Archivio mensile 10th Agosto 2018

Marlene Angelo Azzurro

Marie Magdalene Dietrich, femme fatale di Hollywood, icona di seduzione e trasgressione, donna libera ed indipendente, sin da piccola si presentava come Marlene e questo soprannome divenne sinonimo di glamour e mistero.
Di sicuro visse intensamente tutte le esperienze della vita e lottò per potersi affermare ed essere sempre migliore, pretese sempre tanto dagli altri come da se stessa, la sua volontà di esibirsi la portò a toccare le vette più alte del cinema ma la portò anche ad una vita di relazioni fugaci, solitudine, depressione e quel disorientamento d’identità, divisa tra l’amore e l’odio per la sua terra natale la Germania, amore e odio per gli uomini che non le seppero dare abbastanza e così le intense seppur brevi relazioni amorose con tantissime donne dello spettacolo, relazioni che alimentarono quell’identità ambigua per la bigotta Hollywood dell’epoca e che lei ostentò sempre senza remore, sia nella vita privata che nei film, mostrandosi in più occasioni, vestita da uomo e mostrando la sua stravaganza.
Marlene Dietrich (Berlino, 27 dicembre 1901 – Parigi, 6 maggio 1992) è la donna delle novità. L’angelo azzurro, il film che la consacrò alla fama, fu il primo film sonoro del cinema tedesco che lei trasformò in un cult con il suo fare seducente mentre canta la canzone Lola Lola. Il suo secondo film di successo, Marocco, mostra la Dietrich, ancora una volta alle prese con le sue abilità canore, che vestita da uomo con cilindro e smoking, bacia una donna del pubblico sulle labbra: il primo bacio lesbico della storia del cinema. Probabilmente la scena è stata girata con il solo scopo di alimentare le fantasie maschili, ma questo non significa che non abbia acceso le fantasie di tutti, creando appunto quell’immagine di «donna che perfino le donne possono adorare».
La sua immagine si è plasmata nel mondo del cinema grazie anche alla collaborazione del regista Josef Von Sternberg, amico fidato che la guidò nella sottile arte della recitazione e la consigliò su come modellare il suo fisico davanti alla cinepresa, consacrandola come una delle più grandi attrici melodrammatiche della scena. I film di Von Sternberg hanno fatto raggiungere alla diva Marlene Dietrich i punti più alti della sua carriera, trasportandola in paesaggi esotici, in cui la fatale attrice si mostrava essere intraprendente, forte, dominatrice.
Durante l’ascesa nazista, Goebbels e Hitler cercarono in tutti i modi di farla ritornare in patria, addirittura minacciandola, ma senza ottenere risultati. Marlene Dietrich si oppose fermamente al nazismo e decise di impegnarsi in prima persona raccogliendo tantissimi fondi, andando al fronte e in tournée in Europa al seguito delle truppe americane: sono gli anni di Lili Marleen, la struggente canzone che divenne il suo cavallo di battaglia. Per il suo grande impegno civile ottenne la Medal of Freedom nel 1947, la prima donna ad essere insignita di una tale onorificenza.

Nella seconda metà del ‘900 la sua carriera si avvia alla conclusione: Marlene si dedica molto alla musica e continua imperterrita ad esibirsi, quasi fosse una missione, portando avanti la sua immagine di sensualità e mistero, Ma la sua salute peggiora, la rottura del femore e diverse fratture nel corso del tempo si fecero sempre più sentire, paradossale per lei che aveva la gambe più sexy del mondo, tanto da essere la prima diva a farsele assicurare.
Nel ’79 avviene la sua ultima apparizione in Gigolò, poi piano piano la diva sparì dalla scena, costretta prima su una sedia a rotelle poi paralizzata a letto. Gli ultimi anni della sua vita li trascorse quasi in isolamento, fino a quel 6 maggio del 1992 quando morì nel sonno.

Probabilmente visse il dolore e la paralisi come una delle sue più grandi sconfitte, lei che alimentò così tanto il suo mito da renderlo una missione, ma la sua anima immortale resterà indelebile nella storia del cinema.

Sara Govoni

Sei donna? No medico!

L’Università di Medicina di Tokyo, che il 2 agosto era stata accusata dai giornali giapponesi di aver falsificato per anni i risultati dei suoi test di ammissione per limitare il numero delle studentesse ammesse al 30 per cento del totale, ha ammesso di averlo fatto e si è scusata. Nell’indagine interna per verificare le accuse si è peraltro scoperto che la pratica di falsificazione era iniziata nel 2006 o anche prima e non nel 2011 come si pensava. L’Università ha detto che i risultati dei test non avrebbero dovuto essere manipolati e che in futuro non lo saranno. Ha anche detto di aver preso in considerazione l’idea di ammettere retroattivamente le donne che avrebbero dovuto essere ammesse in passato, ma non ha spiegato come potrebbe farlo. L’indagine interna ha accertato che nell’ultimo test d’ingresso fatto dall’università a tutti i partecipanti era stato tolto il 20 per cento del punteggio ottenuto, dopodiché ai partecipanti maschi – esclusi quelli che non avevano già passato il test per almeno quattro volte – erano stati aggiunti almeno 20 punti.L’Università di Medicina di Tokyo è un’università privata ed è una delle migliori scuole di medicina del Giappone. La discriminazione contro le donne, praticata nella convinzione che le donne, una volta sposate o diventate madri, non siano più in grado di coprire i turni richiesti nel lavoro in ospedale, è stata scoperta grazie a un’indagine in corso su un caso di presunta corruzione: l’università avrebbe alzato il punteggio del figlio di un importante funzionario governativo, Futoshi Sano, in cambio di un finanziamento. Il figlio di Sano, che è stato arrestato il mese scorso, era al suo quarto tentativo al test d’ingresso.

La Signora della scienza

«Sono di quelli che pensano che la scienza abbia in sé una grande bellezza. Uno scienziato nel suo laboratorio non è soltanto un tecnico: è anche un fanciullo posto in faccia ai fenomeni naturali, che lo impressionano come in una fiaba»

La vita di Marie Curie – che nasceva Maria Sklodowska a Varsavia esattamente centocinquant’anni fa, il 7 novembre del 1867 – ruota attorno a una parola: prima. È stata la prima donna a insegnare alla Sorbona, la prestigiosa università di Parigi, la prima (e unica) donna tra i quattro vincitori di più di un premio Nobel e la prima (e di nuovo unica!) ad essersi aggiudicata il riconoscimento in due materie diverse, chimica e fisica.
Le foto d’archivio, gelosamente conservate dalla famiglia e giunte fino a noi, ci raccontano di una donna dall’aria severa, il portamento fiero e le provette sempre in mano: Marie Curie è stata una stacanovista della scienza e del sapere. Di più: è stata una scienziata e una studiosa appassionata che mai, nemmeno negli anni della fama planetaria, dopo la scoperta, insieme al marito Pierre Curie, del polonio e del radio, ha speculato sul suo lavoro. Non si è arricchita Marie Curie, ha invece pensato agli altri mettendo al servizio dell’umanità le sue scoperte e rimboccandosi le maniche per curare con la radioterapia feriti e malati durante la rovinosa Prima Guerra Mondiale.

Una santa? Per nulla. Maria Sklodowska ha fin da piccina i piedi ben saldi a terra: come spesso accade per gli individui dotati di intelletto superiore alla norma, è una sorta di ‘bambina prodigio’ che legge a 4 anni, divora libri e sogna in grande. Viene da una famiglia non particolarmente agiata, è l’ultima di cinque figli, inizia a studiare da autodidatta con il padre: memoria formidabile, capacità di concentrazione, voglia di sapere. Qualità, tuttavia, che non bastano a sfamarsi: per anni è costretta dalle contingenze familiari a lavorare come governante ed educatrice presso nobili famiglie. In una di queste, accade che il rampollo si innamora della giovane istitutrice dall’aria austera ma intelligente. Maria è interessata al ragazzo, i due vorrebbero fidanzarsi ma la famiglia di lui vieta le nozze e impone alla ragazza di rimanere a servizio per altri 3 anni: qualsiasi giovane donna ne sarebbe uscita con le ossa a pezzi, non Maria. Appena l’amata sorella Bonia, la persona cui sarà più legata per tutta la vita, si trasferisce a Parigi, Maria la segue. È una ragazza indipendente e intraprendente: nel novembre del 1891 entra alla Sorbona, dopo aver ‘francesizzato’ il suo nome in Marie. Vuole laurearsi in una materia scientifica: ha 24 anni e le studentesse si contano sulle dita di una mano. Quindici anni dopo, nel 1906, la futura Marie Curie sarebbe di nuovo entrata alla Sorbona, ma con la qualifica di docente: la prima nella storia.

È tra i laboratori dell’università che conosce Pierre Curie ed è facile intuire come sia andata tra due persone, al fondo, così simili. Da colleghi ad amici, fino al matrimonio che è stato un volàno all’attività scientifica di coppia dove, va detto, Madame Curie, ha sempre tenuto ai suoi spazi. Le loro scoperte sono tra le più importanti della chimica e della fisica del Novecento: scoprono un nuovo elemento radioattivo che battezzano polonio dal Paese d’origine di Marie, e poi il radio, che “illumina” i laboratori quando viene isolato e scosso (solo molti anni dopo si è scoperto quanto fosse nociva quella luminescenza…).
 

È l’instancabile Marie da annotare sul suo quadernino nero il peso specifico dell’elemento e la scoperta vale ai coniugi il Nobel per la chimica. I primi del Novecento sono anni di studi ed esperimenti febbrili, nonostante la nascita delle figlie (Irene seguirà le orme dei genitori) e di una grande tragedia: nel 1906 Pierre viene travolto da una carrozza in una via di Parigi. Marie Curie continua indefessa il suo lavoro: assume la cattedra del marito, continua la ricerca sul radio, durante la guerra da radiologa lavora al fronte, grazie all’invenzione di un apparecchio radiografico portatile su un’automobile, si adopera per istruire medici e infermieri sulla terapia che ancora oggi è alla base della cura dei tumori. La medicina nucleare, ovvero la branca della medicina che utilizza sostanze radioattive (radiofarmaci) in diagnostica e in terapia, deve tutto al lavoro di Marie Curie.

Marie muore nel 1934, a 67 anni, a causa di una grave forma di anemia aplastica causata dalle radiazioni cui ha esposto il suo fisico per il progredire della scienza.

A noi restano i suoi appunti, le foto di una vista spesa tra fiale e provette e l’esempio di una donna volitiva e indipendente, dotata di cervello acuto e tanta abnegazione per lo studio, che non ha mai smesso di credere nelle sue potenzialità anche nei momenti più difficili.

Francesca Amé

Siamo frutto dell’imperfezione

A dirlo é Fabiola Gianotti, prima donna a dirigere il CERN di Ginevra, un gigante che coinvolge 17mila persone e 22 Paesi membri.

Orecchini e rossetto, Fabiola non rinuncia alla sua femminilità pur destreggiandosi quotidianamente tra fasci di protoni che scontrandosi e andando  in mille pezzi consentono lo studio della materia.

Grande impegno anche nello studio della materia oscura che costituisce il 25 per cento del nostro universo.”Sappiamo che c’è ma non sappiamo com’é fatta. Possiamo solo dedurne l’esistenza attraverso prove indirette”

Fabiola si occupa anche dell’antimateria e dice:” …se materia e antimateria fossero rimaste in proporzioni identiche – come si suppone fosse ai tempi del Big Bang- si sarebbero annichilite a vicenda e noi non ci saremmo. Nasciamo da un’imperfezione della bellezza. Per questo siamo qui”

A proposito di vanitá Fabiola osserva:” Scienziate di generazioni passate vestivano in modo trasandato di proposito per non dare l’impressione di perdere tempo allo specchio sottraendolo alla ricerca. Oggi questi pregiudizi non esistono più”

Madame d’Ora

Aveva scelto di firmarsi Madame d’Ora, uno pseudonimo d’ispirazione francese che molto contribuì a renderla celebre nel milieu artistico, alto borghese e aristocratico della Vienna del primo Novecento. Una Vienna capitale dell’Europa moderna, ricca di figure innovative e straordinarie, che lei comincia a ritrarre con grande successo a partire dal 1907, prima donna fotografa del XX secolo con un atelier che porta il suo nome.

Di origine ebraica, la sua è un’abbiente famiglia di avvocati, molto nota e stimata in città. E lei, nata Dora Philippine Kallmus nel 1881, appare presto vocata all’emancipazione. È infatti anche la prima studentessa a frequentare i corsi di teoria del Graphische Lehr und Versuchsanstalt nel 1905, quando ancora accademie e università sono precluse alle donne. Dopo essere divenuta membro della Photographische Gesellschaft di Vienna, parte alla volta di Berlino per proseguire gli studi nell’atelier del celebre ritrattista tedesco Nicola Perscheid.

Tuttavia, evidentemente più attratta dallo stile fotografico del suo assistente Arthur Benda, ritorna con lui a Vienna e lo coinvolge nel progetto del primo studio, battezzato appunto Benda-d’Ora. Inutile aggiungere che Madame d’Ora poco o nulla condivide con il ritrattismo accademico del suo prestigioso insegnante berlinese. E presto si afferma proprio per l’eleganza e la naturalezza nonchalante che sa infondere ai soggetti fotografati, decisamente agli antipodi delle pose composte, congelate e un po’ mortifere di gusto ottocentesco.

Dora Kallmus è moderna, innovativa e anticonformista. E decisamente condivide con la sua clientela, che spazia da Gustav Klimt (ritratto nel 1907, in concomitanza con la prima grande esposizione dedicata dalla città di Vienna al suo rivoluzionario immaginario secessionista) allo scrittore Arthur Schnitzler, o al compositore Alban Berg, non senza includere anche sua maestà Karl Franz Josef von Habsburg-Lothringen, ultimo imperatore d’Austria, re d’Ungheria e Boemia, sovrano della Casa d’Asburgo-Lorena e Austria-Este. Ma è solo l’inizio: il successo è tale da divenire una febbre per l’alta società viennese.

 Assicurarsi una seduta di fronte all’obiettivo di Madame d’Ora diventa diktat: lei sa rendere belli. Non le interessa tanto scrutare e mettere in risalto l’interiorità, quella complessata psiche moderna che sta contemporaneamente appassionando il dottor Sigmund Freud, quanto piuttosto enfatizzare la forma, l’attitudine e lo stile della sua clientela, che appare sempre iper emancipata, sofisticata, à la page. E sembra amare molto quella capacità che lei ha di animare, dinamizzare il ritratto, non un semplice scatto, ma qualcosa che evoca piuttosto il linguaggio filmico.

 La notorietà supera presto i confini del regno austroungarico e l’atelier Benda-d’Ora può permettersi di aprire una succursale a Parigi nel 1925. Una Parigi che apre a d’Ora le porte della moda, le pagine di riviste come “Femina” o “L’Officiel” e le regolari collaborazioni con importanti couturier. Peraltro, è proprio la Ville Lumière a rendere internazionale la sua fama di ritrattista che, nel decennio tra 1930 e 1940, continua a spaziare nel dominio dell’alta società e delle celebrità, includendo star dell’arte, della moda, dello spettacolo e della danza, da Josephine Baker a Tamara de Lempicka, Marc Chagall o Pablo Picasso, e da Coco Chanel alla scrittrice Colette. 

Caduta per anni nell’oblio, la strepitosa, sterminata attività della fotografa viennese, scomparsa a Frohnleiten, in Austria, nel 1963, ritorna ora in auge grazie alla retrospettiva “Make Me Beautiful!” che, visitabile fino al 18 marzo al MKG di Amburgo, verrà poi esposta al Leopold Museum di Vienna, dal 13 luglio al 29 ottobre prossimo.

Mariuccia Casadio

Zuò yuè zi

Il mio terzo bimbo è nato in Cina, in un ospedale pubblico.Ho potuto quindi sperimentare approfonditamente il modo in cui i cinesi affrontano parto e dopo parto e rendermi conto di differenze e punti in comune.
Una tradizione molto sentita, nonostante le mamme moderne incomincino a trovarla sempre più restrittiva e insopportabile, è quella di “fare il mese”, ovvero trascorrere in casa e con mille precauzioni il periodo del puerperio.
Il parto, secondo la medicina cinese, fa produrre al corpo molto “calore”e la neomamma deve evitare a tutti i costi di raffreddarsi. Ecco quindi il divieto di ingerire cibi freddi (le infermiere mi facevano perfino allungare lo yogurt con l’acqua calda!), e l’estrema attenzione a non prendere freddo o correnti d’aria (io che andavo in giro con gli infradito – era settembre – venivo additata come sconsiderata!), le quali potrebbero causare danni alle giunture che una donna si porterebbe avanti tutta la vita.

Alle neo mamme vengono inoltre offerte zuppe e tisane amorevolmente preparate dalle nonne o da speciali “ayi” (governanti) assunte appositamente per il post parto. Guai ad alzarsi e cucinare!

La nuova mamma deve stare a letto a riposare, l’unica cosa che potrà fare è allattare il bimbo (che nonne e ayi le porteranno a letto ad intervalli regolari).

Non è escluso che al neonato venga propinata un’abbondante dose aggiuntiva di latte in polvere.

Quindi vietato uscire, vietato fare i lavori, stancarsi, perfino farsi la doccia o lavarsi i capelli. Le istruzioni più restrittive impediscono perfino di leggere (per non rovinarsi gli occhi).
La nonna è un personaggio chiave del “mese” e spesso è la suocera che va a vivere in casa della nuora (magari cercando di dettar legge sul governo della casa!). Le suocere cinesi sono famose per essere dittatoriali ed invadenti e non sono poche le nuore che se ne lamentano!
Ah, non vi ho detto che naturalmente nemmeno il bambino deve uscire. Minimo un mese, ma alcuni dicono addirittura durante i primi cento giorni di vita. Probabilmente questa tradizione è dovuta all’alta mortalità che i neonati avevano nel passato. Difatti in Cina si fa una grande festa quando il bimbo compie i cento giorni: ha superato un periodo critico.
Io mi sono sentita rimproverare dalle nonnine al parco e perfino da un tassista, perché ho portato fuori il mio bimbo a diciassette giorni. Ma io, ragazze, non ne potevo davvero più di stare in casa. Così ho cominciato a mentire sull’età del bimbo e dicevo che aveva già compiuto un mese!
Ecco una lista di alcuni dei divieti (tratti dalla mia esperienza e da questo sito).
1. Non fare la doccia, non lavare i capelli, non lavare i denti.

2. Non bere bibite fredde (notare che in Cina “temperatura ambiente” equivale praticamente a “freddo”).

3. Non mangiare frutta fredda o alimenti freddi.

4. Non uscire all’esterno, non stare in stanze con l’aria condizionata, non prendere assolutamente correnti d’aria. Coprirsi bene! Anche se è piena estate.

5. Non stare sedute troppo a lungo, nemmeno sul divano: meglio di tutto riposare distese a letto.

6. Non leggere, guardare il cellulare, usare un computer: si potrebbero stancare gli occhi.

7. Non stare senza calzini né indossare scarpe aperte.

8. Non fare sforzi o troppo movimento. Riposare!
A noi occidentali questo riposo forzato pare eccessivo e antiquato: noi siamo abituate a correre e darci da fare a poche ore dal parto. E forse esageriamo all’opposto. La tradizione del mese è molto sentita in Cina e viene rispettata anche dalle giovani donne, magari in modo meno restrittivo.
Questa mia esperienza cinese mi ha insegnato che il dopo parto è un momento importante e delicato e che non dovremmo cercare di fare le Wonder Woman ancora coi punti che ci bruciano.
Riposarsi e farsi coccolare, dopo un’esperienza faticosa come mettere al mondo un bimbo, dovrebbe essere un diritto ed un piacere.

Antonella Moretti

Francesca: la Regina di Scordovillo

Francesca: la Regina di Scordovillo
In un caldo pomeriggio di luglio, con le ali della mia sfrenata fantasia, che parte in quarta quand’é alimentata dalle suggestioni giuste, salgo sull’auto del mio amico, videoreporter di LaCTV Saverio Caracciolo.

Direzione Scordovillo, il campo Rom di Lamezia Terme considerato da tanti una discarica a cielo aperto e anche un fortino presidiato da violenze e degrado. Ci vuole coraggio a vivere quest’avventura ma la posta in gioco é alta: scoprire un pezzetto d’anima di un popolo odiato e disprezzato dalla storia.

A me piacciono gli Zingari ma quando mi azzardo a dirlo vengo quasi sempre “divorata” da chi mi sta accanto e solitamente mi apprezza. Sono affascinata dai ” Figli del vento” tanto da credere d’essere stata anch’io una gitana in una precedente vita ma, molto più realisticamente, l’atteggiamento nasce dall’influenza materna di accoglienza delle zingare che regolarmente frequentavano la nostra casa, commarelle le chiamava la mia mamma sempre pronta a confortare le loro pene e a offrire un pò d’aiuto in cambio di palettine di ferro.

Sull’auto di Saverio, che sfreccia veloce nella mia mente affascinata da un suo splendido video, la tensione è sempre più palpabile man mano che la distanza dalla metà si riduce.

La natura che ci circonda d’improvviso muta volto diventando aspra, dura, arida, insudiciata e bistrattata dall’ottusità di noi umani. Le erbacce sono l’unico elemento di bellezza e il resto é bruttura: i rifiuti accatastati e un fetore nauseante avvolgono tutto.

Il lamento di una fisarmonica spezza la tensione e ” Il cuore rallenta la testa cammina in quel pozzo di piscio e cemento in quel campo strappato dal vento a forza di essere vento (1)”

Topi morti, cassonetti puzzolenti, panni stesi lavati senz’acqua corrente, niente luce solo il lume della luna e delle stelle, lamiere contorte per tetti.

“Si ricordano che siamo Italiani solo quando ci sono le votazioni e promettono, promettono…ora dicono che ci cacceranno ma noi non vogliamo lasciare Nicastro, noi vogliamo solo un pezzo di pane sincero e poi morire qui dove anche i topi ci conoscono e ci vogliono bene, sono buoni con noi, siamo amici. Siamo qui dalla prima guerra mondiale, dal ’15 , siamo Zingari e siamo Italiani, vorremmo tanto far capire agli altri chi sono veramente i Rom”

Così grida alla telecamera una donna, giovane, forte, decisa, con gli occhi di cielo e i capelli di carbone.

Vedo tante altre donne: intrecciano capelli, lavano poveri stracci in vasche di plastica rotte. Un uomo con un ghigno poco simile a un sorriso suona una fisarmonica, balla e canta:” Mia moglie é un tipo ostico ma l’omini senza fimmini non ponnu stá”

Tante donne si fanno riprendere e parlano dei figli malati, delle case ammalorate, dei patimenti quotidiani, la dolenza più costante e veemente è contro i politici che da sempre assicurano e non mantengono, che sfruttano e non danno benessere, che si riempiono la bocca di giustizia ma non si impegnano a costruirla dando a tutti i cittadini pari opportunitá e uguaglianza di diritti e poi invettive pungenti contro alcuni dei più recenti governanti che odiano gi Zingari e vogliono distruggere la loro cultura.

Nel Campo sono tante le creature femminili, d’ogni etá, alcune tra le più giovani, hanno un linguaggio più evoluto che appalesa tracce, sia pur minime, di istruzione. É difficile per loro abbracciare il sapere offerto dalla Scuola, mi torna alla mente una ragazza, anche lei lametina e zingara, conosciuta agli inizi della mia carriera di docente, che si era laureata condannandosi così all’infelicità perpetua: rinnegata dal suo popolo, che si sentiva tradito dalla sua scelta, disprezzata dai colleghi per la “puzza” di zingara, priva d’identità era caduta in depressione e si era suicidata.

A un tratto, nel Campo maledetto, la scena cambia, tutto scompare per lasciare il posto a Lei, solo a Lei, la protagonista di un copione misterioso e sconosciuto.

É Francesca: la matriarca, la regina di Scordovillo.

Ha 96 anni, ha avuto 10 figli, è molto malata, la sua é una vecchiaia rubata.

Rosso, é rosso il colore di Francesca, la Gitana vegliarda dal viso segnato profondamente da una vita complicata.

Il rosso lo vedo sui suoi abiti, nel cibo che tocca con le mani, nelle ferite del suo volto, nel fondo dei suoi occhi, nella sua povera dimora.

É rossa come il sangue la sua vita trascorsa arrampicandosi giorno e notte sulle montagne, salendo fin sulle cime con la carriola carica di delusioni e di amarezze ma anche di gioie e di sorrisi, col marito che andava a giocare a carte e tornava a casa carico di desideri, di delusioni e sogni inappagati.

” Ora, dalla mattina alla sera sto seduta qua, le mie gambe sono stanche, sognano pure loro le montagne ma non ce la fanno più. Da ragazza li portavo io i soldi a casa non come le altre compagne che dovevano riceverli dai mariti per fare un po’ di spesa. Tutti gli Zingari del Campo appartengono a me, sono carne mia, qui siamo al buio, nel luridume…quanto vorrei, per me e per loro, una casa buona, una casa da cristiana, non vorrei tutta questa porcheria che mi schifo pure a sedermi”

Francesca ha uno sguardo fulminante, una voce che arriva all’anima, una forza che ancora trasuda dalle sue carni martoriate dai segni della miseria più che del tempo, dalla sua figura promana una luce e un profumo che ti incantano al punto da non vedere più il degrado che circonda ogni cosa, a brillare su tutto é uno splendido colore rosso, il suo colore!

Sono rossi i fiori sul suo vestito nero, rosso é il suo fazzoletto, rosse le pennellate che inaspettatamente spuntano sulle pareti nere del suo tugurio. Rossa é la sua vita e rosso é il fuoco che ancora brucia nella sua straordinaria anima.

Il mio amico Saverio mi propone di andare veramente con lui a Scordovillo, s’impegna a trovare il modo di farmi entrare ma io non voglio farlo…ho paura.

Ho paura, ho paura che la mia elaborazione, frutto delle splendide emozioni suscitate dal suo video, crolli confrontandosi con la realtà.

Francesca mi rimane nel cuore e, nonostante tutto, mi appare come una Donna Libera, capace di guardare negli occhi il destino, senza paura, perfettamente padrona della sua femminilità.

Chiudo gli occhi e risento il magico canto che mi ha accolto all’inizio di quest’avventura dell’anima…

“…ora alzatevi spose bambine

che è venuto il tempo di andare

con le vene celesti dei polsi

anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare

questo filo di pane tra miseria e sfortuna

allo specchio di questa kampina

ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca

il punto di vista di Dio.(1)”

(1) F. De André, Khorakhane
Libera elaborazione di Beatrice Lento della storia di Francesca raccolta da Saverio Caracciolo di LaCTV nel Campo Rom di Scordovillo nel Luglio del 2018

Ph Saverio Caracciolo

Macrina Marilena Maffei e le sue Donne di Mare

Non è un racconto fantastico, ma la storia vera delle pescatrici delle Eolie. Donne che affrontavano coraggiosamente il mare in burrasca, spostandosi di isola in isola per vendere il pescato. E dopo il duro lavoro correvano a casa, ad accudire i familiari e, spesso, anche a zappare la terra per coglierne i frutti ed alleviare la miseria.Diverse testimonianze ci tramandano che in molti paesi di mare solo le donne, tramite la recita di orazioni tramandate da madre in figlia, erano le uniche in grado di placare le tempeste marine. Nonostante questi poteri straordinari, antiche superstizioni invece ritenevano le donne a bordo di natanti portatrici di maledizioni e sfortune.

Su questi antichi gesti e riti si potrebbe scrivere un intero trattato ma vogliamo mettere in evidenza una storia al femminile delle Isole Eolie che stava per essere fagocitata dall’oblio e che, grazie alla studiosa antropologa Macrina Marilena Maffei, oggi può essere raccontata.

Nella storia della Sicilia non c’è traccia di donne di mare. A centinaia si raccontano e si ricordano le storie dei pescatori, nessun cenno invece alle storie delle pescatrici. Si è creduto così che le donne siciliane non si fossero mai avventurate per mare. Ed invece scopriamo che fino al 1950, nelle sette Isole Eolie, c’erano delle donne che anche da sole andavano a pesca fino a quindici-diciotto miglia lontano dalla costa. Affrontavano coraggiosamente il mare in burrasca, si spostavano di isola in isola per vendere il pescato, arrivando a volte fino a Milazzo e a Palermo.
La cosa curiosa è che le pescatrici delle Eolie hanno segnato profondamente la storia di quei territori, ma nelle ricostruzioni storiografiche locali non si trova alcun cenno: inesorabilmente sono state estromesse dalla memoria, è stato negato loro il diritto del ricordo di tutto quello che sono state capaci di realizzare per la sopravvivenza delle loro famiglie e delle loro comunità.
Il libro della Maffei “Donne di Mare” nasce con l’unica finalità di strapparle “dal mondo della trasparenza”, di raccontare la loro vitalità, la forza e le fatiche, l’energia ed il loro patire. Raccogliendo interviste e testimonianze, pare di rivederle quando toccavano terra spossate dalla stanchezza, spesso inzuppate d’acqua salmastra con quei lunghi abiti di certo non adatti allo svolgimento del loro lavoro.
Le pescatrici delle Eolie sono state donne che hanno imparato a dare il nome ai venti, ad intuire la pericolosità delle onde violente, a leggere le ore nelle stelle. E dopo il duro lavoro correvano a casa, ad accudire i familiari, a riordinare, a cucinare, a lavare i panni e spesso anche a zappare la terra per coglierne i frutti ed alleviare la miseria.
Le pescatrici delle Eolie hanno generato ed allevato figli e qualcuna li ha partoriti sulle spiagge, li ha allattati sulle barche sballottate dalle onde.
Raccontare la loro storia significa abbattere uno stereotipo che ci ha sempre configurato le donne della nostra isola confinate fra le mura di casa o nei lavori agricoli.

A Stromboli la sera le donne si riunivano in gruppi formati da tre o quattro donne pescatrici e “andavano a totani”. Nelle altre isole la maggior parte usciva all’alba, verso le quattro del mattino. Quelle che avevano figli si portavano dietro un sacco che facevano diventare culla.
Le pescatrici e le donne di mare hanno segnato profondamente la storia delle Isole Eolie e ne troviamo traccia addirittura in alcuni scritti dell’arciduca Luigi Salvatore D’Austria del 1894 e dello studioso Michele Lojacono Pojero: “A Panarea le donne remano sulle loro barche e vanno alla pesca”. Ma queste tracce sbiadiscono con il passare degli anni, nonostante queste donne possono considerarsi “un’icona straordinaria di cui le Eolie possono fregiarsi”.
Oggi finalmente è emersa la realtà di questo territorio che ha coinvolto i destini di molte generazioni al femminile.
Le pescatrici delle Eolie hanno recuperato, grazie ad un’altra donna, il loro diritto alla memoria nella storia della Sicilia.

Sognando insieme!

A distanza di circa dieci mesi dall’idea iniziale, dopo un intenso percorso operativo di sei mesi, diventa realtà il sogno di dar vita ad un’Associazione di Volontariato riconosciuta che tutela e valorizza la Donna contrastando la subcultura maschilista e la violenza.

A sognare insieme un gruppo di 60 volontari, di ambedue i generi, di ogni età e svariate competenze che si impegna nella luce dell’articolo tre della Costituzione puntando al rinnovamento dell’educazione affettiva per rendere concreti la Parità di Genere e i principi della Giustizia Sociale.

 Giunge il primo di agosto il Decreto della Regione Calabria che riconosce a sos KORAI, questo il nome scelto, le connotazioni richieste per essere iscritta nel apposito Registro Regionale delle Organizzazioni di Volontariato alla sezione Socio-Educativo-Culturale ed é grande la soddisfazione di tutti i soci per il riconoscimento che consolida l’identità della loro creatura.

“Sono tantissime le associazioni che nascono nel nostro territorio e si impegnano per un ideale con successo e col piacere di condividere e di lavorare tra amici, ma a noi questo non bastava, il nostro desiderio” dichiara la Presidente Beatrice Lento “era quello di essere riconosciuti ufficialmente nell’ambito del Terzo Settore come Organizzazione che opera secondo gli autentici principi del Volontariato diventando così una Onlus.

 Non é stata facile questa scelta nè questo percorso perché le regole, che sono importantissime, comportano l’aderenza a principi e modalità rigorosi ed esigenti, ma solo così si ha quella garanzia di coerenza che noi desideravamo. Essere una Onlus, un’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, oltre ai vantaggi delle agevolazioni e di specifici diritti, comporta il riconoscimento della finalità esclusiva di solidarietá in un settore di rilevante interesse sociale: é questo il plusvalore che ricercavamo. Il Decreto Regionale che sostiene il nostro nuovo status é per noi motivo d’orgoglio, rafforza e qualifica la nostra identità e ci sprona a proseguire con sempre maggiore impegno”

Tantissime le attività svolte nei sei mesi di attività da sos KORAI, particolarmente cogenti i numerosi interventi formativi con i giovani, considerata la sua finalità di contrasto alla subcultura maschilista e alla violenza sulle donne attraverso l’educazione affettiva. “Ancora oggi” precisa la presidente 

 Lento “i pregiudizi di genere e gli stereotipi di ruolo sono diffusissimi e siamo soprattutto noi donne, in quanto principali educatrici, a perpetuarli inconsapevolmente, intervenire in questo settore è la leva strategica del rinnovamento relazionale che auspichiamo. Molto coinvolgente anche AGÁPE, il nostro primo Quaderno dell’8 Marzo, che raccoglie tante affascinanti storie di donne legate alla Calabria, ed il Blog soskorai.it , che conquista migliaia di visualizzazioni” 

Il cammino di sos KORAI è sicuramente in salita e costellato di enormi ostacoli se pensiamo ai femminicidi e alle molestie che si susseguono senza sosta come pure alle discriminazioni in campo professionale e nel settore della politica ai danni del genere femminile e alla carenza in genere della giustizia sociale ma se la sfida é ardua è anche alta la volontà di vincere la partita con l’impegno educativo che da sempre è l’arma vincente. 

“La nostra passione è forte ed ora che il sogno si é trasformato in realtà faremo di tutto per raggiungere la nostra ambiziosa meta, traguardo indispensabile per costruire una società sana, civile e avanzata. L’attività di questi mesi é stata intensa ma fruttuosa e gratificante” aggiunge la presidente Lento” e mi piace evidenziare la presenza di tanti Amici di sos KORAI che ci hanno affiancato e aiutato con convinta determinazione, anche a loro il nostro grazie e l’augurio di proseguire assieme questa splendida avventura. Il nostro tempo é complicato ma il bene c’é e alla fine sconfiggerà ogni fantasma di morte, lo strumento più efficace è il Servizio che dando senso alle azioni allontana le angosce che incombono sull’umanità.

 Auguri ancora ad sos KORAI: che possa proseguire con sempre maggiore coesione e amore il suo percorso di civiltà”

La Presidente di sos KORAI

Beatrice Lento

Tropea 4 agosto 2018

Allatta in passerella!

Si chiama Mara Martin ed é la modella americana che ha  portato al seno la sua piccola durante la sfilata.

Decine di migliaia di fan hanno apprezzato la sua scelta ma non sono mancate le critiche.

Di certo la risonanza é stata planetaria.

” Sono contenta di aver contribuito a normalizzare l’allattamento al

 seno: un atto naturale, non esibizionistico, che una mamma deve poter fare ovunque si trovi” dichiara aggiungendo di essere contenta di aver avuto l’occasione per ” mostrare agli altri che le donne possono fare tutto”