Archivio degli autori

Addio grande Luigi Maria Lombardi Satriani

Il grande Antropologo, figlio illustre di Calabria ci ha lasciato dopo una vita intensa di legami profondi con la sua terra e la sua gente.

sos KORAI Gli rende omaggio pubblicando il suo saggio donato al nostro Quaderno dell’8 Marzo GRETA.

Donne in cammino
In questi ultimi anni il numero di donne uccise da maschi che ritenevano così di amarle in maniera assoluta ed esclusiva (“se non la posso avere io, non potrà averla nessuno”), è stato particolarmente elevato. La cronaca quotidiana, purtroppo, porta, volta a volta, il proprio drammatico contri- buto a tale tragica contabilità. Vittime sicuramente, e in primo luogo loro, ma vittime anche i loro assassini, che perdono anch’essi la propria vita, condannandola alla galera per aver inteso praticare la violenza assoluta su donne che pure pensavano di amare, ritenendole proprietà indiscutibile. La cultura maschilista, così densa di pregiudizi, così intessuta di stereotipie, prosegue, con ritmo esponenziale, il proprio trionfale cammino. Nella mia pluridecennale pratica di riflessione e di ricerca sulla cultura tradizionale della nostra regione, e non soltanto di essa, ho incontrato spesso que- ste aberranti valutazioni della donna quale “cosa”, inferiore naturaliter, per così dire, rispetto al maschio e alle correlative, non meno aberranti, esalta- zioni dei maschi. Basterà pensare ai canti popolari, alle leggende, ai pro- verbi e a tutte le altre espressioni folkloriche formalizzate, per concludere che la donna vi svolge un ruolo subalterno complementare rispetto al ma- schio. Gli esempi a questo riguardo potrebbero essere legione. Eppure, no- nostante tutto, le donne nella società tradizionale conservarono una, per così dire, connaturata dignità che tutti riconoscevano e tutelavano. Sono nato e ho vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la “meglio gioventù”, per ri- prendere l’espressione pasoliniana, in un piccolo paese, San Costantino di Briatico, che continua a essere per me l’angolo del mondo dal quale guar- dare l’universo, la patria culturale, oltre che anagrafica, perché scelta come punto focale al quale continuamente ritornare, quali che siano le peregri- nazioni per il mondo. Ricordo come le donne venivano rispettate, accosta- te con una gentilezza e una finezza di tratto dai miei compaesani, quasi tutti protagonisti di una realtà contadina, troppo spesso liquidata perento- riamente come rozza e brutale. Non intendo indulgere a una visione idil- liaca di tale realtà, ma avverto, avendo avuto la fortuna di una lunga esi- stenza, il dovere di dare questa testimonianza di anni concretamente vissuti di cui conservo vivissimo il ricordo e che attraverso lo strumento della memoria, sono in grado di presentificare avvertendo di essi lo sno- darsi realistico, le sensazioni a esse associate, il sapore che le accompagna- vano. È quella dignità che viene presentata con estrema efficacia narrativa

  • 6-
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 da Corrado Alvaro, Fortunato Seminara, Mario La Cava, Leonida Repaci e da tanti altri scrittori impegnati a rappresentare la propria terra, la “non bella vita dei pastori d’Aspromonte”, la propria “terra amara”, il proprio “vento nell’uliveto”, il potente affresco del ciclo dei Rupe. Sono, questi, ci- tazioni, riferimenti alle opere di scrittori, ognuno dei quali andrebbe stu- diato in profondità, cogliendone caratteristiche e tratti specifici, rinvianti spesso a una società contraddittoria. A titolo esemplificativo, citerò Fortu- nato Seminara, che in La fidanzata impiccata ci presenta con rigorosa par- tecipazione lo scivolare graduale della protagonista dall’amore all’attesa, alla delusione, alla disperazione, al suicidio. La stessa dignità la ritrovo nelle donne dipinte da Enotrio Pugliese: macchie scure, avvolte negli scial- li che coprono tutto il corpo, spesso piegato a piangere un giovane immer- so nel proprio sangue. La donna, dunque, nella cultura tradizionale, svolge un ruolo di particolare rilevanza e in qualche modo insostituibile. È lei a presiedere ai momenti fondamentali dell’esistenza individuale: la nascita e la morte; i complessi rituali del parto e quelli funerari, la costituiscono di fatto come sacerdotessa di tale culto. Nonostante il dominio maschile – esercitato spesso sino alla ferocia, nel lungo snodarsi dei millenni – alle donne è connaturata o le donne hanno conquistato uno spazio nel quale si esplica un’antica, ineludibile dignità. Chi di noi ha avuto modo di peregri- nare per i nostri paesi assolati avrà notato gruppi di donne anziane, com- poste nei loro immutabili vestiti neri, sedute dinanzi alle loro case, e non può non essere stato colpito dalla dignità che emanava dalle rughe scolpite nel loro volto, apparentemente impassibile. La cultura, oltre che la fisiolo- gia, assegna loro – lo si è già accennato – di presiedere ai momenti più importanti della vita di un essere umano: la nascita, la morte. Il dolore connesso al parto, antica maledizione divina per l’infrazione del peccato originale (“… e tu, donna, partorirai con dolore”) potenzia il vincolo ma- dre-figlio, ulteriormente rafforzato dall’allattamento; al confronto la figura paterna sbiadisce, e non è un caso che sia stato ironicamente sottolineato che se ai maschi fosse stato assegnata dalla natura la procreazione, con il carico di dolore a essa connesso, il mondo si sarebbe estinto. Nella nostra cultura, poi, quando l’umano conclude l’ultima fase della sua esistenza, spetta alle donne della famiglia o ad altre da queste delegate aver cura del cadavere, in modo da renderlo visibile agli altri per l’ultimo saluto. Spetta ancora a loro il lamento funebre che ripercorre i tratti salienti della vita del defunto esaltandone le virtù, come ci è stato mostrato esemplarmente da Ernesto de Martino nel suo Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria (1958), divenuto rapidamente un clas-
  • 7-
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 sico della nostra ricerca antropologica. Negli anni Ottanta, Mariano Meli- grana e io abbiamo indagato i variegati aspetti con i quali viene affrontato nei nostri paesi il trauma della perdita della persona cara, ponendo in ri- salto le differenziate modalità con le quali si attuano le strategie del cordo- glio e il trascendimento della datità, del dolore: il risultato delle nostre ri- cerche è stato presentato nel nostro Il ponte di San Giacomo. L’ideologia della morte nella società contadina del Sud (1982). In tali modalità la donna è quasi sempre presente, sacerdotessa del culto dei morti, vestale cui è de- mandato il compito di gestire la sacralità del distacco e l’intenso ethos del trascendimento, per usare una nota espressione demartiniana. Mi sto rife- rendo alla donna nella società tradizionale, è innegabile però che tale figu- ra ha avuto negli anni una radicale trasformazione. Il nostro oggi è marca- to da una ben diversa soggettività femminile, che riafferma con decisione le proprie ragioni. Si pensi che nell’Italia del dopoguerra ogni anno nasce- vano 35.000 bambini da ragazze nubili, la maggior parte delle quali erano andate a servizio a casa d’altri; il padrone che le considerava a propria di- sposizione in ogni senso aveva poco da temere dalla legge. L’Italia era l’u- nico Paese d’Europa – compresi il Portogallo di Salazar e la Spagna di Franco – a vietare la ricerca della parternità: i figli di NN, “nescio nomen”, bollati come tali pure sui documenti, non avevano diritto a cercare e sco- prire l’identità del padre. Nel clima attuale di rivendicazione orgogliosa della propria ineludibile autodeterminazione e della libera sessualità che ne consegue, si situa lo spazio della dichiarazione di Elda Billi che campeg- gia su una parete della Casa internazionale delle donne di Roma: Libera sessualità in libero stato OVVERO:il corpo, il desiderio, l’intelligenza:/vo- glia di vivere senza fili spinati,/inquisizione paludata di perbenismo,/roghi veri e virtuali, odori d’incensi nauseanti,/litanie lugubri di uomini che odiano le donne,/la loro autodeterminazione, la loro libertà./Corpo desi- derante, libero di volare,/di conoscere, di sognare, di stare al mondo,/in un mondo/senza prevaricazioni misogine,/senza armi, senza guerra, senza violenza,/senza compratori di anime:/questi i veri delitti contro l’umanità,/ non certo il corpo appassionato/che quando esulta non ha colore, razza, etnia, confini,/avendo ben presente che la libertà non significa licenza,/ma rispetto dell’altra, dell’altro, coscienti./Questo, almeno, ha insegnato il femminismo./A guardare con occhi aperti i diversi da me,/a condividere con loro speranze di tempi/senza quel sangue e senza quegli orrori/che uomini della Provvidenza e/sacerdoti del vero dio (e ognuno ha il suo)/ preparano per il futuro./Roma, 8 luglio 2000.Le donne oggi ereditano le conquiste del clima culturale faticosamente guadagnato dalle prime gene- razioni femministe e anche grazie a esso che possono godere per così dire
  • 8-
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 di una, pur sempre relativa, libertà. È una libertà pagata molto spesso con una ancora maggiore, devastante solitudine. L’anno scorso, per rendermi conto degli orientamenti che emergevano o che andavano emergendo dall’universo femminile, di cui intuivo movimenti e fermenti, ho assunto come osservatorio privilegiato le rubriche delle lettrici a settimanali di lar- ga diffusione e di differenziato target di lettori. In tali rubriche spesso sono pubblicate lettere di donne meridionali, di diversa età, che attendono dalle titolari, un consiglio, una parola di conforto o semplicemente l’ascolto dei loro dubbi, delle loro sofferenze. In un accurato studio di Maria Trigila (Lettere di donne ai giornali: i casi di Famiglia cristiana e Grazia), Miriam Mafai, che curò su Grazia la rubrica “Le donne parlano”, negli anni a caval- lo del Duemila, racconta di ricevere circa dieci lettere a settimana e di sce- glierne poi tre cui rispondere: il tema che in generale spicca, è quello della solitudine: vuoto e solitudine sembra le donne avvertano durante le loro giornate in particolare quando, dopo una vita impiegata a occuparsi di marito e figli, il primo magari muore o le lascia, oppure, pur presente, ri- sulta psicologicamente assente; i secondi, adulti, non vivono più in casa. «Le donne si chiedono cosa fare delle loro giornate e non è facile dare loro un consiglio. Chi non è mai andata a teatro non comincia a sessant’anni, chi non era abituata alla lettura non trova conforto nei libri. Ho suggerito spesso di mettersi in contatto con organizzazioni che si occupano di vo- lontariato, e il mio consiglio è stato seguito (alcune lettrici mi hanno scrit- to per ringraziarmi: “Adesso ho riempito le mie giornate aiutando gli al- tri)». Solitudine è poi quella delle mogli che lamentano, anche dopo soli pochi mesi di matrimonio, il torpore psicologico del proprio marito, il suo silenzio o incapacità di comunicare; solitudine la Mafai legge nel compor- tamento di alcune di loro che scrivono semplicemente per parlare di sé, che non sentono necessaria la sua risposta, quanto forte il bisogno di esser da lei lette. Temi molto presenti che pure la Mafai rileva tra le lettere che riceve, sono quelli della gestione della vita familiare di tipo tradizionale (il rapporto con le figlie adolescenti e poi il loro ruolo di donne nella famiglia; il rapporto nuora-suocera); quello del lavoro (che non c’è o che è faticoso, che impedisce di stare vicini alla famiglia o che potrebbe essere utile ab- bandonare per dedicarsi appunto esclusivamente alla famiglia). Vi è, nelle lettere scritte in questi anni alle/ai titolari di rubriche, una maggiore liber- tà di pensiero e di comportamento; possono permanere delle ingenuità, delle ritrosie, delle reticenze, dei timori ancestrali, ma complessivamente le protagoniste sono sciolte, ormai, dalle paure e dalle vergogne che avvi- luppavano la condizione femminile nella società tradizionale. Ovviamen- te, una considerazione siffatta è variamente valida, a seconda dei settori e
  • 9-
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 delle tematiche che le lettrici e le titolari delle rubriche via via affrontano. Ad esempio, mentre la pratica disinvolta della sessualità etero è abbastanza diffusa e non suscita problematiche per le quali rivolgersi alle rubriche, ben diversa è la situazione per quanto riguarda gli “amori proibiti”. Ne Le italiane si confessano – il bel libro pubblicato da Gabriella Parca nel 1959, nella quale sono presenti quasi trecento lettere scelte tra ottomila, inviate, in tre anni (1956-59) ai due settimanali più diffusi in tutta Italia – è presen- te, tra le altre, una lettera dalla Sardegna, a mio avviso estremamente em- blematica. «… Prima di tutto mi voglio presentare: ho 24 anni e sono spo- sata, ho una bambina e amo veramente mio marito. Ogni settimana seguo attentamente lo vostre risposte ma forse una risposta su questo argomento non l’avete mai data. Tutti, più o meno, chiedono consigli sui propri fidan- zati o fidanzate che siano, o cose del genere. La mia invece, è molto diversa: è una cosa che per il momento solo a voi posso confidare. Dunque si tratta di una ragazza che si è innamorata di me. Sì, è proprio così, avete capito perfettamente: si tratta proprio di una giovane della mia stessa età, che abita nella mia stessa frazione da cinque mesi. Nei primi tempi che l’avevo conosciuta non facevo troppo caso ai suoi complimenti, durante il riposo del lavoro, oppure quando veniva a trovarmi a casa, ma un mese fa, tor- nando a casa dal lavoro, alle 10 di sera come al solito, mi parlò dicendo che non poteva più dormire perché io le ho preso il cuore e che si è innamora- ta di me. Io le risposi che nulla le potevo fare; allora, prendendomi per le spalle, disse che io potevo fare qualcosa per lei, così dicendo mi baciò sulla bocca. Con uno scatto mi staccai da lei dicendole se era impazzita e tiran- dole uno schiaffo ma lei non fece nulla e rimase lì nella strada con la mano sulla guancia. Io le gridai che racconterò tutto ai suoi. “Niente loro potran- no fare per staccarmi da te”, rispose; “io ti amo troppo e non voglio perder- ti, sia anche con la minaccia, ma vedrai che con l’andar del tempo tu mi vorrai un po’ di bene e mi basta. Ma ora io mi sento proprio di odiarla. Non posso più sopportare il suo sguardo o durante il lavoro e mi continua a fare delle proposte poco pulite. Giorni fa volevo dir tutto a suo fratello e ai genitori ma dopo tutto non vorrei che gli altri lo sapessero. Ci sarebbero parecchi giovanotti che continuano a farle la corte, gente molto seria, di- stinta, ma lei proprio non ne vuole sapere. Per dire il vero è una bella ra- gazza, bionda, con gli occhi profondi, molto bella. E proprio di questo io ho paura, forse mi capirete… e non vorrei che questo mi dovesse accade- re». È un miscuglio di sorpresa, repulsione, timore di una sotterranea at- trazione che emerge in una lettera che ci giunge da decenni lontani. Leg- gendo tale lettera ho ricordato i miei incontri con Gabriella Parca a Parigi nei primi anni Settanta e di come mi comunicasse il senso di libertà che
  • 10 –
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2 aveva, vivendo nella capitale francese, così diversa dal clima restrittivo e sostanzialmente bigotto del nostro Paese in quegli anni. Per analogia di contenuto ho ricordato anche le lettere che Michela Margiotta, salentina, ha scritto negli anni Sessanta ad Annabella Rossi, che l’aveva conosciuta nel corso della celebre spedizione demartiniana sul tarantismo. Questa si realizzò con approfonditi sopralluoghi, nella cappella di San Paolo a Gala- tina, con una équipe interdisciplinare, pronta a indagare il fenomeno dai diversi punti di vista: etnologico (E. de Martino), con specifica attenzione alla realtà sociale delle protagoniste (V. De Palma e A. Signorelli), psicopa- tologico e psichiatrico (G. Jervis), etnomusicologico (D. Carpitella), foto- grafico (A. Rossi). Annabella Rossi, la cui vivacità intellettuale e la cui cu- riosità nell’accezione migliore del termine erano notevolissime, come ho sperimentato direttamente lungo i diversi decenni della nostra amicizia e di una collaborazione che si realizzava attraverso incontri quotidiani, ave- va chiesto alla tarantata una serie di informazioni sulla sua vita e sulla sua condizione vista dall’interno. E Michela, che si affeziona sempre di più alla sua cara signorina, risponde con grande sforzo – avendo soltanto seguito la prima elementare –, alle richieste dell’antropologa. Michela è lusingata dell’attenzione della buona signorina, alla quale si lega emotivamente sem- pre più. Annabella pur affezionata a Michela, non ricambia in alcun modo il suo amore e poi, inaspettatamente per Michela, pubblica tutte le sue let- tere cambiando soltanto il nome, Anna invece di Michela: si tratta, però, secondo Michela, di uno stratagemma inutile, dato che nel piccolo am- biente nel quale vive, è immediatamente riconoscibile, dunque rimprove- ra, alla sua illustre interlocutrice, di aver messo in piazza i suoi sentimenti e le sue vicende personali. Il libro, pubblicato nel 1970 con un saggio di Tullio De Mauro, ha un grande successo, ma Michela rompe definitiva- mente con Annabella e nonostante i numerosi tentativi che questa fa nel tempo per riallacciare i rapporti, non la vorrà più vedere. Mutano i tempi, certo, ma permangono pur con ovvie modifiche, antiche paure, remote paure, antiche tabuizzazioni. È indubbio però che la donna sia oggi ormai in cammino sia in senso letterale, sia in senso metaforico. È in tale cammi- no molto è stato fatto ma ancora molto rimane da fare, ché i processi per conquistare la consapevolezza sono sempre complessi e articolati. Ma da parte dei maschi il cammino è ancora più lungo, ché la cultura maschilista, la tradizione virilocratica sono plurimillenari e richiedono un ancora maggiore sforzo perché siano trascesi realmente. Ma questo non li rende meno necessari e urgenti.
  • 11 –
    Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2

Luigi M. Lombardi Satriani

Beatrice Lento

Ciao Letizia!

Ci lascia Letizia Battaglia, donna libera che nei primi anni ‘50 sfugge al padre autoritario sposandosi a 16 anni, che lascia dopo pochi anni il marito che la voleva tutta per sé, che diventa fotografa di cronaca nera a Palermo, che conquista la libertà grazie alla macchina fotografica, che chiede alle figlie di disperdere le sue ceneri in mare.

Grazie grande Donna!

Beatrice Lento

Ciao Catherine!

Se n’è andata la femminista garbata, paladina della parità di genere che aveva perso la patria potestà di sua figlia perché “ attrice di dubbia moralità “, lei che, molto tempo fa, aveva denunciato le molestie subite sul set facendo nomi e cognomi.

Ciao Catherine Spaak, non ti dimenticheremo!

Beatrice Lento

Rupi Kaur


Tra le donne poetesse e scrittrici più influenti della nostra epoca c’è Rupi Kaur, autrice di due best seller di poesia da 2 milioni e mezzo di copie vendute. Indiana naturalizzata canadese, fu incoraggiata dalla madre a cominciare a dipingere e a scrivere da piccola, per superare le difficoltà linguistiche dovute al trasferimento in un continente diverso. 

La sua prima antologia è “Milk and Honey”, che in una serie di poemi illustrati descrive il cambiamento delle donne che affrontano periodi difficili.

Il suo secondo capolavoro è “The Sun and Her Flowers”, che affronta temi relativi alla perdita, al trauma, alla femminilità, alla migrazione e alla rivoluzione.

Uno degli atti che l’hanno resa la più celebre “instapoet” contemporanea è quello legato alla pubblicazione sulla piattaforma Instagram di una serie di fotografie raffiguranti il ciclo mestruale di una donna. 

Rupi voleva così evidenziare il modo in cui, in molte culture, le donne vengono evitate durante le mestruazioni. In alcune comunità la donna non può uscire di casa o frequentare i luoghi di culto, perché considerata “sporca” nel periodo del ciclo. 

Questo lavoro rivoluzionario aveva l’obiettivo di mettere gli spettatori di fronte alla naturalezza del ciclo mestruale femminile, costringendoli ad affrontare le loro paure, ad accettare e riconoscere la grandezza e la potenza del corpo femminile.

Di Matilda Abate

Beatrice Lento

Prova immagine

Prova immagine

Beatrice Lento

Omaggio a Rosa Orfanó

Rosa
Mi chiamo Rosa Orfanò e sono nata a Tropea da una famiglia del popolo. Mio padre vendeva pesci e mia madre lavava panni alla fiumara.
Ero l’unica figlia e l’amore dei miei genitori
non mi é mai mancato.
Non ho fatto grandi studi perché nella mia casa non si concepiva l’idea di una donna letterata, ho sempre amato leggere, però, e ancora di più cucire e ricamare ma… ma al primo posto per me era la preghiera.
Appena avevo un pò di tempo, dopo aver aiutato mamma nei lavori domestici, mi mettevo in un angolino dell’unica stanza, che chiamavamo casa, e pregavo, pregavo tanto al punto da non accorgermi del tempo che passava.
Quando seppi di Loro e da chi? Non saprei dirlo di preciso perché in quegli anni a Tropea tutti ne parlavano. Tutti raccontavano del Sacerdote Francesco Mottola che con una figlia dei conti Scrugli, la più bella, Irma, giravano tra i bassi lerci e bui per dare conforto a tanti poveri, soprattutto ai vecchi ammalati e abbandonati.
Moltissimi ne parlavano e a tanti sembrava strano e sconveniente che una signorina nobile girasse per le vinee con un prete.
Eppure, a poco a poco, quella strana vicenda mi entrò dentro e mi prese il cuore e assieme a me tante altre giovani donne, tropeane ma anche dei paesi vicini, decisero di andare col prete e la signorina.
Diventammo le Carmelitane che non stanno chiuse a pregare nel convento ma scendono sulle strade per andare a cercare Gesù nei posti più sudici e scuri
. Assieme a me c’erano, come prime compagne, Gertrude, Micuccia, Maria, Angelina, Ninetta…. e tante altre, tutte nella grande Casa della Caritá di Via Abate Sergio dove nel frattempo avevamo accolto tante vecchie sofferenti, povere, abbandonate.
Le nostre giornate volavano senza accorgercene tanto eravamo prese dalla cura delle anziane che affollavano la Casa, col cuore sempre pieno di Caritá, era questa la parola che continuamente risuonava tra le pareti di quella dimora meravigliosa, affacciata sull’azzurro del cielo e del mare e sullo straordinario Scoglio dell’ Isola, era questo il messaggio che Padre Mottola e la nostra Sorella e Madre Irma ci offrivano senza sosta.
La mia mamma se ne andò presto nel cielo perché il suo cuore stanco si era consumato e a me rimase papá o, come usavo chiamarlo, “ u tata”.
Non l’ho mai trascurato, mai, neanche quando un’infezione alla mano, mal curata, mi paralizzò tutto il braccio destro. Addio ricamo e cucito, a me tanto cari, ma niente e
nessuno potevano impedirmi di lavare le nostre vecchiette, di pettinarle, di imboccarle, di carezzarle così come vedevo fare alla nostra amata Irma.
Anche le mie compagne si prodigavano fino allo stremo ed ognuna di noi aveva alcuni compiti particolari, Maria, per esempio, girava tutte le campagne in cerca di doni per la Casa e tornava sempre con le ceste piene, portate, a volte, anche da alcune donne che da noi avevano trovato rifugio.
Io amavo andare a trovare tante Signore, divenute amiche, e a loro e ai loro figli parlavo sempre dei nostri Irma e Francesco, riuscivo a incantarli tanto che alcuni, spesso, mi chiedevano di visitare la Casa della Carità e di incontrare il nostro Padre e la nostra Sorella Madre.
Sono felice di aver speso la mia vita in questo servizio e sono grata al Signore che mi ha fatto giovane donna al tempo di Francesco e Irma. Che gioia averli seguiti nel loro cammino di fede e di offerta totale di sè al Signore attraverso il conforto ai poveri.
Con Francesco e Irma ho imparato tantissimo, mi sono rinnovata profondamente. Pensavo di essere una buona cristiana perché pregavo tanto e ho capito che invece non bisogna mai essere soddisfatti di se stessi ma bisogna piuttosto ricercare sempre e senza freni la Santità, perché, come diceva Irma, tutto il resto é paglia.
Ho amato tanto il Signore e Lui mi ha amato facendomi diventare un’Oblata del Sacro Cuore. Gesù mi ha voluto bene donandomi tanta sofferenza, un male incurabile ha messo fine alla mia fragile esistenza terrena e sul mio lettino d’ospedale ho avuto il conforto degli amici più cari e della mia Irma.
La nostra Sorella Madre soleva dirci spesso:“ Se vedete un’ammalata a cui potete dare qualche sollievo, non deve importarvi niente di perdere una devozione per patire con lei; e se fosse necessario digiunare perché possa mangiare, dovete farlo…” e Lei, due mesi prima della mia morte, lo fece con me, lasciò tutto e, seduta sul mio lettuccio d’ospedale, dimentica del pranzo di Natale, mi imboccò e si cibò anche lei del mio pasto.
Sono partita per l’ultimo viaggio nel giorno di San Giuseppe e sono felice di aver visto attorno al mio corpo senza vita tutte, proprio tutte, le persone che ho amato, e ancora di più gioisco oggi vedendo che i piccoli semi che ho deposto nel cuore di tanti giovani, figli delle mie Signore amiche, si sono schiusi e donano ancora frutti che hanno il profumo inebriante del valore che ha dato senso alla mia vita: la Carità.

Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2
Beatrice Lento

Beatrice Lento

Tropea Cittá dell’emancipazione femminile di Dario Godano

La città di Tropea vanta una millenaria vocazione per l’emancipazione femminile, declinata nelle dimensioni sociali, religiose, politiche e culturali.

Già la prima menzione del suo nome è legata ad un’epigrafe paleocristiana risalente alla metà del V secolo. In questa iscrizione funeraria viene menzionata una tale Hirene, che visse sessantacinque anni e che fu Conductrix Massae Trapeianae, ossia colei che amministrò nel ruolo di dirigente (conductrix) un insieme di fondi rustici di proprietà della Chiesa di Roma (masse) disseminati nell’antico territorio di Tropea (Trapeia). Sempre nello stesso sito archeologico è stata rinvenuta un’altra epigrafe paleocristiana dedicata a Leta Presbitera, una donna sposata che svolse funzioni sacerdotali in un’epoca in cui il cristianesimo era ormai divenuto unica religione di stato. 

Le radici cristiane di Tropea si articolano nella devozione popolare verso le sue patrone: Santa Domenica e la Madonna di Romania. Questa duplice dedizione riflette il legame ancestrale del culto mediterraneo verso la figura sacrale femminile foriera di forze benefiche e salvifiche. Santa Domenica, giovane martire nata a Tropea nel 260 o nel 287, decapitata durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa col nome di Ciriaca. La prima patrona di Tropea rappresenta col suo martirio la vergine coraggiosa che sfida e trionfa sulla forza bruta dell’oppressore. La Madonna di Romania, la Madre di Dio giunta dal mare e accolta dalla comunità dei fedeli, è la proiezione della figura religiosa presente in tutte le antiche culture, non solo mediterranea, della “Grande Madre” dispensatrice di prosperità e protezione verso la quale il popolo si affida nelle avversità (guerre, pestilenze, carestie e calamità naturali). 

Il simbolo religioso e turistico di Tropea nel mondo, il Santuario di Santa Maria dell’Isola, è storicamente unito ad un’importante figura femminile che seppe delineare i destini non solo della città tirrenica ma dell’intero Meridione: Sichelgaita(Salerno, 1036 – Cetraro, 16 aprile 1090). Figlia di Guaimario IV, principe di Salerno, sposò il Duca di Calabria, Roberto il Guiscardo nel 1059. Nello stesso anno Sichelgaita organizzò il Concordato di Melfi dove fu sancita l’alleanza tra la Chiesa di Roma ed i Normanni, intessuta tramite l’abate di Montecassino, Desiderio, futuro papa Vittore III, e dal vescovo di Acerenza Godano. Papa Niccolò II tolse la scomunica allo stesso Guiscardo, lo ricevette come suo fidelis e lo benedisse insieme alla consorte Sichelgaita per la futura conquista della Sicilia.

Donna energica, colta e carismatica, impose la sua autorità a corte ed esercitò una forte influenza sul marito, non solo in ambito diplomatico ma anche sul campo di battaglia, affiancandolo in tutte le campagne militari. La cronista bizantina Anna Comnena, descrisse Sichelgaita “come un’altra Pallade, se non una seconda Atena”. Nel 1062 fu accolta a Tropea dal vescovo greco Calochiro, poiché, a quanto riferisce Goffredo Malaterra, si era rifugiata in seguito alla notizia (falsa) dell’uccisione del marito a Mileto. Il vescovo di Tropea seppe così accattivarsi la riconoscenza di Sichelgaita e del Guiscardo, che con diploma del 1066, confermò ed accrebbe i domini che il Vescovado di Tropea possedeva ed elargì ampie autonomie amministrative e fiscali, delineando quello status di città libera e demaniale che nei secoli futuri favorirà il progresso economico e culturale della città tirrenica. L’antico eremo bizantino di Santa Maria dell’Isola con tutte le sue pertinenze fu donato all’abazia benedettina di Montecassino, in un preciso disegno di riconversione dal culto greco-ortodosso a quello latino-cattolico.

A due nobildonne tropeane si deve il merito della fondazione di due rispettivi complessi monumentali. Il Convento delle Clarisse, fondato nel 1261 su donazione di Marianna Mumoli per espiare ad una faida cruenta che vide l’estinzione delle famiglie Mumoli e Ruggeri. La stessa Marianna Mumoli andò a vivere il resto dei suoi giorni come monaca di clausura nel primo Convento dell’Ordine di Santa Chiara in Calabria È bene notare che la regola dell’Ordine di Santa Chiara venne approvata da Innocenzo IV il 9 agosto 1253 e che appena otto anni dopo, la prima città della Calabria dove si affermò il nuovo ordine monastico fu Tropea.

Il Monastero della Pietà, fondato nel 1639, fu voluto dalla nobildonna Porzia Carbonara, anch’essa desiderosa di espiare le colpe del figlio Geronimo Adisi, ucciso in circostanze rocambolesche dal governatore del castello di Tropea. Nel nuovo monastero di clarisse, sotto il titolo della Madonna della Pietà e dei Sette Dolori, la fondatrice ottenne che vi entrassero ogni anno dodici giovani provenienti dalle famiglie nobili.

Fra queste giovani novizie ci fu SuorDiana Caputo, protagonista di un “caso” che richiama celebri episodi manzoniani. Nel marzo del 1661, ci fu un vero e proprio processo per accertare la validità della vocazione di Diana Caputo presso il Palazzo Episcopale al cospetto del vescovo Carlo Maranta. Grazie alle deposizioni favorevoli della badessa e di altre suore, fu accertata la buona condotta della Caputo e la sua sincera intenzione di spogliarsi del velo monacale. La Caputo lasciò il Monastero per seguire una vita diversa che l’avrebbe resa moglie devota e madre amorevole. 

Verso la seconda metà del XVI secolo, i fratelli medici e chirurghi Pietro e Paolo Boiano, detti Vianeo, pionieri della rinoplastica, operarono a Tropea riscuotendo fama e prestigio nel panorama scientifico nazionale ed europeo. La tecnica di ricucire i nasi mutilati, la Magia Tropiensiumdescritta da Tommaso Campanella, fu portata avanti anche dopo la morte dei fratelli chirurghi. Laura Guarna, moglie di Pietro, fu anch’essa operante a Tropea verso la fine del XVI secolo, una donna medico che seppe continuare la conoscenza chirurgica della sua famiglia, contribuendo a consolidare Tropea fra gli epicentri del progresso della medicina moderna.

In un episodio emblematico per la storia della città, risplende il ruolo determinante delle donne tropeane, allorquando nel 1612, per scongiurare la vendita illegittima di Tropea, dalle matrone più facoltose alle popolane più umili scaturì una raccolta di ori, gioielli e monili per riscattate la libertà minacciata. Le tropeane stesse, quando giunse la notizia dell’annullamento della vendita di Tropea, il 23 agosto 1615, furono protagoniste dei festeggiamenti durati tre giorni e tre notti: dai palazzi patrizi le matrone fecero esporre drappi, damaschi, coperte colorate e arazzi, mentre le popolane al suono di cembali e sonagli improvvisarono balli e canti di giubilo per tutte le vie.

Due donne tropeane del Novecento spiccano per qualità eccelse con gli appellativi di Sindachessa e Signorina. Esse con il loro operato hanno scritto pagine straordinarie di storia tropeana, proiettando la città dalle macerie morali e materiali del ventennio fascista al progresso condiviso della Repubblica democratica.

Lydia Toraldo Serra (Cosenza 1 agosto 1906 – Tropea 13 luglio 1980) a 23 anni fu la prima calabrese laureata in Legge (tesi sul diritto di voto alle donne). Nel 1933 sposò Pasquale Toraldo e si trasferì a Tropea. Dopo la sua prima elezione nell’aprile del 1946 (una delle prime dodici sindache elette in Italia) manterrà la carica per 15 anni. Ciò fu possibile grazie al legame creatosi con la cittadinanza più umile, che nutriva nei suoi confronti gratitudine e devozione, definendola “la sindachessa” e  “la mamma nostra”. La vittoria della Toraldo Serra divenne l’emblema del passaggio da un’epoca in cui la donna era relegata a ruolo secondario e subalterno a quella che, di lì a poco, avrebbe visto tante altre donne diventare protagoniste nella storia della Repubblica. Grazie alla rete di conoscenze familiari ottenne la prima Scuola media (1948) e il Liceo classico (1952). Avviò l’edilizia pubblica e intuì l’opportunità rappresentata dal turismo con costruzione di un primo stabilimento balneare. Tra il 1952 e il 1956 fece dragare il porto, nel 1955 istituì l’ufficio postale, potenziò l’ospedale civile, dotandolo di una nuova sala operatoria, creò la sede locale dell’Organizzazione per la protezione della maternità e l’infanzia (Omni) con lo scopo di aiutare le madri bisognose. Chiusa la parentesi politica, la “sindachessa” si ritirò a vita privata. Nel 1972 fu nominata Cavaliere della Repubblica. 

Altra personalità femminile che si contraddistinse nella seconda metà del Novecento sotto l’aspetto sociale e caritatevole fu Irma Scrugli (Tropea 4 settembre 1907 – Tropea 22 settembre 1994). Proveniente dal ceto nobiliare, sin dall’infanzia maturò sentimenti morali e altruisti che la porteranno ad abbandonare gli agi familiari per abbracciare la povertà. Fu cofondatrice con don Francesco Mottola della “Famiglia degli Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore”, istituto secolare, eretto poi a livello diocesano, dal vescovo Vincenzo De Chiara il 25 dicembre 1968. L’istituto oblato ancora oggi si occupa di assistenza agli anziani, ai disagiati, oltre che dell’animazione nelle parrocchie. Irma fu presidente parrocchiale e diocesana della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, il suo impegno si caratterizzò per l’attenzione ai poveri e per la profonda spiritualità. Il suo ideale fu quello di vivere una vita morigerata, casta ed umile aiutando con ogni mezzo la gente più bisognosa e portando avanti il messaggio spirituale del Beato Francesco Mottola.

Pur nella diversità di storie, Lydia e Irma evidenziano dei tratti comuni di grande pregio sociale: l’emancipazione dai pregiudizi e dagli stereotipi che all’epoca soffocavano l’essere donna, la forza e la determinazione di un temperamento battagliero, lo spirito di servizio, l’amore per la comunità e la sensibilità sociale.

Beatrice Lento

Endometriosi? … parliamone!

“Hai una soglia del dolore troppo bassa”. “È tutto nella tua testa”. “Sono dolori del ciclo, prendi la pillola e passano”. “Sarà una colica o una cistite”. “Le mestruazioni ce l’hanno tutte, non è possibile che tu soffra più delle altre”. “Sei una donna, considera questa sofferenza come una cosa normale, fa parte della femminilità”. No. Di normale non c’è proprio niente.
In Italia il 10-15% delle donne in età riproduttiva sono affette da endometriosi(tra il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà a concepire). Almeno 3 milioni nel nostro Paese, hanno una patologia conclamata e sono più di 175 milioni nel mondo. Numeri. Ma dietro ci sono persone, persone in carne e ossa. E storie dolorose.
Una malattia cronica invalidante, di cui non si conosce la cura e nemmeno le cause, caratterizzata dalla presenza anomala di endometrio, una mucosa che normalmente riveste esclusivamente la cavità uterina, all’esterno dell’utero. Una patologia progressiva che non interessa solo l’apparato riproduttivo ma si sviluppa su varie strutture e organi, e può colpire le ragazze già alla prima mestruazione e accompagnarle fino alla menopausa. Un periodo lunghissimo e dispendioso, fatto di sofferenza fisica ma il più delle volte vissuto anche con gravi ripercussioni psicologiche. L’endometriosi è una malattia subdola, difficile da diagnosticare. Chi ne è affetta, per anni, deve fare i conti con i giudizi di chi non comprende il suo dolore: amici, familiari, compagni e persino medici. E no, non è normale.

Beatrice Lento

Per la Giornata Internazionale della Donna torna il Quaderno dell’8 Marzo

Un 8 Marzo speciale con  “CATERINA” terzo Quaderno dell’ 8 Marzo dell’Associazione sos KORAI Onlus in partenariato con la Distilleria Caffo 

I Quaderni dell’8 Marzo sono una delle iniziative promosse, per la Giornata Internazionale Della Donna, da sos KORAI Onlus, Associazione di Volontariato, presieduta da Beatrice Lento, nata per contrastare la subcultura maschilista attraverso i processi educativi. 

Partner del progetto la Distilleria Caffo, che molto più di uno sponsor, é il perfetto compagno di viaggio che condivide appieno gli obiettivi di promozione della donna e di benessere civile e morale del nostro territorio.

Scopo del Quaderno  é quello di divulgare la conoscenza di figure di donne che si sono espresse nella città di Tropea, nel suo comprensorio e in tutta la Calabria, con qualche possibile eccezione riservata a figure femminili di particolare fascino. 

Quest’anno il tema entro cui collocare le storie è “Donne che intrecciano fili”, creature femminili che, per scelta più o meno consapevole, o perché sospinte da accadimenti più grandi di loro, si sono dovute mettere in gioco, senza timore di aggiungere alle normali difficoltà dell’esistenza quelle derivanti dal contrapporsi alle convenzioni sociali e alla sfiducia verso le loro capacità, riuscendo a tessere straordinarie trame fatte di pragmatismo, accoglienza, ascolto, dialogo e cura.  

Il terzo Quaderno dell’8 Marzo rimarrà per sempre straordinario per le vicende eccezionali che l’umanità intera ha dovuto vivere a causa della pandemia da covid 19 che ha travolto tutti, sconvolgendo ritmi e abitudini di vita col timore di una malattia che per mesi non ha avuto il contrasto di medicinali veramente efficaci. 

Per due anni,  il Quaderno, datato 2020, é rimasto nel cassetto attendendo tempi migliori. Oggi che, sia pure con cautela, riprendiamo a incontraci è giunta l’ora di presentarlo e farne dono a tanti. Ecco perché l’evento che lo vedrà protagonista al Santa Chiara di Tropea sarà la più bella giornata dell’8 Marzo che si possa immaginare.

A celebrare  la ricorrenza, che ha il  Patrocinio del Comune di Tropea, oltre agli organizzatori e alle autorità le musiciste Lucia Quattrocchi e Caterina Timpano, l’attrice Noemi Di Costa con LaboArt, e l’antropologo Vito Teti nelle vesti di Ospite d’Onore.

Le 28, magnifiche Donne, che popolano il terzo Quaderno, edito da Romano Editore, dal nome “Caterina”, straordinaria Madre a cui la pubblicazione é dedicata, hanno mille sfaccettature abilmente composte in unità dalla loro tenacia e dalla loro voglia di essere comunque protagoniste, quasi sempre  senza clamori  e con la forza dirompente della resilienza che le vede vincitrici nonostante i pregiudizi che le vorrebbero tenere ai margini. 

Esprimo riconoscenza a tutte, e attraverso loro, a cui idealmente mi rivolgo, perché nella maggior parte dei casi non ci sono più, ringrazio i parenti e gli amici che mi hanno donato le loro emozionanti storie.

Grazie a Marianne, Caterina Iozzo, Isabella Figliano, Rosa Simonelli, Orsolina Mamone, Paola Caterina Misefari, Giuseppina Pugliese, Luisa, Nuzza, Franca, Petrizia, Maria, Gina Capua , Sahar, Giovanna Fratantonio, Itala Clotilde Del Vecchio, Giovanna Spanto, Anna Costanza Baldry, Tiziana Lombardo, Maria Teresa Grimaldi, Anna Maria Piccioni, Ciccina e Franca Purificato, Rosaria, Anna Cuturello, Costanza, Maria Giovanna Di Bella, Cecilia Faragò.

Un grazie affettuoso a Tanina Muscia per i suoi quattro splendidi ritratti, a Rosetta Bova, Antonio Libertino, Pasquale e Lucia Lorenzo che, con le loro illustrazioni, hanno dato intensità alla scrittura e a Monica e  Marta La Torre che hanno permesso di aggiungere alle immagini anche due acquarelli  della loro meravigliosa mamma, Anna  Maria Piccioni, pure Lei cittadina del meraviglioso  mondo del Quaderno.

Un grazie altrettanto emozionato alla Madrina della pubblicazione, Delfina Barbieri Caffo che, assieme a noi di sos KORAI, vuole impegnarsi per garantire all’essere femminile un futuro migliore, alla Socia d’Onore, Luigia Lupidi Panarello, per avere poeticamente espresso in apertura “la consegna della tessitura” che le donne ricevono dall’origine e ad Anna Maria Miceli, insostituibile consigliera, che, assieme a me, é curatrice artistica dell’opera che sará ufficialmente presentata l’8 Marzo prossimo.

La differenza donna che diventa ricchezza rimane l’obiettivo primario della nostra Associazione, il suo perseguimento  continua attraverso le varie attività associative che esprimono il nostro essere sempre e comunque con le donne per la libertà e i diritti.

Anche se sembrerebbe superfluo parlare ancora di Parità di Genere, in realtà non lo é per niente, proprio quando pensiamo di aver raggiunto la meta gli eventi ci chiedono di non distrarci e di continuare a protestare e a lottare e noi rispondiamo protestando e lottando.  

Tropea 23 Febbraio 2022

La Presidente di sos KORAI 

Curatrice del Quaderno dell’8 Marzo 

Dottoressa Beatrice Lento

Beatrice Lento

CATERINA: il terzo Quaderno dell’8 Marzo di sos KORAI

DISTILLANDO ESSENZE DI UMANITÀ

Dopo due anni di pausa forzata ritorna il Quaderno dell’8 Marzo dell’Associazione sos KORAI in partenariato con la Distilleria Caffo Nuccio Caffo… che gioia!

“ Le tessitrici che popolano il Quaderno sono diversissime tra di loro ma un filo le unisce: il privilegio, tutto femminile, di poter custodire in grembo la vita che le rende protagoniste
nonostante le avversità che vorrebbero soffocarle, relegarle, zittirle, marginalizzarle. La loro saggezza incide le pagine rilasciando energia che rinfranca, incoraggia e sostiene. Non é un caso che il Quaderno si presenti l’8 Marzo, il mese della primavera che vede la natura restituire vitalità alle piante e agli animali. i primi segni del ritorno della luce si intrecciano all’incanto magico della donna…”

Beatrice Lento