ha scosso.”
Passare dal padre al marito, sposata a 16 anni, 3 figlie, separata, matrimonio come prigione?
“È complicato parlarne perché sono stati anni molto dolorosi per me. Avevo un padre geloso che mi aveva chiuso in casa, ho cercato sempre di andarmene. L’unica via allora era sposarmi, passare dal padre al marito, un uomo che mi amava. Non eravamo fatti l’uno per l’altro, ma è durato tanto questo matrimonio anche in modo tragico.”
Ricostruire la famiglia
“Sono riuscita a stare vicino a mio marito, dopo vent’anni di separazione, nell’ultimo anno di vita e di questo sono molto contenta: ho sentito affetto per lui come un fratello. Amo molto il perdono e capire come sono andare le cose e ho capito che se avevo sofferto è perché lui non poteva fare diversamente da quello che era: non capiva una ragazza inquieta e piena di voglia di fare come me. È stato molto bello ricostruire la famiglia, dentro di me non l’avevo mai distrutta. Sono stata molto vicina alle figlie anche se una donna così inquieta qualche danno l’ha fatto verso le figlie. Sono sicura che qualcosa non è andata nel verso giusto come madre, ma l’amore è fortissimo e ci amiamo tutti. Prima di venire qua mi ha chiamato dall’India mia figlia Shobha che è fotografa per farmi gli auguri per tutto quello che dovevo fare. Poi c’è Patrizia e Cisia, i nipoti, i pronipoti: è tutta una grande gabbia meravigliosa. Meglio averli, ma non sei più libero. Se hai un certo tipo di legame soffri. È una gabbia di impegno. È bellissima, io me la sono presa tutta.”
Fotografare bianco e nero.
“Il bianco e nero è bellissimo, i colori per me sono banali, non riesco a fare bene foto a colori e quelle degli altri non mi turbano molto, non mi conquistano, qualcuno c’è. Il bianco e nero è più riservato, è più discreto, è più rispettoso della realtà. Se io avessi fatto a colori quello che ho fotografato sarebbe stato terribile: basta pensare al rosso del sangue. Quando io faccio un ritratto in bianco e nero, ha la sua eleganza solennità: mi piace molto dare onore a quando entro simbiosi con l’altro. Forse mi piace il Bianco e Nero perché sono all’antica, ho ottantadue anni e per me era una grande cosa, magari oggi è diverso.”
Oggi sono tutti fotografi con i cellulari?
“Tutti sono scrittori perché c’è la biro? C’è il progetto, la disciplina, l’idea. Fare fotografia non è solo scattare, è interpretare, è entrare nell’altro e con l’altro in quello che è e quello che vuole, inventare un altro o capirlo. Guardiamo a Facebook, la foto può raccontare di un bel paesaggio ma la bravura non c’entra niente. Non c’è mediazione, è molto superficiale. La fotografia è qualcosa di più e i fotografi che rimangono sono quelli che hanno qualcosa da dire, così come accade per gli artisti. Spero di rimanere.”
“Io fotografo senza la disperazione di prima. Io ho cominciato a Milano e ho avuto la possibilità di fotografare Pasolini, tra le prime foto, vennero bene. Io non ho studiato nulla di fotografia e tecnica, vengono bene da sole. Non capisco niente di tecnica, mi sembrava insopportabile vedere i fotografi maschi che comparavano la strumentazione, i teleobiettivi e altre performance formidabili delle loro macchine fotografiche. Io avevo una macchina semplice e sono riuscita fare delle foto che quando ho esposto a New York mi hanno chiesto se le avessi fatte con una macchina di alto livello.”
Il progetto a Palermo del centro di fotografia – i ragazzi possano poter vedere fiorire la bellezza
“Io sono stata una fotografa sola. Non c’era una galleria fotografica, non c’era niente. I giornalisti e direttori non capivano niente di fotografia e pure oggi è così, stanno distruggendo i giornali per questo motivo. Pensiamo invece al mio centro che realizzerò, un padiglione enorme dei primi del ‘900. Ci sono due gallerie grandi una per i grandi eventi e una per i fotografi emergenti. Poi una stanza grande con l’archivio della città di Palermo, dalle fine dell’800: io chiederò a tutti di fare una raccolta delle foto, a tutti i fotografi del mondo chiederò di regalarmi una foto se sono passati da Palermo. Ci sarà fotografia ma non solo, poesia, musica, impareremo tutti insieme. Ho solo un po’ di fretta perché ho 82 anni, non so cosa mi aspetti, se avrò la forza e l’energia di continuare.
di Giuliano Cattabriga