Archivio mensile 17th Gennaio 2019

Edith Bruck

C’è chi colleziona farfalle

e chi colleziona medaglie

chi denaro chi francobolli

c’è chi costruisce armi

chi le usa

chi lavora se c’è lavoro

c’è chi si perde dietro un amore

vincendo una vita.

C’è il mare

c’è la montagna

l’aria sa di ginestra

le stanze di pulito

c’è di tutto

e tutto è tuo

non sei mai stata

tanto ricca

e così sola.

Nascere per caso

nascere donna

nascere povera

nascere ebrea

è troppo

in una sola vita…..

Edith Bruck, “In difesa del padre”, Guanda,1980

Andrea De Carlo, un femminista

É l’autore di ” Una di luna”

” Molte battaglie degli anni ’60 sono ancora in corso. Vedo governi quasi tutti al maschile, uomini che usano un gergo aggressivo, il diritto d’ aborto messo in discussione, la tv piena di vallette. Vedo donne che fanno cose bellissime ma le vedo affaticate. Combattono sempre. Al loro posto sarei molto arrabbiato. Per capire meglio ho scelto di vedere il mondo con gli occhi di una donna nel mio nuovo romanzo, un esercizio mentale che consiglio a tutti. Alle politiche dico: dovete imporre le leggi che vi riguardano e non aspettare che le facciano i colleghi. Siate consapevoli del vostro potere, non fermatevi”

Sibilla


Il 13 gennaio 1960 moriva in una clinica romana 
Sibilla Aleramo, una delle più famose e controverse letterate del Novecento. L’hanno letta le ragazze di oggi? O conoscono solo la sua tormentata relazione con Dino Campana, portata al cinema da Michele Placido? Se così fosse, peccato! Scandalosa, avida di vita e di amore ha ancora tanto da insegnare. Sul serio: la sua voce non ci fa piombare in un passato ormai morto, ma ci riporta al presente e alla dose di coraggio necessaria per scegliere liberamente il proprio destino.

Il giorno dopo la sua morte, Eugenio Montale la descrisse come una signora canuta, nobile nel portamento e nello sguardo, senza gelosie, senza invidie. “Sopravvissuta a tante tempeste, portava ancora con sé, e imponeva agli altri, quella fermezza, quel senso di dignità ch’erano stati la sua vera forza e il suo segreto”. Erano gli occhi a tradirla. Indomabili negli ultimi giorni come all’inizio, quando ancora si chiamava Marta Felicina Faccio e viveva in una Italia dove tutto e tutti – gli uomini, la famiglia, la società – le imponevano di abbassarli. Che chinasse il capo, che serrasse le labbra, che soffrisse in silenzio. Violenze e umiliazioni erano ciò che la vita riservava alle donne. Perché dunque ribellarsi? Perché rinunciare a un figlio, alla sicurezza economica, al rispetto?

Sibilla Aleramo sapeva di non avere scelta. Tutto, tranne rinunciare a se stessa. Aveva visto la madre, sempre più pallida ed emaciata, spegnersi in manicomio dopo una vita sottomessa. L’aveva vista elemosinare briciole di amore, sacrificare se stessa alla cura dei figli. Era stata una bambina come le altre, cresciuta in una famiglia borghese, una delle tante che nell’Italia di allora faceva strage di donne.

Sibilla Aleramo sapeva di non avere scelta. Tutto, tranne rinunciare a se stessa

Innamorata del padre, spirito laico e anticonformista, sentiva crescere il disprezzo nei confronti della madre. Nessuna pietà, neanche quando tentò il suicidio. Le vittime non piacevano a Sibilla Aleramo. E forse per questo quando lei stessa si ritrovò soffocata da un matrimonio umiliante, dopo avere ingerito laudano, a un passo dalla fine, decise di ribellarsi. L’uomo che l’aveva prima stuprata e poi portata all’altare – si chiamava matrimonio riparatore – che la soffocava per addomesticarla, non meritava il suo sacrificio. Non era solo violento, era ottuso e pavido. Il che, per Sibilla Aleramo, era molto peggio. Così rinunciò a tutto, anche al figlio tanto amato, pur di salvare se stessa e diventare quello che voleva essere: una persona libera.

Rinunciò a tutto, anche al figlio tanto amato, pur di salvare se stessa e diventare quello che voleva essere: una persona libera

A trent’anni prese la sua vita e la plasmò in un libro apertamente scandaloso, la prima opera letteraria a mettere in discussione la dedizione materna: Una donna. Era il 1906, le madri borghesi crescevano figli e andavano in chiesa, le altre lavoravano nelle manifatture dei tabacchi, nelle industrie tessili, nei campi, giornate lunghissime con la schiena piegata e una paga irrisoria. Erik Ibsen aveva già scritto Casa di bambola e dalla Norvegia il vento delle polemiche era soffiato su tutta Europa. Anche in Italia qualcosa stava cambiando: a Milano era attiva l’Unione femminile nazionale, di cui Sibilla Aleramo era fervida sostenitrice e nel 1908 Roma ospitò il primo congresso nazionale delle donne italiane.

Di Stefania Parmeggiani

Bellezza


Charles Baudelaire, “Inno alla bellezza”

Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,
Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,
dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,
ed in questo puoi essere paragonata al vino.

Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;
profumi l’aria come una sera tempestosa;
i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora
che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.

Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?
Il Destino irretito segue la tua gonna
come un cane; semini a caso gioia e disastri,
e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,
dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,
l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

Verso di te, candela, la falena abbagliata
crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!
L’innamorato ansante piegato sull’amata
pare un moribondo che accarezza la tomba.

Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,
Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta
di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
tu ci rendi -fata dagli occhi di velluto,
ritmo, profumo, luce, mia unica regina!
L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?

É femminista la governatrice di Tokyo

Femminista, patriota, opportunista: Yuriko Koike, eletta il 31 luglio alla carica di governatrice di Tokyo, è stata etichettata in modi diversi, non tutti lusinghieri. Una carriera fatta di passaggi da un partito politico all’altro senza mai impegnarsi davvero con nessuno le ha fatto ottenere il soprannome di Madam Kaiten Sushi, dal nome di quei ristoranti in cui piatti di pesce crudo girano su un nastro in attesa di essere raccolti. La sua principale caratteristica però potrebbe essere l’ambizione. 

Come Margaret Thatcher, che ammira molto, Koike si è fatta da sola, facendosi largo con la forza tra le file composte quasi interamente da uomini della sua professione. In questo è diversa da Makiko Tanaka, che all’inizio degli anni 2000 è stata la prima ministra degli esteri giapponese ma era figlia di un ex primo ministro. 

Barriera d’acciaio

Le donne sono solo il 9,3 per cento dei deputati nel parlamento giapponese, una percentuale che colloca il paese al 155° posto rispetto al resto del mondo. Esponente del Partito liberaldemocratico, Koike è stata ministra della difesa nel 2007 ma un anno dopo ha perso l’opportunità di diventare premier del Giappone quando Taro Aso l’ha battuta alla carica di leader del suo partito. Poi ha fatto infuriare i capi del partito presentandosi alle elezioni contro il loro candidato Hiroya Masuda alle amministrative di Tokyo, sbaragliandolo con uno scarto di più di un milione di voti. 

Koike ha convinto gli abitanti di Tokyo anche grazie all’immagine presentata dai mezzi d’informazione di donna coraggiosa che sfida una politica dominata dagli uomini. Quando Shintaro Ishihara, uno dei suoi predecessori alla carica di governatore, ha detto che la guida della capitale non dovrebbe essere affidata a “una donna troppo truccata”, lei ha riso, affermando di essere abituata a questo genere di insulti. La barriera di genere in Giappone non è di vetro, ha detto parafrasando Hillary Clinton, ma di acciaio. Migliorare la situazione delle donne in Giappone è diventato un obbiettivo importante per lei. Il paese ha bisogno “delle qualità delle donne: forza, fermezza, tenacia”, ha detto nel suo programma. 

Nonostante i giudizi poco galanti, è simile a Ishihara, uno scontroso falco che adorava punzecchiare la Cina

Tuttavia, secondo Tomomi Yamaguchi della Montana state university, Koike è più una nazionalista che una femminista. Da ministra della difesa si è battuta per una linea più dura nei confronti della Cina, ed è una delle poche politiche giapponesi a chiedere apertamente armi nucleari per il Giappone. 

Ha contribuito a gestire l’associazione parlamentare Nippon Kaigi, una lobby conservatrice secondo cui nella seconda guerra mondiale il Giappone ha combattuto per liberare l’Asia dal colonialismo occidentale e che vuole ripristinare i valori della famiglia. In questo, nonostante i giudizi poco galanti, è del tutto simile a Ishihara, uno scontroso falco che adorava punzecchiare la Cina. 

Il primo compito di Koike sarà ripristinare la fiducia nell’istituzione che rappresenta: una serie di scandali finanziari ha provocato la caduta dei suoi ultimi due predecessori. Governerà la più grande economia cittadina del mondo, con un pil annuo che secondo le stime è di circa 1.500 miliardi di dollari, edificata su una delle più instabili zone sismiche del pianeta (la possibilità che nei prossimi trent’anni si verifichi un terremoto di magnitudo 7 è del 98 per cento). 

E deve guidarla verso le Olimpiadi del 2020, dopo due anni di preparativi esitanti e dispendiosi che hanno affossato l’entusiasmo dell’opinione pubblica. Soprattutto, dovrà trovare un modo per orientarsi in un mondo che la osserva con un misto di sfiducia e rispetto, ma con poco affetto. 

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

Annegret Kramp-Karrenbauer

La chiamano la Mini- Merkel e lei non l’accetta e s’ indigna.

Effettivamente ha alle spalle una consistente carriera politica e grandi prospettive per il futuro che le consentono di rivendicare la propria individualità.

Il suo nomignolo é Akk ed é il nuovo leader del partito cristiano democratico tedesco, é Lei ad aver preso il posto di Angela, dopo 16 di cancelleria, a 56 anni.

La formazione cattolica la distingue dalla Merkel, é contraria al matrimonio omosessuale e all’aborto, questioni delicate su cui Angela aveva invocato la libertà di coscienza.

É cresciuta in una regione di frontiera, é appassionata di rock ed è favorevole all’ accoglienza dei migranti.

Una strada di Tropea per Irma

L’ Associazione di Volontariato sos KORAI ha avanzato l’istanza di intitolare una via della Città di Tropea ad Irma Scrugli, cofondatrice della Casa della Caritá e degli Oblati del Sacro Cuore. La richiesta ha trovato immediato riscontro da parte dell’ Amministrazione Comunale. A confermarlo lo stesso Sindaco, Giovanni Macrì, nel corso della prima riunione annuale della Consulta delle Associazioni, dello scorso 5 gennaio, nella quale si é anche discusso degli eventuali contributi allo specialissimo evento dell’ Anno Mottoliano appena iniziato. ”Quanto prima” ha dichiarato con evidente compiacimento l’ avv. Macrì “dedicheremo una strada o una piazza alla Signorina Scrugli, é giá pronta la pratica da inoltrare in Prefettura.”
Com’ è  noto a molti, sos KORAI é una Onlus, con sede sociale a Tropea, che, a un anno dalla sua nascita, ha già al suo attivo numerose iniziative di successo, l’intitolazione ad una Donna come Irma, che col suo carisma e il suo impegno lungimirante ha illuminato la storia tropeana, lasciando segni incancellabili di civiltá, rientra nelle finalitá dell’associazione che vuole contrastare la subcultura maschilista e la violenza sulle donne valorizzando a tutto campo i talenti femminili. Irma Scrugli, del resto, é una figura di spicco della comunità tropeana che la ricorda come” La Signorina” e conserva indelebile il fascino della sua grandiosa missione.
 Giovanissima, Irma avvertì la chiamata spirituale e a ventitrè anni intrecciò la sua vita a quella del Venerabile Don Francesco Mottola, condividendo con lui l’ideale di una donazione totalitaria a Dio e agli ultimi. Irma esce dal palazzo dei Conti Scrugli ed entra nei tuguri, tende le mani alle classi deboli, abbraccia gli emarginati, i sofferenti, i bambini, i vecchi: una grande fede capace di annientare gli egoismi personali per darsi senza remore a chi ha bisogno.
Particolarmente lieta del riscontro positivo e celere da parte del Comune la presidente di sos KORAI
” Si, sono veramente soddisfatta e felice perché porto avanti questa richiesta fin dal 2011 e finora non ero riuscita a raggiungere l’obiettivo.” Così dice la Presidente Beatrice Lento” Una vera battaglia la mia che, usando un’ iperbole che mi piace,  definirei crociata, se non altro per il tempo che ha occupato. Ho avanzato la prima richiesta come presidente della Commissione Pari Opportunità e la seconda come Dirigente dell’ Istituto Superiore ma una lunga serie di congiunture sfavorevoli hanno frapposto ostacoli che sembravano insormontabili. Sono certa che nulla accada per caso e la coincidenza dell’accoglimento della richiesta proprio nell’ Anno dedicato a Don Mottola mi pare di buon auspicio, sono certa che presto avremo il piacere di percorrere la via “ Signorina Irma Scrugli”, una Donna di cui ho sempre ammirato l’estrema emancipazione dai pregiudizi del tempo, che certamente l’hanno vista controcorrente rispetto ai consueti canoni femminili, e il suo incanto travolgente al punto da attrarre nella sua scelta estrema tantissime ragazze, conservando il suo potere ancor oggi.”
Quanto prima, dunque,  Irma Scrugli sarà ricordata anche nello stradario cittadino e si avrà uno strumento in più per suscitare nei giovani l’ entusiasmo verso ideali nobili di cui oggi, più che mai, si avverte l’ esigenza.
La Presidente di sos KORAI Onlus

Sibilla

Quando la famiglia di Sibilla Aleramo (nata Rina Faccio) si trasferì nel 1887 da Milano a Civitanova Marche, per lei fu impossibile continuare gli studi dopo le elementari: iniziò dunque un alacre percorso da autodidatta che la portò in seguito ad essere una delle più rivoluzionarie e indipendenti intellettuali italiane, in un periodo, quello a cavallo fra le due guerre mondiali, ancora fortemente dominato dagli uomini.
Violentata da un operaio della fabbrica del padre e costretta con lui a un matrimonio riparatore, raccontò la storia di quell’unione aberrante in Una donna (1906), tradotto in tutto il mondo. Fuggita a Roma e poi di nuovo a Milano, continuò ad affermarsi come libera pensatrice, impegnata per il diritto al voto femminile e contro la prostituzione, coinvolta anche in una relazione lesbica assolutamente inedita per l’epoca (raccontata nel romanzo Il passaggio, 1919). La sua vita amorosa estremamente libera (celebre è il suo rapporto con Dino Campana) e le sue idee progressiste la rendono di diritto uno degli esempi più lampanti del femminismo artistico italiano.

Sofia Corradi

«Un’arrabbiatura e un’umiliazione: ecco la genesi dell’Erasmus. Ho promesso a me stessa che nessun altro studente avrebbe dovuto subire un’offesa come quella che avevo patito io». Gli occhi vivi e curiosi, la lingua veloce e forbita, la testa che corre nel tempo connettendo date e dati, aneddoti e visioni: sorride, con affetto e orgoglio, quando le si chiede se è vero che allievi e colleghi di mezza Europa l’hanno soprannominata «Mamma Erasmus». Sofia Corradi, 82 anni, fino al 2004 Professore di Educazione Permanente all’Università Roma Tre, è la persona a cui quattro milioni di studenti devono dire grazie: è lei che, per prima, nel 1969 ha ipotizzato nero su bianco un programma di mobilità tra atenei. Battendosi a colpi di ciclostile, nei 18 anni successivi, affinché quest’utopia si realizzasse. Un merito ora consacrato dal prestigioso Premio «Carlo V», che lunedì prossimo, festa dell’Europa, le verrà assegnato dal Re di Spagna Filippo IV e dal presidente del Parlamento Ue Martin Schulz

L’idea

La risposta, finale e definitiva, a quel direttore della segreteria che nel 1958 l’aveva cacciata dallo sportello, accusandola di volersi laureare andando in vacanza in America. «Dopo gli studi in giurisprudenza vinsi una borsa di studio Fulbright, finanziata con la vendita all’asta dei residuati bellici della II Guerra Mondiale, che mi diede la possibilità di passare un anno alla Columbia University di New York, conseguendo un Master in diritto comparato. Rientrata a Roma mi sono presentata alla segreteria dell’ateneo per farmi convalidare gli esami: lì mi hanno guardata con disprezzo, dileggiandomi davanti a tutti. In quel momento è nata l’idea dell’Erasmus». 

Una volta laureata, la Corradi svolge attività di ricerca sul diritto allo studio presso l’Onu, prima di diventare consulente della Conferenza dei Rettori Italiani. Siamo nel 1969, sono gli anni della contestazione, le università sono in subbuglio, alla ricerca di autonomia e identità. Ed è a Ginevra, all’incontro dei pari ruolo europei, che Alessandro Faedo, rettore dell’Università di Pisa, si presenta con un appunto che riportava questo testo: «Lo studente, anche se non appartenente a famiglia residente all’estero, può chiedere di svolgere parte del suo piano di studio presso università straniere, presentandolo all’approvazione del Consiglio di Facoltà in preventivo. Il Consiglio di Facoltà potrà dichiarare l’equivalenza, che diventerà effettiva dopo che lo studente avrà prodotto la documentazione degli studi compiuti all’estero».

Il primo passo

«Era il nocciolo dell’Erasmus, un promemoria redatto con la mia macchina Lettera 22 e che conteneva i punti salienti del progetto – racconta la Corradi –. Quando illustravo la mia idea in tanti mi chiedevano a cosa serviva mandare gli studenti in Germania a inseguire le ragazze bionde. Io spiegavo che in Italia potevano inseguire le brune, ma non era quello il problema: se uno non aveva voglia di studiare non avrebbe dato esami comunque. Quello che contava è che gli esami passati all’estero fossero ritenuti validi in Italia». L’appunto della Corradi viene adottato dal ministro per la Pubblica Istruzione dell’epoca, Mario Ferrari Aggradi, come base per un disegno di legge approvato anni dopo. Mentre diventa il nucleo centrale degli incontri bilaterali con Francia e Germania per immaginare i primi scambi. «Grazie alla mia insistenza, e al fatto che forse in quei giorni c’erano poche notizie, i giornali diedero comunicazione di quello che stava accadendo. Era il primo passo per educare anche l’opinione pubblica. Ma eravamo davvero solo all’inizio e da quel momento lo sforzo andava in due direzioni: sollecitare l’ambito politico e parallelamente preparare le tabelle di equivalenza dei singoli esami tra vari atenei. Ogni nuovo documento e ogni tabella la duplicavo in decine di copie con il ciclostile, e inviavo lettere a rettori, docenti, politici, europarlamentari. 18 anni di battaglie, di piccole e grandi sconfitte, in cui ho rotto le scatole a tantissima gente. L’unica cosa che sopravviveva era il mio promemoria, che continuava ad essere usato come modello di riferimento».

La vittoria

E così, mentre l’Ue, all’epoca ancora Cee, prende forma, nel 1976 per la prima volta esami sostenuti da studenti italiani in Francia vengono, a fatica, ritenuti validi: la sperimentazione di quello che, seguendo le lentezze della burocrazia, nel 1987 sarebbe diventato l’Erasmus. «Studiare all’estero mi ha cambiato la vita – conclude la Corradi – ed è quello che ancora oggi racconto agli studenti nei tanti incontri che faccio. La cosa bella è che dopo le chiacchierate spesso si va a cena insieme, e quasi sempre mi chiedono di andare in discoteca con loro. Un’amica psicologa mi ha detto che è un modo per ringraziarmi per averli incoraggiati a volare fuori dal nido, ed è il massimo per un educatore: prima o poi mi sa che accetterò l’invito». Promessa di Mamma Erasmus. 

Dal web

Umbertina

Una storia al femminile che ora é possibile leggere anche in versione italiana.

L’autrice é Helen Barolini, nata vicino New York, di origini calabresi grazie alla nonna materna che era di Castagna di Cicala in provincia di Catanzaro.

Attraverso le vite di tre donne di una stessa famiglia, nel romanzo si ricostruisce la storia delle donne italoamericane dal 1860 al 1975 circa. Il romanzo si apre con le vicende di Umbertina, la donna che dà il titolo al romanzo: partita da Castagna, un borgo poverissimo della Calabria, emigrerà negli Stati Uniti dove, grazie alle sue doti, riuscirà a ottenere il benessere per sé e per i propri familiari. La nipote, Marguerite (19271973), tornerà in Italia, e morirà in un incidente stradale. Tina, figlia di Marguerite, nata nel 1950 concluderà il viaggio intrapreso dalla nonna calabrese cento anni prima e sposerà un ricco borghese americano.

Un bel romanzo che racconta l’emigrazione con gli occhi delle donne e senza alcuna retorica