Archivio annuale 22nd Novembre 2018

Dire a qualcuno il mio dolore

“Oh dire, dire a qualcuno il mio dolore, la mia miseria, dirlo a me stessa, in una forma nuova, decisa, che mi rivelasse qualche angolo ancora oscuro del mio destino!”

Da “Una Donna” di Sibila Aleramo

Una donna è un romanzo di Sibilla Aleramo composto tra il 1901 e il 1904 che ebbe immediata fortuna soprattutto per il tema affrontato. Si tratta infatti di uno dei primi libri femministi apparsi in Italia.
Nelle prime pagine emerge la figura paterna e l’autrice rievoca il suo rapporto con il padre che ha per lei una grande preferenza e che le trasmette gli ideali di forza e indipendenza nei quali egli crede. Il contatto con la madre appare invece più sbiadito perché con lei la fanciulla non riesce ad entrare pienamente in contatto e ne giudica il carattere debole e sottomesso.
Quando Sibilla ha circa otto anni, il padre, che è ingegnere, decide di lasciare Milano per andare a dirigere una fabbrica di bottiglie nelle Marche, sulla costa adriatica, a Portocivitanova – ora Civitanova Marche – e così tutta la famiglia si trasferisce. Sibilla è felice e con tutto l’entusiasmo e la curiosità dei suoi dodici anni collabora in modo attivo alla fabbrica come segretaria suscitando nella gente del paese meraviglia e critiche per il suo atteggiamento anticonvenzionale e sprezzante tra gli operai.
Tra il padre e la madre della protagonista intanto si accumulano le tensioni già esistenti nel periodo milanese che sfociano in un tentato suicidio della madre, la quale sopravvive, ma rimane vittima di una demenza progressiva che la porterà ad essere ricoverata nel manicomio di Macerata, dove vivrà fino alla morte, abbandonata da tutta la sua famiglia. La ragazza scopre poi che il padre ha una relazione extraconiugale e da quel momento prende verso di lui una posizione aperta e giudicante che causerà la rottura del rapporto affettivo con lui.
Questa brusca realtà e l’inizio di una storia amorosa con un giovane impiegato della fabbrica e la violenza sessuale della quale è vittima, fanno entrare con durezza la protagonista nel mondo adulto. Costretta al matrimonio, che accetta senza gioia, vive l’esperienza come un’ulteriore perdita di libertà anche perché il marito si dimostra ben presto una persona meschina e molto lontana dai suoi interessi. Nascerà un bambino che non servirà a modificare la situazione tra i coniugi.
Per aver risposto alle attenzioni di un uomo, il marito la maltratta brutalmente e la chiude in casa per un certo periodo durante il quale lei si rende conto che il suo vero ed unico affetto è il bambino, ma la depressione aumenta e, in un momento di sconforto, tenta il suicidio. A causa di un dissapore con il suocero, il marito decide di lasciare la fabbrica e di trasferirsi a Roma con la moglie e il figlioletto.
L’avvio di una collaborazione giornalistica con una rivista femminile rende maggiormente cosciente la protagonista che una donna deve poter esprimere anche al di fuori della famiglia la sua identità e conquistarsi una vita indipendente. Il pensiero della madre, che ha sacrificato ai figli e ad un uomo-padrone la sua esistenza infelice, l’aiuta a ripercorrere un cammino difficile ma necessario di rigenerazione.
Conosce un uomo che ha intrapreso un cammino di ricerca spirituale e trova conforto nella conversazione con lui, ma il marito, sospettoso di quella relazione, la maltratta nuovamente e l’unico motivo che la trattiene dal lasciare il tetto coniugale è il timore di non riuscire a portare con sé il bambino. Il marito la minaccia, se vuole andarsene non avrà mai il bambino. Una notte lei lo sente invocare il nome di una sua amica e capisce che quell’ometto ignorante si era innamorato della sua collega della rivista. Decide di lasciarlo per non ripetere una via di secolare soggezione e per dignità verso sé stessa. Dopo un doloroso percorso interiore, decide quindi di abbandonare la casa e il bambino al quale è dedicato il libro nella speranza che possa comprendere la tormentata strada che l’autrice-protagonista ha sentito di dover percorrere.
Il romanzo rappresenta molto fedelmente la vita dell’autrice, che si firma per la prima volta con il nome di Sibilla Aleramo, ma pur essendo una autobiografia è strutturato con un impianto letterario tale da poter essere considerato, come dice Maria Corti, un vero romanzo.

La storia di Sara

Tra le donne che hanno sopportato per decenni c’è Sara, romana, 50 anni. «I primi tempi prendevo le botte come un gesto d’affetto: sono cresciuta con una padre violento, credevo che anche il mio ex lo facesse perché mi amava». La reazione di Sara è stata una profonda depressione, che l’ha portata a un ricovero e poi alla psicoterapia. Finita il giorno in cui il marito l’ha seguita, è entrato nello studio della psicologa e ha spaccato tutto. La dottoressa lo ha denunciato, poi ha telefonato a Sara e le ha detto che non poteva più seguirla. Sono iniziati anni di sevizie, minacce di morte o di suicidio (da parte di lui), referti in ospedale, denunce poi ritirate. «I carabinieri mi mandavano a chiamare e chiedevano: cosa vuole fare, proseguire o mettersi d’accordo? E io ritiravo», dice Sara. Anche questo succede spesso: «Senza una formazione specifica, le forze dell’ordine tendono a trattare le violenze come un fatto privato, che i coniugi devono risolvere da soli. Alcuni assistenti sociali li chiamano “conflitti”, invece che reati», spiega Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa.
Solo nel 2005, dopo quasi dieci anni di sevizie, Sara ha trovato la forza di chiedere di nuovo aiuto e si è rivolta al Centro antiviolenza della Provincia di Roma. Lì ha incontrato l’avvocatessa Teresa Manente, che un anno dopo ha portato il caso a processo. Sembrava fatta. Invece la mattina dell’udienza Sara ha mandato un fax in tribunale, per ritirare il mandato e la richiesta di costituirsi parte civile. «Ero in preda al panico: mio marito aveva bruciato il negozio di mia mamma». È il terrore, non il dolore, il nucleo delle violenze domestiche: le donne vivono nella paura costante, pensano soltanto a sopravvivere, tornano sui loro passi. Così danno forza ai persecutori. Sara ha vissuto in una bolla per anni. Finché un’amica le ha detto: «Tu hai paura di morire, ma sei già morta». Qualcosa è scattato: Sara ha cambiato la serratura di casa e ha scritto su tutti i muri, con il pennarello rosso: «Sono uscita dal cancro». A fine 2010 ha convinto l’avvocatessa Manente a riprendere il suo caso. Nel frattempo l’uomo è stato condannato per maltrattamenti a un anno (con l’indulto non farà carcere); è in corso un processo per stalking e gli è stato notificato il divieto di dimora nel Lazio. Sara non ha più paura: «Se la legge funziona, se non sei sola, puoi provare a rinascere a una vita (davvero) normale»

Dal Web

Avevo un seno grosso 

Anni fa credevo che fosse normale che il mio fidanzato dovesse prendermi in giro per il mio fisico. All’epoca avevo un seno molto grande. E purtroppo credevo anche fosse normale farmi denigrare davanti ai nostri amici quando scherzosamente si parlava di matrimonio.Le mie nozze giunsero nel 2006. Nel 2007 nacque il mio piccolo Marco, frutto dell’unione tra me e mio marito.

La nostra all’inizio appariva una famiglia felice e tranquilla. Ma lui mi riservò un trattamento non meritato. Non muoveva un dito in casa e non mi aiutava con il piccolo. Anzi, se chiedevo aiuto… apriti cielo! Poi, lui lavorava e io no, quindi non potevo chiedere nulla.

Nell’aprile 2009 le cose cambiarono. Lui si affezionò alla mia migliore amica. Trattamenti di superlusso per lei, che era magra e bionda e aveva 15 anni meno di me.

Lei non aveva le occhiaie procurate dalla stanchezza di dover crescere un bimbo, non aveva il seno grosso e non aveva neanche la pancetta del parto. Mio marito iniziò a dormire sul divano, con scuse assurde. Finché non giunse il compleanno di Marco, che compì 2 anni.

Proprio il giorno del compleanno di mio figlio, nella cucina di mia suocera, scoprii mio marito e la mia amica che si stavano baciando. Loro non mi videro, ma io mi sentii morire dentro. Realizzai che era successo proprio a me, che avevo lasciato tutto, amicizie e famiglia, per lui.

Mio marito arrivò a dirmi che il suo problema ero io. E che lo stava risolvendo con un’altra persona! La goccia che fece traboccare il vaso fu la seguente: andammo in vacanza con amici e ovviamente c’era lei. Fortunatamente c’era anche il mio migliore amico, che mi fu vicino in quella triste situazione e anche successivamente. Vidi lei e mio marito in tenda insieme e presi finalmente una decisione.

Quanto piansi… Mi incolpavo e mi dicevo che ero stata io a chiedere troppo evidentemente. Mi lasciò in campeggio. Tornai a casa e decisi che non potevo far correre, perciò chiamai un avvocato e andai via da casa! Non avevo ne’ lavoro ne’ una casa, ma non ci pensavo. Volevo solo fuggire da quell’incubo!

Il mio amico mi ospitò a casa sua per un po’ di tempo. E lì’ accadde il miracolo: ci innamorammo perdutamente.

Trascorso un anno, il mio ormai ex marito, che nel frattempo conviveva con la mia ex amica, mi picchiò davanti al bimbo. Io lo denunciai subito e mi trasferii lontano, a circa 200 km di distanza, con Paolo, il mio amore.
Tramite vie traverse e tanti soldi regalati, riuscì a convincere un giudice che assegnò la residenza del bimbo da lui. Per questo motivo, dovetti tornare a pochi chilometri di distanza dalla mia prima casa coniugale.

Nel 2012 io e Paolo ci siamo sposati e ad aprile di quest’anno ho scoperto di essere incinta. Il 18 dicembre è nata la nostra bimba. Lei è stata la mia rinascita. Ora il piccolo Marco, che ha sette anni, vive con noi anche se non ha ancora la residenza. Purtroppo non posso permettermi altri avvocati, per adesso.

Ho raccontato la mia storia perché vorrei aiutare le donne a uscire da queste situazioni, di maltrattamenti e di abusi. Perché ricordate che gli abusi non sono solo fisici o sessuali, ma anche psicologici ed economici. Se siete maltrattate, SEGNALATELO!

Siamo donne e ci rialziamo sempre, abbiamo il sole dentro, e, con le lacrime agli occhi, vi dico di trovare sempre la forza! Siete e siamo fortissime, se lo vogliamo.

Dal Web

Dipinto di Assunta Mollo

Brava Ayako!

E Lei segue il cuore!

Come in una favola moderna: la principessa giapponese Ayako ha sposato un cittadino comune, Key Moriya, 32 anni. La giovane ventisettenne ha dovuto rinunciare al suo status reale. Ma non è la prima volta che una donna della casata giapponese prende una decisione così coraggiosa: qualche tempo fa la principessa Mako, la nipote più grande dell’imperatore Akihito, ha annunciato il matrimonio con un compagno di classe.
Ayako, figlia del principe Takamodo, cugino dell’imperatore Akihito, si è innamorata di Key Moriya, impiegato della NYK Line, una delle più antiche e grandi società di navigazione al mondo. Non un direttore o un membro del consiglio direttivo, ma un semplice dipendente. I due si sono sposati il 29 ottobre.

Cuore di DONNA

Si é svolta da poco un’asta benefica che ha coinvolto cento donne tra artiste, imprenditrici, giornaliste…

Hanno donato un oggetto a loro caro ed il ricavato servirà a finanziare la ricerca sul cancro.

 Angela Missoni ha offerto uno scialle, Francesca Lavazza una parure, Anna Calcagni un carré di Hermés…

Flavia Perina

Iscritta all’Ordine dei giornalisti professionisti dal 1982, ha cominciato la sua carriera giornalistica svolgendo il praticantato presso il quotidiano Secolo d’Italia, allora diretto da Alberto Giovannini. Dal 1985 al 1989 ha lavorato per il canale televisivo Telemontecarlo come redattrice e inviata del telegiornale, per poi entrare nella redazione de Il Sabato, settimanale guidato da Paolo Liguori, dove rimase fino al 1990[4]

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Nello stesso anno, con la nomina a direttore di Giano Accame, fu chiamata a fare la caporedattrice del Secolo d’Italia. Dal 2000 al 2011 ha diretto il quotidiano, ricoprendo il ruolo di direttore politico a partire dal 2006, quando venne affiancata da Luciano Lanna in veste di direttore responsabile.
Durante gli anni della sua direzione ha introdotto temi inusuali per la stampa italiana di destra, tra cui il femminismo, l’ecologismo e il dialogo con i cittadini di religione islamica. In qualità di direttore del Secolo d’Italia, e in un secondo momento nel ruolo di parlamentare, ha portato avanti campagne come quella per la verità sul caso Stefano Cucchi[6] e quella per il voto ai cittadini extracomunitari residenti in Italia da più di cinque anni. Nel 2011 ha aderito alle mobilitazioni indette dal movimento Se Non Ora Quando? in risposta allo scandalo del Rubygate e ha pubblicato per ADD Editore il saggio Senza una donna. Un dialogo su potere, diritti, famiglia, nel paese più maschilista d’Europa, scritto con la deputata del PD Alessia Mosca. Restò alla guida del Secolo d’Italia fino al 22 marzo 2011, quando, dopo la rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, venne esonerata dall’incarico per via dell’incompatibilità della sua linea editoriale con le posizioni della maggioranza degli ex AN. Insieme a lei lasciarono il giornale anche Luciano Lanna e il caposervizio cultura Filippo Rossi.
Dopo la lunga esperienza al Secolo d’Italia, nel 2014 la Perina è stata per un breve periodo condirettore dell’agenzia di stampa Adnkronos. Nel febbraio 2015 ha fatto parte insieme a Malcom Pagani ed Eric Jozef della giuria del talent Americano — Il primo sulla notizia!, condotto da Tommaso Mattei e andato in onda su Agon Channel. Ha inoltre collaborato con diverse testate giornalistiche cartacee e online, tra cui Il Fatto Quotidiano, Il Post, Linus e Linkiesta. Dalla fine del 2017 dirige Libertà Civili, una rivista bimestrale promossa dal Dipartimento Immigrazione e Libertà Civili del Ministero dell’Interno e dedicata all’approfondimento di tematiche legate al fenomeno dell’immigrazione nel contesto italiano.
Attività politica Modifica

Figlia di Marcello Perina e Wilma Coppola, entrambi dirigenti del MSI, cominciò a interessarsi di politica sin da giovanissima. Nel 1976, all’età di diciotto anni, aderì al Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, e fu tra le fondatrici del mensile Éowyn, la prima rivista di riflessione femminile della destra italiana.Alla fine degli anni ‘70 fu impegnata nelle attività della Nuova Destra, il movimento guidato dal politologo Marco Tarchi, partecipando all’organizzazione del primo Campo Hobbit, che si tenne a Montesarchio (Benevento) l’11-12 giugno 1977.Nel 1977 ha passato 40 giorni nel carcere di Rebibbia in seguito a una retata della polizia contro i giovani della destra dopo gli scontri con la sinistra extraparlamentare seguiti alla morte di Walter Rossi, venendo poi liberata e scagionata da ogni accusa.
Alle elezioni politiche del 2006 venne eletta alla Camera dei deputati nella circoscrizione Toscana nelle liste di AN, riconfermandosi anche alle elezioni politiche del 2008, questa volta nelle liste del Popolo della Libertà. Nel 2009 fu tra i primi firmatari, insieme all’ex segretario del Partito Democratico Walter Veltroni, della proposta di legge bipartisan per il riconoscimento del voto amministrativo ai cittadini extracomunitari residenti in Italia da almeno cinque anni[16]. Il 30 luglio 2010, in seguito allo strappo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, fu uno dei 34 deputati del PdL che seguirono l’ex leader di AN nella formazione del nuovo gruppo Futuro e Libertà per l’Italia. Nel corso della sua carriera parlamentare ha fatto parte della Commissione Cultura, della Commissione Affari Sociali e della Commissione di Vigilanza Rai. Dal 2013 ha abbandonato la politica ed è tornata alla sua attività di giornalista.

Dal Web

Cristina Omenetto

CRISTINA OMENETTO

Nata a Milano, dove vive e lavora, si è avvicinata alla fotografia verso la metà degli anni ottanta dopo numerose esperienze di studio e di lavoro che l’hanno portata a vivere per lunghi periodi in Inghilterra e negli Stati Uniti. Campi privilegiati del suo lavoro sono da sempre l’indagine sociale, il ritratto ed il paesaggio. Ha indagato e documentato per anni le problematiche delle donne e dei bambini migranti che vivono nella società occidentale, argomento sul quale ha pubblicato alcuni libri, così come parzialmente pubblicato è il lavoro sperimentale su immagine e memoria del paesaggio, realizzato con un sistema di ripresa che somma e sovrappone frammenti di spazio, superando la staticità consueta della rappresentazione. Ha collaborato per molti anni con l’Archivio della Comunicazione e dell’Immagine per l’Etnografia e la Storia Sociale della Regione Lombardia, per il quale ha realizzato numerosi progetti fotografici sul mondo giovanile, sui frontalieri, su alcuni mestieri che stanno scomparendo e con il progetto Osserva.Te.R. per l’Assessorato Agricoltura della Regione Lombardia sul tema “La gente e il paese”. Nel 1998 ha partecipato come artista docente al programma “Learning through art” del museo Solomom R. Guggenheim di New York. Libri monografici: “Donne migranti Eritree a Milano”. Mazzotta. Milano, 1986. “Donne Filippine in Italia” . Guerini e Associati. Milano, 1993. “Donne Arabe in Italia”. Guerini e Associati. Milano, 1993. “Bambine e bambini di qui e d’altrove”. Guerini e Associati, Milano 1998. “In & Out”. Baldini & Castoldi. Milano, 1998. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero e le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private.

Chimamanda Ngozi Adichie

La maternità è un dono fantastico, ma evita di definirti solo in termini di maternità. Sii una persona completa.
In queste prime settimane da neo mamma sii gentile con te stessa. Chiedi aiuto. Pretendi aiuto. Non esistono le Superdonne.
Non dire mai a tua figlia che deve fare una cosa o che non la deve fare «perché sei una femmina». «Perché sei una femmina» non è mai una buona ragione. In nessun caso.  

Chimamanda Adichie è nata il 15 settembre 1977 a Enugu e cresciuta a Nsukka, una piccola cittadina universitaria nel sud della Nigeria. Quinta di sei figli, appartiene a una famiglia di etnia igbo. Il padre, James Nwoye Adichie, lavorava come professore di statistica presso la locale Università della Nigeria; la madre, Grace Ifeoma, fu la prima donna a diventare direttrice della stessa università. Per un anno e mezzo Chimamanda studiò medicina all’Università della Nigeria e in quel periodo si occupò della revisione del giornale The Compass, una rivista universitaria gestita dagli studenti di medicina.
A diciannove anni vinse una borsa di studio per frequentare comunicazione all’Università di Drexel, Filadelfia, dove visse per i due anni successivi. Si trasferì poi in Connecticut per studiare comunicazione e scienze politiche alla Eastern Connecticut State University e scrisse diversi articoli per il giornale universitario, il Campus Lantern. Nel 2001 si laureò con il pieni voti assoluti e la lode e iniziò un master in scrittura creativa all’Università Johns Hopkins, Baltimora.
Il suo esordio letterario avvenne nel 1997 con la pubblicazione di una raccolta di poesie (Decisions). L’anno dopo scrive un’opera teatrale, For Love of Biafra, che narra la vita di una giovane donna Igbo, Adaobi, e della sua famiglia, al tempo della guerra civile nigeriana.
Durante gli ultimi anni di Università inizia a lavorare al suo primo romanzo, Ibisco viola (Purple hibiscus), pubblicato nel 2003. L’opera ottiene un grande successo e importanti riconoscimenti, come l’Orange Prize, assegnato al migliore romanzo pubblicato nel Regno Unito, e il Commonwealth Writers’ Prize. Il libro viene tradotto in italiano nel 2006, e nello stesso anno viene pubblicato in Inghilterra e negli Stati Uniti il suo secondo lavoro, Metà di un sole giallo (Half of a Yellow Sun). Per quest’opera la scrittrice vinse numerosi premi, come l’Orange Prize nel 2007,me nel 2009 ricevette in Italia il premio internazionale Nonino.
Nel 2008 vince il premio MacArthur Fellows Program e ottiene un master in studi africani all’Università Yale.
Nel 2015 la rivista Time l’ha inserita nella lista delle cento persone più influenti al mondo.In più occasioni è stata nominata come «la figlia del ventunesimo secolo di Chinua Achebe»

L’Adichie vive tra la Nigeria e Baltimora, è sposata con Ivara Esege, medico a Baltimora, e nel 2016 è nata la loro prima figlia.

Nel 2017 l’Haverford College e l’Università di Edimburgo  le hanno conferito una laurea ad honoris causa.

Un tanga? Non é stupro!

Ha scatenato una bufera in Irlanda l’assoluzione di un 27enne accusato di aver stuprato una ragazza di 17 anni a Cork, in un processo in cui la difesa ha sostenuto che la giovane se l’era cercata perché indossava un tanga di pizzo. Il caso è arrivato persino in Parlamento, dove la deputata Ruth Coppinger ha mostrato un tanga blu di pizzo in aula per denunciare “la routine di incolpare le vittime”, quando si tratta di molestie e abusi sulle donne.”Potrebbe sembrare imbarazzante mostrare un tanga qui”, ha osservato la parlamentare, “come pensate che si senta una vittima di stupro, quando in modo inappropriato viene mostrata la sua biancheria intima in un tribunale?”.
L’assoluzione del presunto stupratore – che sostiene che il rapporto sessuale fosse consenziente, risale al 6 novembre.
Il Centro di Dublino contro le violenze sulle donne non è entrata nel merito della sentenza, ma ha chiesto però una riforma del sistema giuridico in cui, a suo dire, vengono spesso usati questo tipo di pregiudizi contro le donne.
Sullo sfondo di una crescente attenzione mediatica sul caso, anche i social sono tati inondati di critiche per quanto avvenuto in tribunale. Sotto l’hashtag #ThisIsNotConsent, le irlandesi hanno postato fotografie del loro abbigliamento intimo in tutte le forme, colori e materiali per protestare contro l’abitudine di incolpare le vittime di molestie per quello che hanno subìto. In diverse città del Paese si sono tenute proteste di piazza: a Cork, dove si è svolto il processo, 200 persone hanno marciato fino al tribunale, dove hanno deposto mutandine sulla scalinata.

Sentenza Corte di Cassazione 28926

Il divieto di licenziare per matrimonio vale solo per le donne
La nullità del licenziamento intimato in costanza di matrimonio, vigente per le sole lavoratrici donne, non è discriminatoria ma giustificata. Parola di Cassazione
 

di Valeria Zeppilli – Il codice delle pari opportunità stabilisce che il licenziamento intimato alla lavoratrice dipendente dal giorno della richiesta di pubblicazioni di matrimonio, seguita dalla sua celebrazione, sino a un anno dopo la stessa debba considerarsi nulla.
Su tale disposizione è stata recentemente chiamata a pronunciarsi la Corte di cassazione che, come con la sentenza numero 28926/2018 qui sotto allegata, non la ha ritenuta discriminatoria come avrebbe voluto invece il ricorrente, un lavoratore uomo licenziato nel corso del predetto arco temporale.

 

Diversità di trattamento giustificata

Per i giudici, la diversità di trattamento tra lavoratrici e lavoratori che deriva dal campo di applicazione circoscritto del divieto di licenziamento per matrimonio, “lungi dall’essere discriminatoria” è piuttosto giustificata da ragioni di tutela della maternità e della necessità, per la donna, di adempiere alla sua essenziale funzione familiare.
Coerenza con la costituzione e con la Cedu

La disposizione attualmente rinvenibile nel codice delle pari opportunità, insomma, non si pone in contrasto né con la Costituzione italiana né con la normativa antidiscriminatoria europea sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Con particolare riferimento alla Costituzione, per la Corte la tutela accordata dall’ordinamento alle lavoratrici che intendono sposarsi si fonda su una pluralità di principi costituzionali, in particolare su quelli di cui ai seguenti articoli:
– articolo 2: garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, tra i quali la libertà di contrarre matrimonio
– articolo 3: uguaglianza sostanziale, attraverso la rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana,
– articolo 31: agevolazione della formazione di una famiglia, con superamento degli ostacoli che possono contrastarla,
– articolo 37: fissazione di condizioni di lavoro della donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare,
– articolo 4: diritto al lavoro,
– articolo 35: tutela del lavoro.