Archivio mensile 8th Febbraio 2019

Quelle come me

Quelle come me sono capaci di grandi amori e

grandi collere, grandi litigi, grandi pianti e grandi

perdoni.

Quelle come me non tradiscono mai, quelle come

me hanno valori che sono incastrati nella testa

come se fossero pezzi di un puzzle, dove ogni

singolo pezzo ha il suo incastro e lì deve andare.

Niente per loro è sottotono, niente è superficiale o

scontato, non le amiche, non la famiglia, non gli

amori che hanno voluto, che hanno cercato, e

difeso e sopportato.

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di

rimanerne prive…

Quelle come me donano l’anima, perché un’anima

da sola, è come una goccia d’acqua nel deserto.

Quelle come me tendono la mano

ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio

di cadere a loro volta…

Quelle come me guardano avanti,

anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro…

Quelle come me cercano un senso all’esistere e,

quando lo trovano, tentano d’insegnarlo

a chi sta solo sopravvivendo…

Quelle come me quando amano, amano per sempre…

e quando smettono d’amare è solo perché

piccoli frammenti di essere giacciono

inermi nelle mani della vita…

Quelle come me inseguono un sogno…

quello di essere amate per ciò che sono

e non per ciò che si vorrebbe fossero…

Quelle come me girano il mondo

alla ricerca di quei valori che, ormai,

sono caduti nel dimenticatoio dell’anima…

Quelle come me vorrebbero cambiare,

ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo…

Quelle come me urlano in silenzio,

perché la loro voce non si confonda con le lacrime…

Quelle come me sono quelle cui tu riesci

sempre a spezzare il cuore,

perché sai che ti lasceranno andare,

senza chiederti nulla…

Quelle come me amano troppo, pur sapendo che,

in cambio, non riceveranno altro che briciole…

Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,

purtroppo, fondano la loro esistenza…

Quelle come me passano innosservate,

ma sono le uniche che ti ameranno davvero…

Quelle come me sono quelle che,

nell’autunno della tua vita,

rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti

e che tu non hai voluto

Alda Merini

Lella Costa

Sta girando l’Italia con due spettacoli che aveva già portato in scena, La Traviata e Questioni di cuore, che parlano di temi femminili molto forti. Se li ripropone forse vuol dire che in tutto questo tempo poco è cambiato

No, ma sono contenuti che mi stanno a cuore, indipendentemente dall’attualità. E poi, portando in giro due spettacoli tengo in allenamento i neuroni. Battute a parte, La Traviata, per esempio, parla anche del prezzo che le donne hanno sempre dovuto pagare per il loro talento. E, infatti, le figure, oltre a Margherita Gauthier, sono Maria Callas e Marilyn Monroe. Però, appoggiandomi al romanzo di Dumas e all’opera di Verdi, emergono anche figure maschili bellissime. Alla fine dello spettacolo dico sempre: quando gli sguardi degli uomini si sposano sulle donne non per violare ma per raccontare sono meravigliosi. C’è questa frase di Dumas, che era un ragazzino quando l’ha scritta, aveva poco più di vent’anni, che per me è bellissima: «Non ho mai più disprezzato una donna alla prima impressione». Ecco, credo che andrebbe insegnato alle elementari.

Questioni di cuore, invece, è tratto dalle lettere e dalle risposte della posta del cuore di Natalia Aspesi.

Una donna straordinaria che riesce a ritrarre l’Italia in modo sublime. È uno spettacolo particolarmente riuscito, è un peccato non riproporlo.

Sarebbe interessante fare una sorta di educazione sentimentale sia per uomini che per le donne.

Sicuramente, anche perché  sembra che facciamo sempre più fatica a difendere le tre o quattro cose che abbiamo imparato e conquistato negli anni.

Cosa pensa del #metoo italiano?

Che sia stato una cosa importantissima, ma che, purtroppo, non sia passato oltre la categoria di donne intelligenti, brave, sincere e autentiche che fanno parte di quella che è considerata l’elite (e in un certo senso lo è) del mondo del cinema, dello spettacolo, della visibilità in generale. Mi dispiace che queste affermazioni, queste denunce tardive, abbiano creato attorno un po’ di astio. Si è detto: “Tu potevi dire di no perché eri una signora o una signorina che aveva tutti gli strumenti per poterlo fare”. Quello che si sarebbe dovuto fare, e che certamente era nelle intenzioni delle donne che hanno dato il via la movimento, era trasportare questa battaglia di consapevolezza in tutto il resto del mondo, soprattutto del lavoro, dove le donne non hanno modo di sottrarsi a quel tipo di ricatto, a quel tipo di violenza e sopraffazione perché ne va della loro sopravvivenza.  Ecco, rispetto a questa istanza mi è mancata la voce degli uomin

Rispetto alle grandi battaglie femministe degli anni 70,  che sono sfociate in atti concreti, dalla legge sul divorzio a quella sulla 194, secondo lei questi movimenti degli ultimi degli ultimi anni, dall’esperienza di “Se non ora quando” allo stesso #metoo, sono stati meno incisivi?

Oggi è un po’ più difficile dal punto di vista legislativo. Ricordo però che in questi anni è stata varata una legge sullo stalking che, forse, poteva essere fatta meglio, ma intanto prima non c’era e adesso c’è (e non si sa perché tutti se ne dimenticano). Questo è un risultato ottenuto grazie anche a “Se non ora quando” e non solo. Non ci arroghiamo dei meriti eccessivi, ma lo spettacolo scritto da Serena Dandini, Ferite a morte, che è un testo che è stato rappresentato dall’Onu al Parlamento Europeo e viene continuamente messo in scena dalle istituzioni di tanti Paesi, dalla Turchia alla Tunisia all’Olanda, è un esempio concreto di come la voce delle donne si sia fatta sentire su certi temi, come appunto quello della violenza. E in questo senso si stanno facendo degli atti concreti. Lentamente, sotto traccia, ma le cose stanno cambiando. Perché se si allarga la consapevolezza che la violenza domestica, che è quella che porta poi anche al femminicidio, non è inevitabile e, soprattutto, se si prepara una rete, nelle Forze dell’ordine, nelle Istituzioni, che sappia accogliere le denunce e le donne in difficoltà, il mutamento avviene. Molte Regioni si stanno attrezzando in questo senso. E non mi pare poco. Perché prima di femminicidio e violenza non se ne parlava affatto. Certo, l’unico esito legale è stata la legge sullo stalking, ma, ripeto, è stato un passo in avanti. Molto più difficile è normare, da un punto di vista giuridico, quello che viene considerato il vasto campo della molestia, del ricatto, del mobbing. In questo senso, il limite del #metoo è stato proprio quello di non essere riuscito a uscire da un unico ambito, che è quello del mondo della visibilità, che è sicuramente stato importante come traino, ma che doveva contagiare tutto il resto del mondo femminile. E non solo. Pochi giorni fa Natalia Aspesi in un’intervista al Foglio diceva che il #metoo dovrebbero farlo gli uomini. Lei racconta di aver ricordato ai suoi colleghi come si comportavano loro: era normale, naturale, in quegli anni essere continuamente toccate, molestate, apostrofate in modo volgare sia sul posto di lavoro sia sull’autobus sia per strada. Per questo, e io concordo con lei, il #metoo non dovrebbe essere soltanto una denuncia degli abusi subiti dalle donne, ma un’autoaccusa, una presa di coscienza degli uomini. Perché prima di diventare materia giuridica, questa è materia culturale e relazionale: quello che emerge da tutto quanto è successo negli ultimi anni è che esiste una patologia di relazione, in primo luogo tra maschile e femminile. Dall’altra parte, però, dobbiamo fare attenzione. Basta guardare, per esempio, i casi clamorosi di Kevin Spacey e Woody Allen.

In che senso?

Come dice la Aspesi, se hanno commesso dei reati che vengano condannati, scontino la loro pensa e paghino il loro debito, ma continuino a fare il loro lavoro. Questo modo subdolo di impedire a persone di indubbia qualità professionale di lavorare semplicemente elidendo la loro esistenza dal mondo è una roba spaventosa. Si tratta di separare il peccato dal reato. Noi non siamo riusciti a parlare del fascino che gli uomini di potere esercitano, su tutti. Non voglio dire che si è consenzienti alla violenza, per carità di dio, e non voglio nemmeno dire che le vittime sono conniventi, anzi. Ma che si venga attratti, ammaliati dal potere (in senso lato, non solo quello economico o professionale) va detto. Parliamo anche di questo: vuol dire mettere a fuoco il fatto che ti capita di andare in una stanza d’albergo a fare un provino. Non dovresti perché imbastardisci quello che dovrebbe essere un rapporto professionale, quindi non si va nelle camere d’albergo e non ci si va da sole. Ma è tutto molto confuso, difficile, è tutto molto sfumato. Asia Argento avrà fatto anche dei passi falsi, ma ritengo fosse assolutamente autentica nel suo denunciare. Quindi io credo che quello che è mancato sia stato un #metoo al maschile, cioè che gli uomini dicano “quella roba lì l’ho fatta anche io, la faccio anche io”. Magari molti di loro non hanno usato la violenza o il ricatto esplicito, ma esiste un linguaggio non esplicito che ti fa cadere in quella trappola. E il fatto che tu, donna, lo sappia che è una trappola, non vuol dire che a te vada bene, è che accetti quella cosa come ineluttabile. Perché quello che percepisci è che quei comportamenti sono ineluttabili, cioè che  l’uomo è sempre stato così e lo sarà per sempre, che la prostituzione è come la guerra, c’è da sempre e ci sarà per sempre. Bene, non è vero. Perché è solo una questione di mercato. Per questo dico, ancora una volta, che quella che manca è la voce degli uomini.

L’abbiamo da poco vista alla serata dedicata alla Tv delle ragazze. Che esperienza è stata? 

Anche dopo 30 anni straordinaria. Per noi che ci siamo ritrovate è stata emozionante e commovente, grazie allo splendido lavoro di Serena Dandini e delle altre. Una bellissima testimonianza per valorizzare le cose del passato ma per mettere in campo anche energie nuove. Rispetto ad allora, che era un inizio di comicità televisiva e si basava sulle nostre storie legate al teatro, alla scrittura e alla radio, oggi la definizione te la dà tv, che però, spesso, non ti dà il tempo di crescere. Il vero problema è la scrittura al femminile. Il fulcro della Tv delle ragazze era proprio l’essere scritta da donne, il punto di vista era sempre quello femminile. Che non vuol dire bandire gli uomini, io ho sempre collaborato con autori maschi, ma che sia la parola che lo sguardo devono avere un’impronta femminile. Certo, quelle che oggi si affacciano e vogliono parlare di materie legate al femminile sono consapevoli che arrivano dopo e quindi tanti temi tanti argomenti tanti stili sono già stati fatti battuti da noi da noi pioniere

Chi sono i talenti al femminile in circolazione che vede o ha visto crescere?

Penso a Paola Cortellesi, che è un’attrice straordinaria prima che un’interprete. E poi Virginia Raffaele. Entrambe, non a caso, appena possono fanno teatro, si cimentano dal vivo quindi crescono in una dimensione di contatto con il pubblico.

Ultima domanda. La sua passione per le scarpe è leggendaria: quali indossa ora?

A dire il vero adesso nessuna, sono felicemente a piedi nudi visto che sono a casa. Le scarpe sono degli oggetti meravigliosi tanto che le tengo in una vetrinetta. Ora non riesco più, come facevo fino a qualche anno fa, ad andare in giro 24 ore al giorno con i tacchi, però continuo a pensare che le vere scarpe hanno il tacco: ti danno quell’allure, quello slancio nella camminata che è unico. E poi sono oggetti meravigliosi. La sapienza artigianale dei grandi creatori di scarpe, direi una sapienza architettonica, è un qualcosa che va riconosciuta e ammirata. Io non ho mai pensato alla scarpa come strumento di seduzione, ma come mio piacere personale: io godo della bellezza in sé e dell’oggetto e di come mi fa sentire.

Di Sara Sirtori

Maria Eva Ibaurgen

Maria Eva Ibarguren nasce nel 1919, figlia illegittima del latifondista Juan Duarte. Essere figlia illegittima fa nascere in lei un sentimento che caratterizzerà tutta la sua vita: l’indignazione dinanzi alle diversità di trattamento e alle ingiustizie.
Eva sogna di diventare un’attrice, ma è la radio a regalarle la popolarità. Ed è sempre grazie alla radio che Eva conosce il colonnello Juan Domingo Peron, capo del Dipartimento del Lavoro, che il 22 gennaio 1944 coinvolge molti artisti in un grande evento di solidarietà destinato a raccogliere fondi per le popolazioni colpite dal terremoto di San Juan.  Da quel giorno, Eva e Peron non si lasciano più.
Eva viene nominata presidente del sindacato che ha fondato. Peron diventa vicepresidente dell’Argentina e ministro del Lavoro. Arrestato dai militari, viene liberato di fronte al pericolo di un’insurrezione dei “descamisados” guidati da Eva Duarte.

Poco dopo Eva sposa Peron, che nel 1946 viene eletto presidente. Eva non si accontenta di fare la first lady. Si batte per il voto alle donne, inaugura scuole e ospedali, aumenta il controllo sui mezzi di comunicazione, dialoga con i sindacati, trascina le folle e diventa un’icona, con la sua gestualità enfatica, i suoi abiti ricercati e il suo inconfondibile chignon.

La sua consacrazione internazionale avviene con il viaggio in Europa del 1947, sebbene a Roma venga fischiata da chi le ricorda l’ospitalità offerta dall’Argentina ai nazisti in fuga.
Nel 1951 Peron si ricandida. Lavoratori e sindacati premono perché Evita si candidi alla vicepresidenza, ma alla fine lei rinuncia. Militari e conservatori sono fortemente contrari alla sua candidatura e lei sa di avere un tumore all’utero in stato avanzato.

Peron viene rieletto a larghissima maggioranza. Eva assiste al suo giuramento e poco tempo dopo muore a soli 33 anni. E’ il 26 luglio 1952. Per giorni gli argentini fanno la fila per rendere l’ultimo omaggio alla donna che il Parlamento ha nominato “capo spirituale della nazione”.

Le spoglie di Eva, dopo il colpo di Stato che nel ’55 destituisce Juan Peron, non hanno pace e tornano solo nel 1974 in Argentina, dove tuttora sono venerate dal popolo.

Dal Web

Corpi e anime di donne

ROMA – Da oggetto da ammirare, in veste di angelo o di tentatrice, a soggetto misterioso che si interroga sulla propria identità, fino alla nuova immagine …

Emmeline Pankhurst

Emmeline Pankhurst 1858 – 1928

Attivista per i diritti delle donne, era alla guida del movimento suffragista inglese.

“Dobbiamo liberare metà della razza umana, le donne, cosicché possano aiutare a liberarsi l’altra metà.”

Emmeline Pankhurst

Simone Weil

Una vita breve, un pensiero lungo, che continua ancora oggi. Simone Weil, nata a Parigi il 3 febbraio 1909 e morta il 24 agosto 1943, è stata insegnante, filosofa, operaia, rivoluzionaria, appassionata di matematica grazie al fratello André, anarchica, mistica.

Per Albert Camus, che fece raccogliere i suoi scritti da Gallimard, fu semplicemente ‘l’unico grande spirito del nostro tempo’. La forza di Simone Weil sta proprio in un pensiero personale frutto di esperienze e studi molto diversi, che tengono insieme la lettura critica di Marx, i testi di Sofocle, l’amore per Platone e una tensione verso il cristianesimo.

La sua ricerca e dunque la sua vita, visto che per lei pensiero e azione sono indissolubilmente legati, hanno come centro di gravità il rigore etico: per questo critica il senso di dismisura che vede crescere intorno a sé, per questo contesta ‘un’epoca che ci invita a espandere il nostro ego, la nostra potenza’. 

Per questo vale la pena rileggere le sue idee su cosa sia davvero la libertà e sul potere.

“Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un rapporto tra il pensiero e l’azione”.

“Disporre delle proprie azioni non significa affatto agire arbitrariamente; le azioni arbitrarie non derivano da alcun giudizio e, se vogliamo essere precisi, non possono essere chiamate libere. Ogni giudizio si applica a una situazione oggettiva, e di conseguenza a un tessuto di necessità. L’uomo vivente non può in alcun caso evitare di essere incalzato da tutte le parti da una necessità assolutamente inflessibile; ma, poiché pensa, ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale essa lo incalza dal di fuori, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia; e in questo consiste l’opposizione tra servitù e libertà.”

“Ma esiste ancora un altro fattore di servitù; l’esistenza, per ciascuno, degli altri uomini. Anzi, a ben guardare, è questo l’unico fattore di servitù in senso stretto; soltanto l’uomo può asservire l’uomo.”

“Perché tutto il resto può essere imposto dal di fuori con la forza, compresi i movimenti del corpo, ma nulla al mondo può costringere un uomo a esercitare la sua potenza di pensiero, né sottrargli il controllo del proprio pensiero.”

“Dovremmo essere, così pare, in pieno periodo rivoluzionario; ma di fatto tutto va come se il movimento rivoluzionario decadesse con il regime stesso che aspira a distruggere. Da oltre un secolo, ogni generazione di rivoluzionari ha di volta in volta sperato in una rivoluzione prossima; oggi, questa speranza ha perso tutto ciò che poteva servirle di supporto.”

“Perché non appena un potere oltrepassa i limiti che gli sono imposti dalla natura delle cose, restringe le fondamenta sulle quali poggia, rende questi limiti stessi sempre più ristretti. Estendendosi al di là di ciò che può controllare, genera un parassitismo, uno spreco, un disordine che, una volta apparsi, si accrescono automaticamente”

“Là dove le opinioni irragionevoli prendono il posto delle idee, la forza può tutto. È per esempio molto ingiusto dire che il fascismo annienta il pensiero libero; in realtà è l’assenza di pensiero libero che rende possibile l’imposizione con la forza di dottrine ufficiali del tutto sprovviste di significato”

(Le frasi sono tratte da: Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi; L’attesa della verità, a cura di Sabina Moser, Garzanti

Da La Repubblica

Green Book

Non vinci con la violenza, vinci quando mantieni alta la tua dignità.

Un film da godere!

Olio e limone


Due cucchiai di olio extravergine d’oliva e il succo di mezzo limone distribuiti nell’arco della giornata
, aiutano a restare giovani e in salute più a lungo, perché forniscono il giusto mix di antiossidanti e antiinfiammatori(polifenolo, vitamine A ed E) ed un buon apporto di acidi grassi mono e polinsaturi.

Dal web

Cammina almeno 30 m al dì

È l’esercizio più semplice ed efficace per rimettere in moto la circolazione, ossigenare il sangue e nutrire le cellule. Da evitare la corsa, soprattutto se non si è allenati e quando le condizioni climatiche sono difficili perché l’eccessivo sforzo fisico aumenta la produzione di radicali liberi.

Dal web

Evita la sigaretta