Archivio mensile 18th Febbraio 2019

Martha Graham

Martha Graham è una leggenda nel mondo della danza, una donna simbolo di quest’arte, un insostituibile contributo culturale in quel linguaggio espressivo che è movimento del proprio corpo.

Graham nacque l’11maggio 1894nell’attuale Pittsburgh (Pennsylvania). La prima e principale fonte di ispirazione per la ancora giovane ballerina sembra essere stato suo padre: George Graham era un medico specializzato nella cura dei disturbi nervosi e riteneva che il corpo di ognuno di noi potesse essere espressione di un significato e di un senso ben più profondo del solo e semplice movimento superficiale ed evidente. Una simile visione e prospettiva di analisi del comportamento umano catturò l’attenzione della giovane figlia Martha.

Martha Graham iniziò a studiare danza a livello professionistico, proseguendo la sua carriera accanto a nomi illustri quali Ted Shawn(21 ottobre 1891 – 9 gennaio 1972; coreografo e ballerino statunitense, considerato uno tra i pionieri della danza moderna). La Graham crebbe artisticamente tanto da arrivare a fondare una propria scuola, la Martha Graham Dance Company nel 1926, un vero punto di luce con raggio d’influenza e risonanza a lungo termine, culla di quello stile artistico che ha fatto della danza un linguaggio e una modalità espressiva dell’inconscio umano e personale: movimenti violenti, tormentati, traduzione di quelle emozioni e di quei sentimenti che non tutti i ballerini e coreografi erano in grado di mostrare al pubblico. Tra le principali realizzazioni artistiche di Martha Graham, note per essere piena realizzazione della sua concezione della danza, oggi ricordiamo Death and Entrances (1943), Appalachian Spring (1944), Dark Meadow (1946) e Errand into the Maze (1947). La sua carriera si protrasse fino alla fine della sua lunga vita, fino a quell’ormai lontano 1° aprile 1991, quando si spense all’età di 96 anni, lasciando dietro di sé un vero mondo d’ispirazione per ballerini e artisti di ogni tipo.

Non tutta la critica è concorde nel considerare insuperabile lo stile di Martha Graham, ma tutti ne riconoscono l’unicità. Ancora oggi molti coreografi risentono dell’influenza di questa ballerina e coreografa entrata nel firmamento della storia della danza moderna. Rispetto e ammirazione, in ogni caso, fanno della Graham un segno indelebile nella cultura americana e non. La sua permanenza e forte impronta artistico-culturale hanno portato la coreografa a essere paragonata a nomi quali Picasso e Kandinskij (nomi di punta tra le opere d’arte figurativa) per la forza e l’energia della sua tecnica impiegate nel campo della danza, per quell’originalità oggi imprescindibile. Una vera sperimentatrice e innovatrice, un nome divenuto atemporale, un classico della danza che non resta confinata tra quegli estremi temporali di nascita e scomparsa, ma una sempiterna presenza degna dell’eco che continua ad avere.

Talvolta gli artisti sono in grado di farsi ricordare per la forte scossa che causano nel proprio settore culturale, e Martha Graham ha turbato con fascino l’arte da palcoscenico. Influenzata e arricchita emozionalmente da pittori, musicisti, scultori e personalità esterne al mondo della danza, la Graham ha dato parte di sé – e continua a farlo, ancora, con la sua intramontabile rivoluzione nel movimento del corpo – intere generazioni di ballerini e coreografi: Paul Taylor, Merce Cunningham, Margot Fonteyn, Rudolf Nureyev, Mikhail Baryshnikov sono alcuni dei nomi passati sotto l’aura della Graham. Ma per capire la portata della sua personalità artistica, possiamo menzionare Madonna e Liza Minelli, o Gregory Peck, che si sono avvalsi degli insegnamenti della Graham per imparare a utilizzare il proprio corpo come strumento di comunicazione e mezzo espressivo.

D’altronde la Graham ha sempre ripetuto che la danza rivela il vero spirito del proprio paese in cui affonda le radici. È una questione culturale di integrità e pieno significato, un legame con la propria nazione che dà vita e senso alla produzione artistica. E la sua concezione della danza rispecchia la tumultuosa America, la terra dell’innovazione, della molteplicità di sguardi e concezioni di vita, quella patria che permette di mescolare influenze sociali, politiche, psicologiche e sessuali in una produzione culturale senza tempo. Una danza figlia dell’America, figlia di una personalità calata nella realtà della propria vita ricettiva di innumerevoli stimoli dal mondo circostante. Tutto tradotto nell’arte, un immortale linguaggio che porta e trascina con sé il nome di una vera rivoluzionaria a livello mondiale.

Sabrina Pessina

Nadia Comaneci


Può esistere la vera amicizia tra donne in sport altamente competitivi come la ginnastica?
Sì, è possibilie. La ginnastica è sia uno sport individuale che di “team”: si diventa sorelle, si sta insieme giorno e notte per anni, bisogna per forza essere amiche. Con l’età adulta ognuna è andata per la sua strada, ma ho ex colleghe che sento ancora.

Larry Nassar, ex medico della Nazionale americana di ginnastica, è stato condannato fino a 175 anni di prigione per aver abusato di 260 ginnaste, tra cui le atlete olimpiche Simone Biles e Aly Raisman. Gli abusi sulle atlete accadevano anche alla sua epoca ma non se ne parlava?
Ai miei tempi non era come adesso, e sapere cosa è successo è stato terribile per tutti. Nessuno lo immaginava. Io non ero un’insider nel team delle ginnaste americane, quindi non ho elementi in più se non quelli letti sui giornali. Non è solo un problema diffuso nella ginnastica, ma in tutti gli sport. Bisogna garantire la sicurezza dei bambini: credo che ogni federazione debba avere un leader che conosca la disciplina e si dedichi alla sicurezza dei minori, che vogliono solo divertirsi e allenarsi. Non devono pensare che lo sport possa nascondere altro. Ho visto i social media delle atlete che l’hanno accusato (la Biles si era affidata a Twitter, ammettendo di essere stata vittima di Nassar): credo che dovrebbero essere proprio Simone e Aly, le due più grandi del momento, a scegliere chi possa vigilare sulla sicurezza degli atleti».

Che cosa pensa del movimento #MeToo?
Il movimento #MeToo è molto forte e importante, ed era ora che le donne parlassero e si alzassero in difesa dei loro diritti. Ma in generale credo che tutti meritino rispetto, donne e uomini, senza distinzioni. Molti personaggi famosi si sono espressi in questo senso, e spero che ciò avvenga sempre di più.

Di Chiara Dalla Tomasini

Che cosa vuoi da me…

Cosa ti aspetti da me testo

Sono una pazza…

«Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un’eccentrica. […] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel ’45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc.
Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un’istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. […] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. […] L’essenziale è presentarmi come un’anormale. […]
Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un’altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente.»

Simone De Beauvoir

Valeria Mancinelli migliore Sindaca del mondo

la sindaca del Pd di Ancona Valeria Mancinelli a vincere il World Mayors Prize 2018, riconoscimento conferito ogni due anni dalla filantropica City Mayors ai sindaci che si sono distinti per leadership, ma anche compassione e capacità di tenere unita la propria comunità. L’edizione 2018 è stata dedicata alle donne nel governo locale, e alle sindache in particolare. Il dossier di Mancinelli, che si è detta «commossa, sorpresa e onorata», comprende un breve saggio scritto da lei stessa, un’intervista e varie testimonianze. Da quando è stata eletta nel 2013 – spiega una nota della World Mayors Foundation – Mancinelli ha ringiovanito l’antica città di Ancona, che portava ancora le cicatrici della crisi finanziaria del 2008. Migliaia di posti di lavoro erano andati persi. La crescita del porto, il motore economico della città, si era bloccata, e le piccole medie imprese ne soffrivano le conseguenze. Durante la campagna elettorale, Mancinelli «non ha fatto promesse esagerate, ma si è impegnata per un recupero economico a piccoli passi». «Ogni passo ha fatto di Ancona una città più vivibile, ogni passo ha accresciuto la fiducia delle persone nel futuro della città». Nell’ambito del premio altri riconoscimenti e menzioni sono andati alle donne sindaco di ogni parte del mondo, compresa Anne Hidalgo, prima cittadina di Parigi.

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Josephin Butler

Il ritratto di Josephine Butler

Josephine Elizabeth Butler (Northumberland, 13 aprile1828  30 dicembre 1906) è stata un’attivista britannica, femminista e riformatrice sociale dell’età vittoriana. Sostenne la campagna per il suffragio femminile, il diritto ad un’educazione migliore per le donne e l’abolizione della prostituzione minorile.

Josephine crebbe in una famiglia facoltosa, progressista e attiva in politica, che la aiutò a sviluppare una forte coscienza sociale e solidi ideali religiosi. Sposò George Butler, clerico della Chiesa anglicana e insegnante. La coppia ebbe quattro figli. La morte prematura dell’ultima figlia, Eva, rappresentò un momento di svolta per Josephine, che da quel momento cominciò a dedicarsi ad attività di assistenza e di impegno sociale.

Nel 1869 prese parte alla campagna per l’abrogazione dei Contagious Diseases Acts, una serie di disposizioni volte a contenere la diffusione di malattie veneree – in particolare nell’esercito e nella marina britannica – attraverso il controllo medico forzato delle prostitute, descritto da Josephine come “stupro d’acciaio”. La campagna raggiunse il successo nel 1886 con l’abrogazione delle Leggi. Josephine inoltre fu fra i fondatori dell’International Abolitionist Federation, un’organizzazione presente in tutta Europa con lo scopo di combattere legislazioni simili nel continente.

Mentre investigava sugli effetti delle leggi contro le malattie contagiose, Josephine rimase sconvolta nell’apprendere del traffico di donne, anche bambine, dall’Inghilterra verso il continente, per alimentare il mercato della prostituzione. La campagna per fermare questo commercio di vite umane portò all’allontanamento del capo della Police des Moeurs belga e al processo e arresto del vicecapo e di 12 proprietari di bordelli, coinvolti in questo giro d’affari. Josephine combatté la prostituzione minorile con l’aiuto di William Thomas Stead, editore del Pall Mall Gazette, che sconvolse l’opinione pubblica dimostrando di aver potuto comprare una ragazzina di 13 anni per 5 sterline. La protesta che ne seguì portò all’approvazione del Criminal Law Amendment Act nel 1885, che alzò l’età del consenso ai rapporti sessuali da 13 a 16 anni e contribuì a fermare la prostituzione delle bambine. La sua campagna finale si svolse nei tardi anni ’90 del 1800, sempre contro i Contagious Diseases Acts, leggi che continuarono ad essere applicate nell’Impero anglo-indiano.

Josephine scrisse più di 90 libri e opuscoli durante la sua carriera, la maggior parte dei quali a supporto delle sue campagne. Inoltre scrisse la biografia del padre, del marito e di Caterina da Siena.

Il suo femminismo cristiano viene celebrato dalla Chiesa d’Inghilterra con il Lesser Festival; contengono sue immagini le vetrate della Cattedrale Anglicana di Liverpool e della St. Olave’s Church nella Città di Londra. Il suo nome appare nel Reformers Memorial nel Kensal Green Cemetery, Londra, e l’Università di Durham le ha intitolato una delle sue università.

I suoi metodi di lotta cambiarono il modo in cui femministe e suffragiste condussero le loro campagne e il suo lavoro portò nello scenario politico gruppi di persone che prima non erano mai state attive. Dopo la sua morte del 1906, l’intellettuale femminista Millicent Garrett Fawcett la celebrò come “la più illustre donna inglese del diciannovesimo secolo”

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Atena e Medusa

Nella società patriarcale come la nostra il potere femminile viene annientato se non si riveste di mascolinità. Nella cultura classica tutto questo é rappresentato da Atena.

É Lei a condannare Medusa, un tempo splendida ragazza, a diventare un mostro coi capelli di serpente e dallo sguardo pietrificante.

Il torto di Medusa é la sensualità, l’ incarnare le antiche dee madri della fertilità, forze della natura a cui i maschi dovevano sottomettersi.

Oggi si può essere donne potenti solo somigliando ad Atena ed anche ora, come nella simbologia del mito, facilmente sono le stesse donne ad allearsi con gli uomini per aggredire le altre donne

Il soffitto di cristallo si romperá

Non è facile per una bambina, una ragazza, una donna dedicarsi alla scienza. Pregiudizi e stereotipi sono ancora lì, nascosti ad ogni angolo, a minare gli sforzi e la determinazione. Perché formule, algoritmi e funzioni sono per molti ancora materia esclusiva dell’uomo. Dal 2015 l’Onu ha quindi deciso di dedicare una giornata l’11 febbraio, proprio a loro: alle ragazze e alle donne nella scienza. A chi ha deciso — ed è riuscita — a costruire una carriera in un ecosistema «maschile» per tradizione. E a chi si impegna nella sensibilizzazione per far sì che anche tra i talenti femminili cresca l’interesse per quei settori che racchiudono la maggior parte dei lavori del futuro

Un modello  é Sara Sesti, professoressa di matematica e femminista, fa parte della Associazione «Donne e Scienza». Sua è la prima ricerca italiana sul ruolo femminile nelle materie scientifiche, condotta nel 1986 dal centro Pristem dell’università Bocconi. Per la Giornata Mondiale dell’11 febbraio, ha in programma un convegno dedicato proprio ai modelli più iconici (e femminili) che si sono distinti nella scienza. «Considero questa giornata non tanto una ricorrenza, ma una festa», assicura. Il tema delle difficoltà femminili in ambito scientifico è ampio e variegato e si concentra soprattutto in alcuni settori, le cosiddette Stem, le scienze dure: scienza, tecnologia, ingegneria, matematica: «Conta moltissimo avere dei modelli — aggiunge Sara Sesti — Le ragazze quando entrano nel mondo della scienza si sentono come delle immigrate in un mondo completamente straniero». Ma in realtà di protagoniste femminili, anche in questo settore, ce ne sono state e ce ne sono ancora molte. Riuscite nel suo libro Scienziate nel Tempo. 100 biografie: «Per esempio Fabiola Gianotti, direttrice del Cern, racconta spesso come le letture su Marie Curie l’abbiano affascinata e portata ad occuparsi di fisica».

L’importanza della famiglia e degli stimoli

Ma fondamentale è soprattutto la famiglia, spesso involontaria prima promotrice delle differenze di genere. E qui Sara Sesti porta il caso di Hedy Lamarr, conosciuta come bellissima attrice — la prima a posare nuda in un film, Estasi — ma anche come inventrice del wifi. «Nata da una ricca famiglia ebrea, il padre le raccontava le invenzioni meravigliose del secolo. Ad esempio, durante una passeggiata le spiegava come funzionavano i tram. Quando è diventata una diva, si rilassava tra un film e l’altro creando piccole invenzioni. Per lei è stato fondamentale avere una figura che le ha permesso di amare la scienza sin da bambina». Gli stimoli possono avere le origini più inaspettate: «L’industria dei giocattoli è forse più avanti della società in cui viviamo — aggiunge Sara Sesti — La Mattel ha appena lanciato la Barbie Samantha, con caschetto nero e tuta spaziale». Il riferimento è chiaro, Samantha Cristoforetti, che è stata definita la donna italiana che cambierà i sogni delle bambine. «Quando l’ho vista sono rimasta un po’ perplessa, ma poi ho pensato che se aiuta le bambine ad alzare gli occhi al cielo, va bene anche partire dalle bambole». 

Il soffitto di cristallo sta per rompersi

Da professoressa di matematica, è fondamentale per lei il contributo della scuola per cambiare le cose ed eliminare i pregiudizi: «Bisogna proprio lavorare su tanti fronti. Si inizia dall’educazione in famiglia, si deve stare attenti ai comportamenti che si richiedono alle bambine. E poi l’istruzione, io lo vedo: quando c’è qualcosa che riguarda un’attività concreta viene chiesto a un maschio quando c’è un lavoro di cura lo si chiede a una ragazzina. Gli insegnanti dovrebbero stare attenti a non dividere questi ruoli». Ed è proprio questo uno dei punti cruciali, «sollevare le donne dai compiti di cura. Con la fatica che facciamo noi tutti i giorni, siamo ancora caricate di tutti quei lavori che ci hanno assegnato da secoli. Dai tempi di Aristotele, quando si diceva già che donne non sono adatte per natura ai pensieri astratti». Le cose, comunque, stanno cambiando. «Un tempo si parlava di soffitto di cristallo per definire quel muro che le donne non avrebbero mai sfondato. Oggi si percepisce un’onda che sta montando e piano piano lo sfonderà. Le donne nei laboratori sono il 60 per cento degli uomini. Deve succedere qualcosa in più che smonti i meccanismi, che sblocchi le ruote».

Di Michela Rovelli

Ragazza afgana

L’immagine, divenuta un’ icona della fotografia mondiale, fu scattata da Steve McCurry nel 1984 nel campo profughi pakistano di Peshawar, dove McCurry fu inviato per documentare la situazione dei profughi afgani, e pubblicata successivamente sulla copertina della rivista NationalGeographic Magazine del numero di giugno 1985. L’identità della ragazza rimase sconosciuta sino al 2002. Il governo afgano infatti aveva un atteggiamento ostile nei confronti dei media occidentali, mantenuto fino alla caduta del regime talebano, avvenuta per mano dell’esercito americano nel 2001. Nel gennaio 2002, a distanza di 17 anni dal famoso scatto, McCurry e il National Geographic organizzarono una spedizione per scoprire se la ragazza fosse ancora viva. Dopo mesi di ricerche fu ritrovata e McCurry potè fotografarla nuovamente. Si tratta di Sharbat Gula, allora dodicenne, rimasta orfana.

Quegli occhi verde ghiaccio e quello sguardo intenso e disarmante che trasuda paura e rabbia sono diventati un simbolo del conflitto in Afghanistan, ma, in generale, di tutte le guerre che interessano il Medio Oriente.

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L’ eroina mancata del DNA

Rosalind FranklinPochi sanno che nel 1963 sul podio per la consegna del Premio Nobel per la scoperta della struttura del DNA mancava uno scienziato il cui contributo è stato fondamentale: si trattava della ricercatrice Rosalind Franklin. Prematuramente scomparsa all’età di 37 anni per un tumore alle ovaie, ha condotto tutti gli esperimenti che hanno permesso di fotografare ai raggi X la struttura del DNA, e la cui interpretazione ha permesso di dedurne la struttura tridimensionale. 

Rosalind Franklin dovette affrontare un ambiente ostile alle donne, che in parte la ostacolò nell’emergere nel panorama internazionale come scienziata, ma il suo forte spirito di indipendenza e la sua indiscutibile intelligenza le hanno permesso di imporsi comunque nella storia della scienza e sono arrivati fino a noi, tanto da far sorgere la necessità di una rivalutazione storica del suo lavoro.

Rosalind Franklin aveva 33 anni nel febbraio del 1953, quando sul suo taccuino di appunti scrisse che “il Dna è composto da due catene distinte”, due settimane dopo Crick e Watson costruirono il loro celebre modello della struttura del DNA, nel laboratorio di Cavendish a Cambridge. 

Immagine ai raggi X del DNALe “istruzioni” per costruire il modello arrivarono ai due scienziati per vie traverse, attraverso le quali vennero a conoscenza degli studi della Franklin, mai pubblicati in veste ufficiale. Wilkins, un superiore della Franklin, aveva, infatti, mostrato a Crick e Watson nel gennaio 1953 una fotografia del DNA fatta dalla Franklin, quella recante il numero 51, senza poter immaginare che da questa informazione i due scienziati sarebbero stati in grado di inferire la struttura del DNA, anche aiutati dalla lettura del volume di Max Perutz che riassumeva il lavoro dei principali ricercatori del centro, tra cui quello della Franklin. Watson nel suo celebre libro “La doppia elica” (1968) lascia intravedere le difficoltà che la scienziata dovette affrontare per poter continuare le proprie ricerche nel mondo della ricerca inglese decisamente ostile al genere femminile in quegli anni, nonostante il suo curriculum scientifico fosse eccellente.

Le difficoltà che dovette affrontare, unite alla prematura morte che non le ha permesso di ricevere il giusto riconoscimento, ne hanno fatto un’icona del movimento femminista nelle scienze. 

King's CollegeUn riesame dei suoi carteggi, ha rivelato che la ricercatrice effettivamente soffriva molto l’ambiente in cui viveva, ma non tanto per il fatto di essere una donna, in quanto il maschilismo si manifestava solo in determinate occasioni e non tanto nella vita quotidiana, ma per la sua posizione sociale e religiosa, così diversa da quella degli altri personaggi che lavoravano al King’s College. Il suo disagio era tale, che appena le fu possibile si allontanò dalla struttura, anche se a detta dei suoi collaboratori, probabilmente era ad un passo da dedurre lei stessa la struttura del DNA. Dai suoi scritti non trapela nulla che riguardi un moto di amarezza o di dispiacere per questa mancata scoperta, operata dai due ricercatori basandosi sui suoi studi e a sua insaputa. Tutt’altro, nel resto della sua breve vita si dedicò agli studi del virus del mosaico del tabacco, sui quali produsse eccellenti lavori, e rimase sempre in più che ottimi rapporti con Crick, con il quale non solo scambiò una ricca corrispondenza epistolare ma passò molto tempo con i coniugi Crick, soprattutto durante i periodi di convalescenza della sua malattia.Franklin-Wilkins building

Probabilmente mai avrebbe immaginato che la sua storia venisse in futuro interpretata come quella di un eroina mancata del DNA, e che al King’s College di Londra, che lei non aveva amato, le dedicassero addirittura un edificio, il “Franklin-Wilkins building”.

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