Archivio mensile 14th Luglio 2018

Il giovane soldato era Colomba Antonietti

” La palla di cannone era andata a battere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le reni di un giovane soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era Colomba Antonietti sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco”

Giuseppe Garibaldi

I tre comandamenti 

I tre comandamenti della Donna.

1-Che Piaccia

2-Che taccia

3-Che stia in casa

Carla Cerati

«Ho cominciato perché mi piaceva fotografare. In realtà io avrei voluto fare scultura; mi ero iscritta all’Accademia di Brera… poi mi sono sposata, ho avuto dei figli e la storia si è interrotta, per ricominciare poi con altri mezzi. La macchina fotografica ha sostituito la matita, la creta ecc.e mi sono accorta di avere istinto per il taglio della fotografia. Un giorno mio padre mi ha detto “Visto che tu fai delle belle fotografie con una macchina scadente mentre io, che ho delle macchine di qualità, faccio delle brutte fotografie, ti passo la mia Rollei.”. In realtà mi ha fatto scegliere tra la Rollei e la Leica e io ho scelto la prima. Poi sono passata alla Nikon, perché non mi piaceva il formato quadrato, che mi costringeva a tagliare, cosa che detesto.»

Le vincitrici Azzurre dalla pelle d’ambra

Che fisici le 4 atlete italiane vincitrici nella Staffetta ai Giochi del Mediterraneo! 

Questa la notizia apparsa su tutti i giornali:”Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot sono le quattro atlete azzurre che hanno conquistato l’oro alla staffetta 4×400. Le quattro italiane hanno trionfato durante la 28esima edizione dei Giochi del Mediterraneo a Terragona chiudendo la loro staffetta in in 3:28.08.”

Un sorso vita…

Ho preso un Sorso di Vita

Ho preso un Sorso di Vita −

Vi dirò quanto l’ho pagato −

Precisamente un’esistenza −

Il prezzo di mercato, dicono.

M’hanno pesata, Granello per Granello −

Bilanciata Fibra con Fibra,

Poi m’han dato il valore del mio Essere −

Un solo Grammo di Cielo!
Emily Dickinson

Ph Armando Biblioteca

Le poche sterili parole della nostra epoca vengono strappate dolorosamente al silenzio. Abbiamo cominciato a tacere da ragazzi, a tavola, di fronte ai nostri genitori. Noi stavamo zitti per protesta e per sdegno. Eravamo ricchi del nostro silenzio. Adesso ne siamo vergognosi e disperati e ne conosciamo tutta la miseria, ma il silenzio può essere universale e profondo. Il silenzio può raggiungere una forma di infelicità chiusa, mostruosa, avvizzire i giorni della giovinezza, fare amaro il pane. Può portare alla morte. Perché il silenzio è un peccato un peccato comune a tanti nostri simili nella nostra epoca, è il frutto amaro della nostra epoca malsana.

Natalia Ginzburg

Natalia Levi Ginzburg

di Laura Balbo

La sua vita ha attraversato eventi storici difficili, pesantissime tragedie personali. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista: continui controlli della polizia, la prigione che tocca diversi membri della sua famiglia, tra cui il padre e alcuni dei fratelli. Sono anni che sintetizzerà bene, in seguito, nel suo Lessico famigliare (1963). Nel 1938 si sposa con Leone Ginzburg, che nel 1940 viene mandato al confino in un piccolo paese dell’Abruzzo, e con lui vivranno Natalia e i tre figli (Carlo, Andrea, Alessandra) fino al 1943. Ricorderà quel momento in un testo delle Piccole virtù (1962), un tempo vissuto come un passaggio scomodo e che si rivelerà essere invece il più felice.

Tra il 1943 e il 1944, i Ginzburg presero parte a diverse attività di editoria clandestina. Al loro ritorno a Roma, Leone fu arrestato e condotto in prigione, dove morì per tortura, senza poter rivedere la moglie ed i tre figli.

La scrittrice torna a Torino e, al termine della guerra, inizia a collaborare alla casa editrice Einaudi. Traduzioni, romanzi, saggi, opere di teatro: la sua attività di scrittrice riempie i decenni successivi. Si sposerà di nuovo, nel 1950, con Gabriele Baldini, che morirà nel 1969. E sarà anche parlamentare (1983 e 1987), eletta nella Sinistra Indipendente, attiva in iniziative per la difesa dei diritti e contro il razzismo.

È lì che io l’ho conosciuta.

Scrivere queste righe ha significato per me rendermi conto di qualcosa di inaspettato: come una persona che da tanti anni non è più con noi possa, a un tratto, essermi di nuovo vicina. Un’emozione profonda, che non conoscevo.

Natalia, nel ricordo, è proprio lei: affettuosa con le persone che le sono attorno, molto consapevole dei problemi umani e politici del mondo di cui siamo parte. Schiva e discreta. Silenziosa, in molte occasioni. Sempre attenta. La sua presenza non si deforma, non si appanna.

È la persona grazie alla quale ho capito come incontrare generazioni, esperienze, e pezzi di storia differenti da quelli che viviamo, possa costituire un “ponte” molto importante – se lo sappiamo utilizzare – per imparare, in qualche modo, a vivere: consapevoli, anche fiduciosi. Ci sono momenti e aspetti difficili, della vita e della storia; ma magari, andando avanti, di tutto questo capiremo il senso. Quel che succede attorno a noi, cercare di capirlo; e riuscire a fare la nostra parte. Non starne fuori, o ai margini. Un disorientamento estremamente attento, che sta tutto nella misura dell’umano. Questo c’è nei suoi scritti.

Il suo linguaggio è “umile”; lo sono i titoli dei romanzi, Le voci della sera (1961); Lessico famigliare (1963), Ti ho sposato per allegria (1966); La città e la casa (1984). Ci sono le “piccole cose”, la “vita quotidiana” (termini usati in alcuni filoni della sociologia: dunque, anche in questo c’è tra noi un legame).

I personaggi che nella sua scrittura arriviamo a conoscere come se davvero li avessimo incontrati, per quanto ci sono messi vicino, nei gesti semplici, nelle parole e anche in quello che non dicono, vivono negli anni del fascismo, delle leggi contro gli ebrei, di Mussolini e dell’Asse Roma-Berlino, della guerra. Ho chiara in mente (Tutti i nostri ieri, 1952) la descrizione del momento in cui si sparge la notizia della caduta del fascismo, e si parla dell’armistizio, e si spera che sia tutto finito. Ma poi arrivano i tedeschi, e invece «gli inglesi non arrivano mai».

Molti dei suoi libri sono costruiti attraverso lo sguardo di donne. C’è la vita di bambine (Natalia, in Lessico Famigliare), di giovani ragazze incinte, di vecchie (la «signora Maria»), di donne adulte con i loro figli (Lucrezia, La città e la casa) le contadine, le borghesi.

E gli uomini: quelli in guerra, lontani per mesi e per anni; quelli di cui si sapeva solo che erano “in Russia”. Cenzo Rena e Franz che si consegnano ai tedeschi per salvare la vita di dieci ostaggi innocenti, e vengono fucilati: sono le ultime pagine dei “nostri ieri”.

Ho amato moltissimo l’invenzione (appunto nell’ultimo testo che ho citato) di mettere insieme le lettere di persone, familiari, amici, che si tengono in contatto o si ritrovano (e cambiamenti, sofferenze, il passare del tempo). Il tono, le parole sono quelle della vita di ogni giorno e delle “piccole cose”, che però sono parte di vicende storiche complesse, pesanti. Complesse e pesanti anche le sue esperienze, a partire dalla morte terribile di Leone Ginzburg, il marito torturato e ucciso in carcere nel ‘44. Di questo lei non parlava mai.

Ci siamo “viste” per la prima volta (entrambe come neodeputate elette nella Sinistra Indipendente, ed entrambe “nuove” dell’ambiente) nel corso di una affollata riunione, in una stanza di Montecitorio. Mi ero seduta vicino ad alcune altre persone del nostro “gruppo” quando è entrata, un po’ incerta tra tanta gente in quel contesto inconsueto. Sono andata verso di lei e le ho suggerito di venire dove già alcuni di noi erano seduti. Da allora, mi ha definito il suo “angelo custode” nelle prime esperienze parlamentari, quelle burocratiche in particolare: fare il tesserino di deputato, identificare la propria cassetta postale tra le molte centinaia disponibili, trovare l’ascensore giusto per salire ai piani superiori. Allora c’erano queste cose, poi certo molto sarà cambiato nel palazzo.

Abbiamo passato insieme molto tempo: le sedute durante i lunghi dibattiti parlamentari, riunioni di ogni tipo, convegni. Nel 1989 abbiamo costituito, insieme ad altri, l’associazione Italia/Razzismo. E momenti liberi: a casa sua a Roma; una volta a Sperlonga durante le vacanze e anche un’estate, chissà come, in Val d’Aosta, con Vittorio Foa. Voglio ricordare anche lui, che mi è altrettanto caro.

I figli, i nipoti. In un paio di occasioni anche Giulio Einaudi: lui mi sembrava poco contento che io fossi tra i piedi, proprio non c’entravo con il loro mondo. In effetti non ricordo che si sia mai parlato dei suoi romanzi o di letteratura in generale: forse avrei dovuto farlo.

Certe sue brevi frasi comunque mi sono rimaste in mente. Alcune dei suoi libri; altre, di momenti vissuti insieme: quelle dell’ultima volta che ci siamo viste. Abbiamo parlato di cose quotidiane, come sempre. Il giorno dopo mi hanno chiamato, e ho saputo che non c’era più.

Le tengo dentro di me: con gratitudine e un senso di profonda tenerezza.

Donne stuprate durante la seconda guerra mondiale

Quel milione di donne stuprate durante la seconda guerra mondiale troppo spesso dimenticate, monito contro ogni nuova guerra
È difficile stabilire con certezza quante donne vennero violentate nel corso della Seconda guerra mondiale. Le cifre al ribasso parlando di alcune centinaia di migliaia di vittime, quelle più alte superano i due milioni.

In ogni caso si tratta di numeri impressionanti che dovrebbero far comprendere bene quale calvario dovettero vivere moltissime donne. Tutte le forze armate delle principali potenze che presero parte al conflitto, in misura maggiore o minore, si macchiarono di questo orribile crimine.

Tra i paesi dell’Asse probabilmente furono i giapponesi ad utilizzare con maggiore ferocia e sistematicità lo stupro nei confronti delle popolazioni occupate. Alle migliaia di donne violentate nel corso della conquista del Pacifico e della Cina vanno aggiunte le circa ducentomila confort women, costrette a prostituirsi nei bordelli di mezza Asia.
Pure tra i soldati della Wermacht lo stupro fu una prassi, specie nell’Europa dell’Est dove divenne un fenomeno di massa. Anche i tedeschi crearono dei bordelli per i propri soldati e le SS arrivarono perfino a costruirne alcuni nei lager.
Himmler era convinto che i prigionieri in attesa della morte fossero più produttivi dopo aver avuto rapporti con altre internate, scelte di solito tra le cosiddette “asociali”. 
Stuprano e uccisero anche gli italiani, in particolare nei Balcani e in Grecia dove il Regio Esercito creò diverse case chiuse per soddisfare gli appetiti dei suoi uomini.

Anche gli eserciti Alleati compirono numerosissimi casi di violenze carnali. L’Armata Rossa restituì con gli interessi alla Germania ciò che era accaduto sul Fronte Orientale. Le stime più basse parlano di duecentomila vittime, quelle più alte toccano il milione e mezzo.
I soldati americani stuprarono in Francia, in Giappone e perfino in Gran Bretagna in attesa del D-Day. Infine, come non ricordare le terribili “marocchinate”: le violenze perpetrare dai goumier francesi durante la Campagna d’Italia. 

E, purtroppo, si potrebbe continuare a lungo.

Detto ciò non si possono mettere sullo stesso piano paesi aggrediti e paesi aggressori. E alla fine tutte le conseguenze più nefaste di quella orribile guerra vanno ascritte a chi l’ha pianificata e scatenata. Resta il fatto però che le vittime sono tutte vittime, e i criminali di guerra tutti criminali di guerra.

Oltre i caratteri somatici, oltre le storie personali, oltre il luogo d’origine, quelle donne erano donne allo stesso modo e indipendentemente da quale divisa indossassero gli uomini che le stava stuprando, il dolore, la paura, la sofferenza fisica e psicologica era la stessa. Per questo meriterebbero di essere ricordate, di aver un posto in tutte le cronache ufficiali, perché non si dimentichi il male che hanno dovuto sopportare. Perché siano da monito a chi parla con sufficienza della guerra e delle sue conseguenze.

Helena vince lo Strega

IL RICONOSCIMENTOStrega 2018 a Helena Janeczek

Dopo 15 anni il premio è donna

La scrittrice tedesca naturalizzata italiana trionfa con «La ragazza con la Leica», 

romanzo dedicato alla fotografa Gerda Taro. Prima volta dell’editore Guanda

di EMILIA COSTANTINI
«Sono felicemente sconvolta, penso che abbia vinto Gerda, senza di lei non sarei arrivata qui» ha esclamato Helena Janeczek, vincitrice ieri sera con 196 preferenze della 72ª edizione del Premio Strega (su un totale di 554 voti espressi) con il suo romanzoLa ragazza con la Leica(Guanda), dove racconta l’avventura umana e professionale dell’attivista politica e fotoreporter tedesca che si conquistò un posto nella storia del fotogiornalismo, morendo giovanissima durante la Guerra di Spagna. È arrivato secondo con 144 voti Marco Balzano con Resto qui (Einaudi). Sandra Petrignani invece di preferenze ne ha ottenute 101 con La corsara (Neri Pozza), mentre sono ultimi Carlo D’Amicis con Il gioco, Mondadori (57) e Lia Levi conQuesta sera è già domani, e/o (55 voti).

Antonia Masanello: la Garibaldina

“L’abbiam deposta, la Garibaldinaall’ombra della Torre di San Miniato

con la faccia rivolta alla marina

perché pensi a Venezia, al lido amato.

Era bionda, era bella, era piccina

ma avea cor di leone e di soldato.

E se non fosse che era donna

e spalline avria avute e non la gonna

e poserebbe sul funereo letto

con la medaglia del valor sul petto.

Ma che fa la medaglia e tutto il resto?

Pugnò con Garibaldi, e basti questo!”