Archivio mensile 5th Luglio 2018

Cristina Trivulzio di Belgioioso

Cristina è stata famosissima in vita e non solo in Italia. Celebrata anche dopo morta per decenni, grazie al suo apporto alla causa dell’Unità d’Italia, è oggi quasi sconosciuta. A Milano, dove il suo nome era noto a tutti, per la sua ricchezza, la bellezza, il coraggio e l’anticonformismo, è oggi ricordata con una via suburbana che porta a Pero, dopo lo svincolo autostradale di Roserio.Cristina fu una bambina gracile e timida, ma già da giovanissima si dimostrò intrepida. Era nata in una famiglia nobile e ricca; suo padre morì quando lei aveva solo quattro anni e tuttavia la sua fu un’infanzia serena: la madre si risposò con Alessandro Visconti d’Aragona, ebbe altri quattro figli e Cristina ebbe buoni e affettuosi rapporti sia con il patrigno che con i fratellastri. Come si usava a quel tempo nelle famiglie nobili, non fu mandata a scuola e prese invece lezioni a casa. Determinante per la sua formazione fu il rapporto con l’insegnante di disegno, Ernesta Bisi, che per prima le fece intravedere idee nuove, e l’amicizia con Bianca Milesi: idee che venivano dalla Francia e che non piacevano neppure un po’ al potente nonno materno di Cristina, Gran Ciambellano dell’imperatore d’Austria.

A 16 anni Cristina rifiutò il matrimonio con un cugino triste e piagnucoloso e sposò invece, pur sconsigliata dagli amici, il principe Emilio di Belgioioso: che era bello, giovane, sifilitico e stava dilapidando allegramente il suo patrimonio. Per dare un’idea della ricchezza della famiglia Trivulzio, si pensi che Cristina portò in dote 400.000 lire austriache, calcolate oggi a 4 milioni di euro. Il matrimonio con Belgioioso durò poco, ma si dissolse pacificamente in un rapporto d’amicizia che durò tutta la vita.

Verso la fine degli anni Venti Cristina cominciò a frequentare i patrioti, cosa che ovviamente non sfuggì all’occhiuta polizia di Milano. Sentendosi minacciata, scappa prima in Svizzera, poi in Francia. Qui, ospite di un amico notaio, conosce lo storico francese Augustin Thierry, che le rimane amico per tutta la vita, innamorato della sua testa, della sua vitalità, della sua intraprendenza: non poteva ammirarne la bellezza perché era da poco diventato cieco.

Intanto la polizia austriaca sequestra tutti i suoi beni in Italia: Cristina decide allora di trasferirsi in Francia dove per qualche tempo si guadagna da vivere facendo pizzi e coccarde. Ma per sua fortuna la povertà dura poco: arriva prima l’aiuto materno, poi il dissequestro del suo patrimonio.

Affitta allora un appartamento nel centro di Parigi, apre un salotto, stringe amicizia con Heinrich Heine, Liszt, de Musset, corrisponde con La Fayette. Scrive articoli, paga di tasca sua giornali patriottici, aiuta numerosi fuorusciti italiani, finanzia addirittura un tentativo di colpo di stato mazziniano in Sardegna, perora la causa italiana nel mondo che conta a Parigi.

È molto ammirata, sicuramente affascinante. Alta, sottile, colorito pallidissimo, capelli nerissimi, molti la corteggiano, tutti l’ammirano. A trent’anni mette al mondo una bambina, Maria. Figlia di chi? Non si saprà mai di sicuro, forse di uno storico che si chiamava François Mignet. Seguono anni di isolamento e di studio. Poi Cristina decide di tornare a Locate, dove possiede una grande proprietà di famiglia.

Prima di lasciare Milano, Cristina chiede di dare un ultimo saluto a Giulia Beccaria , la madre di Alessandro Manzoni, malata gravemente. Ma il “pio” Manzoni non la lascia entrare: troppo scandalosa era stata la sua vita per essere accettata da un cattolico. Lo stesso Manzoni, quando gli fu riferito che Cristina a Locate aveva fondato un asilo per i bambini poveri esclamò: «ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?»

Asilo che fu invece lodato dal grande pedagogista Ferrante Aporti e non fu l’unica iniziativa filantropica della Belgioioso, che in Francia aveva apprezzato le idee del socialismo utopistico di Charles Fourier: a Locate crea anche scuole maschili e femminili, nonché forme di previdenza per i contadini.

Seguono anni di studio (tra l’altro traduce in francese le opere di Gian Battista Vico) e di fervore di idee, dissensi, iniziative: Cristina si orienta per la soluzione unitaria e monarchica. Sono anni caldi che preparano il ‘48. Usa il suo denaro per diffondere idee, fonda la rivista «Ausonio» sul modello della celebre «Revue des Deux Mondes». Incontra Cavour, Cesare Balbo, Tommaseo, Giuseppe Montanelli.

È a Roma quando scoppiano le Cinque Giornate di Milano. Organizza quello che, con un po’ di ironia, venne chiamato l’ “esercito Belgioioso”, 200 volontari portati in piroscafo fino a Genova e di qui a Milano. Poco tempo dopo si unisce ai patrioti della Repubblica Romana, trascorre giorno e notte negli ospedali, si espone a ogni rischio e “inventa” le infermiere, che ancora non esistevano: dame aristocratiche, donne borghesi e anche qualche prostituta. Ciò che, quando si verrà a sapere anni dopo, non mancherà di scandalizzare i “benpensanti” e lo stesso Papa, al quale Cristina risponderà rispettosamente, ma per le rime, con una pubblica lettera.

Dopo la sconfitta della Repubblica Romana s’imbarca a Civitavecchia con la figlia, sbarca a Costantinopoli, finisce in Turchia, dove con soldi a prestito acquista una proprietà, fonda una colonia agricola aperta a profughi italiani, assiste la popolazione locale come a Locate, si guadagna da vivere scrivendo articoli di sorprendente verismo sull’Anatolia, il Libano, la Siria, la Palestina.

Nel 1855 ottiene dalla burocrazia austriaca la restituzione dei suoi beni, torna in Italia, e nel 1860 si sposa la figlia Maria – e sarà un matrimonio felice, che renderà felice anche Cristina. Nel 1861, dopo la proclamazione della tanto sospirata unità d’Italia, la principessa di Belgioioso lascia serenamente ogni attività politica e vive tra Milano, Locate e il lago di Como con l’affezionato servo turco Burdoz e la governante inglese Miss Parker, entrambi compagni di viaggi e d’avventure da vent’anni.

Muore nel 1871, a 63 anni, a Locate: dove si trova ancora la sua tomba.

Elena Doni

Onorata fu pittrice e fu soldato!

Fu pittrice e fu soldato. Una leggenda quattrocentesca. Perché in effetti di notizie certe ce ne sono poche. Ma Onorata Rodiani, artista e soldato di ventura, è davvero esistita ed è un peccato che, in Italia, sia così poco conosciuta.A parlare per primo di lei fu, nel 1630 don Clemente Fiammeni o Fiammeno nella sua Castelleonea cioè Historia di Castelleone. Nel 1354 la cittadina venne conquistata dal Ducato di Milano, ma, tra il 1420 e il 1424, gli anni in cui la nostra vicenda ebbe inizio, fu affidata al marchese Cabrino o Gabrino Fondulo.

Nel 1423 Honorata Rodiani, “giovane virtuosa” stava dipingendo il Palazzo di Gabrino. E «ammazzò con un coltello un cortegiano di esso per un atto poco honesto», scrive Fiammeni. Un tentativo di stupro finito male per lo stupratore. A quel punto la ragazza, temendo vendette, si vestì da uomo e fuggì di notte, abbandonando la famiglia e la cittadina e dichiarando: «è meglio viver honorata fuori della patria, che disonorata in essa». La cosa mandò su tutte le furie Gabrino che la fece processare. Però subito dopo la perdonò ma lei forse non lo seppe e non tornò. Anche perché, nel frattempo, sotto mentite spoglie, era diventata soldato a cavallo nella compagnia di Oldrado Lampugnano. Aggiunge don Clemente: «visse poi con habito e nome mutati sotto varij capitani, & hebbe officij militari». Ovvero visse vestita da uomo e fece carriera come ufficiale. Poi, nel 1452, quando era al servizio di Conrado o Corrado, fratello del duca di Milano Francesco Sforza, giunse in soccorso di Castelleone, assediata dai veneziani «onde si diportò cõ il solito valore, e si levò l’assedio, ma fu ferita a morte». Portata dentro le mura di Castelleone e riconosciuta «con gran stupore», morì poco dopo, dicendo: «honorata io vissi, honorata io moro».

Secondo don Clemente fu sepolta nella sua parrocchia il 20 agosto 1452.

La storia ha avuto grande risonanza, in tempi recenti, all’estero: Onorata è stata subito battezzata “la Giovanna d’Arco di Castelleone”. E via via, soprattutto con il tam tam di internet, si è arricchita di dettagli. Falsi. Nelle biografie puntualissime, che circolano oggi in Rete, appaiono balie complici, lettere, putti affrescati, cortigiani troppo intraprendenti, scambi di battute e compassi conficcati in gola.

Così molti studiosi, a cominciare da quelli del museo di Brooklyn, definiscono la sua una “semi-leggenda”, nel senso che non è facile far giustizia degli orpelli posticci. L’unica immagine che conserviamo della Rodiani è ottocentesca: in essa sembra davvero una Giovanna d’Arco oversize. La stampa è di pura fantasia, anche perché, se Onorata fosse stata quel donnone alla Bradamante, i suoi compagni d’arme si sarebbero accorti ben prima che si trattava di una donna.

Nonostante questo alcuni dati paiono attendibili. Così come sembra ragionevole la convinzione che Fiammeni non si sia inventato Honorata.

Come data di nascita di Onorata viene indicato il 1403. Benché donna, era stata incaricata di affrescare il palazzo di Cabrino Fondulo, marchese di Castelleone, diventato signore di Cremona dal 1404 al 1419 (dopo aver sterminato i maschi della famiglia Cavalvabò), conte di Soncino e vicario imperiale, oltre che feroce e coraggioso capitano di ventura. L’incarico dell’affresco è insolito: le pittrici rinascimentali dipingevano in genere al cavalletto. Non a caso la leggenda dice che la furia sessuale del cortigiano fosse stata suscitata dalle gonne e dalle maniche arrolati per lavorare sui ponteggi. Basta osservare l’autoritratto di Artemisia Gentileschi come Allegoria della pittura (1638-1639) per pensare che la furia della creazione rendeva in effetti accaldate. È probabile che Onorata fosse figlia o nipote del pittore Mario Rodiani, incaricato, pare, di affrescare il palazzo di Cabrino. La semi-leggenda vuole la ragazza orfana dei genitori e affidata a uno zio. Non abbiamo riscontri, se non la notizia che sarebbe poi fuggita con gli abiti di un fratello di latte. Dice sempre la semi-leggenda che la diciannovenne e immancabilmente bella Onorata era entrata nel palazzo come dama di compagnia della moglie del feudatario, Pominia. E che avesse chiesto di affrescare le stanze della sua signora perché si annoiava. Il giovane molestatore la colse sola. L’assaltò, lei si difese. Benché Fiammeni parli di coltello, la leggenda racconta di un compasso conficcato in gola. Poi la fuga.

Arrivata a casa della vecchia balia, Onorata decise di vestirsi da uomo e, dopo aver lasciato una lettera di confessione per la marchesa, partì a cavallo, facendo perdere le sue tracce. Sappiamo dell’ira di Cabrino, del suo perdono. Del fatto che Onorata non lo seppe. Destino volle che solo due anni dopo il marchese fu catturato con l’inganno a Cremona da Oldrado Lampugnani, ministro e uomo di fiducia di Filippo Maria Visconti, condannato a morte seduta stante e decapitato sulla piazza dei Mercanti. Nell’esercito di Lampugnani militava, sotto falso nome e false vesti, anche Onorata. Pare che, con gli anni, la fanciulla avesse conquistato il grado di capitano. Poi, nell’agosto del 1452 o del 1453, la battaglia per liberare Castelleone dall’assedio dei veneziani. Dice la semi-leggenda, che proprio sotto il Torrazzo, che stava per cadere in mano veneta, Onorata fu colpita da una sciabolata. Quando la trassero fuori dalla mischia e le tolsero l’armatura, i compagni, che pure la conoscevano da molti anni e con lei avevano condiviso battaglie e bivacchi, scoprirono che era donna. La battaglia avvenne tra il 16 e il 17 agosto: il funerale è stato subito dopo. L’anno invece non è così certo: potrebbe essere il 1452, quello cioè della presa del potere, a Milano, di Francesco Sforza, contro cui si schierarono quasi tutte le potenze dell’epoca. O il successivo, il 1453, che vide nuovi e sempre simili scontri, con continui e confusi cambiamenti di fronte. La Pace di Lodi, che pose fine all’interminabile e altalenante conflitto tra Milano e Venezia, è del 1454.

Della pittrice Rodiani non resta nulla, o quasi, benché le siano state attribuite diverse tavole e a lei sono assegnati anche gli affreschi in casa di don Lodovico Mondini, un sacerdote di Castelleone che scrisse di lei nel 1880 e che viveva in via Beato Realino 13. Nell’odierno palazzo Galeotti-Vertua sono stati riconosciuti i resti della dimora di Fondulo e, durante un restauro, è affiorato un affresco della Vergine con il Bambino e, ai lati, San Sebastiano e San Cristoforo, che forse le si possono attribuire. A lei è stata anche assegnata una santa Caterina, un olio su tela, che è ancora nella chiesa parrocchiale. In compenso il mito di Onorata ha ispirato alcuni letterati: di lei, per esempio, si parla nel dramma I pattriotti di una terra Lombarda, di Romualdo Cappi (Venezia 1873).

Valeria Palumbo

sos KORAI indossa una maglietta rossa: indossala anche Tu!

…rosso é il colore dei vestiti e delle magliette dei bambini che muoiono in mare  e che a volte il mare riversa sulle spiagge del Mediterraneo . 

Anch’io sabato 7 luglio indosso una #magliettarossa per #fermarelemorragia di umanità!

Ecco per bosco

Ecco per bosco un cavalier venire

il cui sembiante é d’uomo gagliardo e fiero

candido come nieve é il suo vestire 

un bianco pennoncello ha per cimiero…

La guerriera per eccellenza del nostro Rinascimento mi ha sempre affascinato, ho ammirato la sua indipendenza ed anche il suo animo interculturale: la paladina di Francia innamorata del Pagano Ruggiero che per amore suo si converte al cristianesimo.

Lady Oscar

” Il buon padre voleva un maschietto

ma ahimé sei nata tu

nella culla han messo un fioretto

lady dal fiocco blu.”

Il buon padre é un generale ed ha insegnato alla figlia a tirare di scherma e a indossare l’uniforme…alla fine si sente in colpa per la vita altra che ha imposto alla figlia e vorrebbe trovarle un marito ma Oscar rifiuta.

Mansplaining: attente donne quando un maschio parla!

« Mansplaining», termine coniato nel 2008 dopo la pubblicazione sul Los Angeles Times di un articolo di Rebecca Solnit, intitolato «Uomini che spiegano le cose». La scrittrice raccontava un episodio personale: ad una festa, un ricco pubblicitario l’avvicinò e le disse, condiscendente: «Ho saputo che hai scritto un paio di libri». Lei, che ne aveva già pubblicati sei, gli rispose citando il suo ultimo saggio, sul fotografo Eadweard Muybridge. L’uomo, di rimando: «Hai sentito parlare di quella nuova biografia su di lui?».

Al termine «mansplaining» se ne sono con il tempo aggiunti altri. Come «manterrumping» (uomini che interrompono) e «bropropriating» (fratelli, cioè uomini, che si appropriano di idee delle donne). Tutte le signore, prima o poi, hanno vissuto circostanze simili. Ma i tempi corrono e si comincia ad osservare un fenomeno simile e contrario: il «sister-propriating», donne «arrivate» che sfilano idee e occasioni alle altre donne. E se allora fosse solo una questione di potere?

La prima Top Model Saudita

Forza Donne Saudite!

Nonostante la giovane età, la 18enne Taleedah Tamer sembra avere le idee chiare e non manca di ambizione. Non le basta essere stata definita dai magazine internazionali «la prima top model saudita della storia». La teenager vuole diventare un simbolo per il suo Paese e dice di ispirarsi a Gisele Bündchen. Quest’estate Taleedah si appresta a diventare la prima top model saudita in scena alla settimana della moda Haute Couture di Parigi ed ha appena ottenuto la sua prima copertina internazionale. La 18enne compare sulla cover del prossimo numero di Harper’s Bazaar Arabia. 

Francesca Porcellato: la Rossa Volante

Il camion, il funerale, la pioggia: e Francesca diventò la «rossa volante»
Se non ci fossero stati un camion, un funerale e un temporale improvviso la storia di Francesca Porcellato sarebbe, forse, stata diversa.
La collezionista di medaglie olimpiche –unica al mondo ad averne conquistate ben tredici in quattro discipline differenti- ne è certa: «Sono convinta che tante cose siano scritte nel destino. Nella mia vita ha avuto un ruolo fondamentale. Io non mi sono mai chiesta perché l’incidente sia accaduto a me e non agli altri bambini che erano presenti quel giorno. È successo e basta. E sono stata fortunata, perché sono viva».

Aveva diciotto mesi, Francesca. Stava giocando con i fratelli e con altri amici nel cortile di casa. «Dal cancello entrò un camion con la cisterna della benzina, cercava il distributore dove doveva consegnare il gasolio. Mia madre e gli altri adulti gli diedero le informazioni. Il camionista aveva fretta, era agitato, probabilmente in ritardo. Ha dichiarato ai giudici che, uscendo dalla corte, mi ha scambiata per una bambola, non si era accorto fossi una bambina. E mi è venuto addosso…».

Nessuna lesione interna da comprometterle la vita. Ma Francesca perde l’uso delle gambe. «Dopo il ricovero in ospedale i miei genitori decisero di trasferirmi in un istituto a Roma. Fossi rimasta a Riese, a Treviso, avrei fatto riabilitazione poche ore la settimana. A Roma la facevo ogni giorno. È stata la mia fortuna. Ero piccolissima, la fisioterapia era fondamentale per recuperare».

Francesca rimane nella Capitale fino a cinque anni e mezzo. «Seppur fossi lontana dalla mia famiglia, me lo ricordo come un bel periodo», sorride Porcellato, «le suore e tutto il personale dell’istituto erano innamorati di me. Durante il fine settimana le infermiere facevano a gara per portarmi a casa loro, con le loro famiglie e mi mettevano addirittura a dormire in mezzo, nel lettone». A sei anni Francesca rientra in Veneto. «Tornata a casa ho scoperto la carrozzina. Fino ad allora avevo portato solo tutori. Quando mi sono seduta sopra ho provato una sensazione di libertà indescrivibile e, fin da subito, ho sognato di diventare un’atleta, avevo una voglia irrefrenabile di correre».

 

Nonostante la disabilità, Porcellato è un terremoto. «Sono nata con uno spiccato senso di autonomia. Sono la più piccola di quattro figli. Imitavo tutto quello che facevano. Mia mamma faceva fatica a tenermi ferma. Ero terribile. Io con la carrozzina ho sempre fatto tutto, da giocare a pallavolo a correre all’impazzata. A dieci anni ho chiesto a mio fratello Sergio di legare con una corda la mia carrozzina alla sua bici e di pedalare velocissimo. Dopo pochi metri sono caduta rovinosamente, dalla botta mi sono usciti i denti inferiori dal labbro superiore, porto ancora i segni ma è stato bellissimo». Il sogno di Francesca è correre. «Tornavo da scuola, facevo i compiti in fretta e poi via, fuori a spingere sulla carrozzina per andare il più veloce possibile. Sentivo che c’era la possibilità anche per me di diventare un’atleta ma non sapevo come. A quei tempi non c’era internet, non avevo idea di dove trovare una società per atleti disabili ma non mi sono mai arresa. Ho continuato ad allenarmi, come se sapessi che era solo una questione di tempo».

 

È alle superiori, però, che il destino le cambia di nuovo la vita. «Un pomeriggio andai a fare la spesa al mio paese. All’uscita passò davanti al negozio un’auto. A bordo, la nazionale italiana paralimpica di tennis tavolo. Erano appena stati al funerale di un atleta di basket. Si erano persi cercando l’autostrada. Mi hanno notata ma non si sono fermati. Vista l’ora, hanno deciso di fermarsi a mangiare alla pizzeria del mio paese. Vicino al loro tavolo sedevano delle mie amiche. Hanno scambiato quattro chiacchiere.

Le mie amiche, quando hanno scoperto che erano atleti sulla sedie a rotelle, hanno pensato subito a me “C’è una nostra amica che vorrebbe tanto fare atletica” e i ragazzi hanno subito risposto “Ha i capelli rossi per caso?”. Si ricordavano di me, fuori dal supermercato. Alle 23 si sono presentati tutti a casa mia, atleti e amiche. Lì ho avuto la conferma che sì, esistevano gli sport per disabili.

Il giorno dopo, a Cittadella, c’erano le qualificazioni per i campionati italiani di atletica. I ragazzi del tennis tavolo mi convinsero ad andare con loro e sono passati a prendermi. Ed è successo una cosa strana perché, dopo tanti anni in cui sognavo di correre, appena vidi le carrozzine da corsa cambiai idea. Non mi piacevano, erano troppo particolari, non ci volevo salire». Francesca però ha freddo, tanto freddo. Poco prima aveva piovuto e si era bagnata. «Un temporale improvviso mi trovò impreparata. Non avevo da ripararmi, avevo preso l’acqua e non sapevo più come riscaldarmi. Così decisi di provare quelle carrozzine soltanto per non congelarmi. Salii sopra, feci un giro di prova in pista e, improvvisamente, mi si aprì un mondo. Quelle carrozzine che non mi piacevano erano un vero portento. Alla fine del mio giro di prova mi fissavano tutti sbalorditi, nessuno credeva fosse la prima volta che correvo. Nessuno sapeva però che era una vita che io mi allenavo per essere pronta per quel momento. Avevo sedici anni. Quel giorno mi qualificai per gli italiani e, dopo quindici giorni, divenni campionessa italiana nei 100 metri». Tutto il resto, per la Rossa Volante, è ormai leggenda.

 

IL GRANDE AMORE CON DINO E IL FUTURO

«Sono ventisei anni che ogni anno diciamo “L’anno prossimo ci sposiamo” ma per un motivo o per l’altro non lo facciamo. Sarà che stiamo così bene assieme che non ne sentiamo la necessità».

A Francesca Porcellato, quando parla dell’uomo della sua vita, si illuminano gli occhi. Dino Farinazzo e la pluricampionessa paralimpica stanno assieme da decenni. «Lui ha vent’anni più di me», confessa Francesca, «era il mio tecnico della nazionale. Quando ci siamo conosciuti era sposato e io ero fidanzata con un altro ragazzo. Ed eccoci qua». Complice anche qui, secondo Francesca, il destino. «Quando ero giovane mia mamma Rita comprò un quadro raffigurante un principe con dei capelli rossi. Lo prese perché sembravo io da bambina. La sorella di Dino gliene regalò uno uguale identico. Non c’é niente da fare», ride Francesca, «ero scritta nel suo destino».

La campionessa oggi abita a Valeggio sul Mincio, paese d’origine di Farinazzo. E, in casa, fa tutto da sola. «Per le pulizie mi arrangio e l’unica cosa che non mi piace fare è togliere le ragnatele. Le odio». Amante dei libri «leggo in base all’umore, sono passata dai libri di carta all’ibook per questione di comodità perché, essendo molto spesso in viaggio, sono molto più facili da trasportare», il suo libro preferito è “I pilastri della terra” di Ken Follett. Porcellato adora guardare thriller e il suo film preferito è “Balla con i lupi”. Nel tempo libero «ne ho pochissimo» Francesca ama cucinare i risotti e tra i suoi cibi preferiti spicca la pizza. Sempre in giro per il mondo per allenarsi e gareggiare «quando faccio una gara cerco di avere addosso sempre qualcosa di azzurro», tra i suoi luoghi preferiti ci sono New York e la Nuova Zelanda: «La Grande Mela mi eccita, è un posto magnifico, mentre in Nuova Zelanda andrei a viverci. Passo l’inverno a Fuerteventura».

E se deve immaginarsi tra dieci anni, Francesca Porcellato sorride: «Ora come ora non riesco a vedermi. Sono molto soddisfatta dei risultati che ho ottenuto. Credo di aver raggiunto più di quanto sognassi. Io volevo solo correre veloce, e ci sono riuscita. È come se avessi scalato l’Everest con ai piedi le infradito. È vero, ci ho sempre creduto, anche nei momenti no. Non mi sono mai arresa e ho sempre pensato che sarebbero arrivati i momenti sì. Non mi sono mai scoraggiata, né spaventata. Se dovessi esprimere un desiderio mi piacerebbe che migliorassero le condizioni per i disabili e che lo sport paralimpico fosse valutato come sport, senza vedere la disabilità».

Serena Marchi