Archivio mensile 13th Settembre 2018

“A” come Adultera

La lettera scarlatta
 é tra le mie letture di bambina desiderosa, fin d’allora, di scoprire cosa si nasconde nell’anima di noi donne. Le emozioni suscitate da quel libro mi rimangono dentro e sicuramente sono tra i presupposti del mio desiderio di impegnarmi per l’emancipazione della Donna e…in fondo anche dell’Uomo.

Le notizie che seguono sono tratte dal Web.
“La lettera scarlatta” è un romanzo di Nathaniel Hawthorne pubblicato nel 1890.

È considerato un classico americano, nonché uno dei primi romanzi a essere prettamente americano e non inglese. Le situazioni, i valori, i personaggi stessi sono intimamente del Nuovo Mondo, nessuno potrebbe confondersi collocandoli in Gran Bretagna.

Il romanzo all’epoca fece scandalo per la sua trattazione su un argomento taboo come l’adulterio.
Il libro si apre con un artificio molto usato all’epoca: lo scrittore finge di stare per narrare una vicenda veramente accaduta, basandosi su documenti reali.

1642, Boston, comunità puritana. Hester Prynne dà alla luce una bambina, Pearl, nonostante il marito manchi da anni da casa (al punto che nessuno in città lo conosce). Per questo motivo viene processata per adulterio. Alcuni vorrebbero addirittura che Hester venisse giustiziata per il suo comportamento peccaminoso, ma infine viene condannata a essere esposta sul patibolo alla pubblica umiliazione, esibendo una lettera A cucita di rosso che la renderà una pariah per il resto della vita.

Fa inoltre scalpore la decisione della donna di non rivelare il padre della bambina.
Per combinazione il marito di Hester, Roger Chillingworth, fa ritorno proprio il giorno in cui la moglie viene esposta sul patibolo. Chillingworth, che era stato prigioniero degli indiani, chiede alla donna chi sia l’uomo con cui l’ha tradito, ma lei rifiuta di rivelarlo anche a lui. L’uomo quindi si mette a praticare l’attività di medico sotto falso nome, sperando di ottenere indizi sul padre della bambina.

Il padre in verità è il reverendo Dimmesdale, uno degli uomini più rispettati della città, nessuno potrebbe mai sospettare di lui. Dimmesdale si tormenta per la propria ipocrisia e vigliaccheria, mentre Hester lo protegge e sconta la pena per entrambi.
Passano sette anni. Pearl è diventata una forte, bella, fantasiosa bambina. Hester, sempre innamorata di Dimmesdale, sta espiando la sua colpa conducendo una vita riservata e aiutando i poveri. Chillingworth continua a desiderare di trovare il padre di Pearl e di vendicarsi. La salute del reverendo, a causa del suo tormento interiore, peggiora sempre di più, al punto che deve richiedere le cure di Chillingworth.

Una sera Dimmesdale si decide: sale sul patibolo, pronto a farsi trovare dalla folla e a confessare la sua colpa. Hester lo convince a scendere, ma ormai Chillingworth, che li ha visti, ha capito. Hester svela al reverendo che il medico è in realtà suo marito. I due progettano di scappare con la bambina.
Ma durante un corteo Dimmesdale sale di nuovo sul patibolo, deciso a rivelare tutto, e per l’emozione muore.Ma prima fa in tempo a indicare qualcosa sul suo petto nudo. Alcuni sostengono di aver visto una lettera A rossa marchiata sulla pelle.

La comunità puritana cerca di dare una spiegazione all’accaduto: un’opinione diffusa è che Dimmesdale si sia inflitto quella tortura per la pena che provava per Hester, altri dicono che sia Chillingworth il colpevole, e così via.
Hester e Pearl se ne vanno per iniziare una nuova vita. La bambina non tornerà mai più, mentre Hester lo farà in vecchiaia, divenuta ormai ricca, per essere sepolta vicino all’amato. Sulla sua lapide verrà scritto “In campo nero, la lettera A scarlatta”.

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Madame Chevrot

Madame Chevrot
Età : 75 anni

Professione : ex stiratrice
È da molto

che non vedo Madame Chevrot,

la donna che di solito

incontravo nella strada principale.

Mi sorrideva

e il suo sorriso mi costringeva a fermarmi,

anche se avevo fretta,

per parlare del tempo,

della sua bellezza di un tempo

e degli uomini che l’hanno amata.

Madame Chevrot è piccola,

un naso grosso come una melanzana

e pochi denti

rotti e neri,

Lei giura con fierezza, che sono veri.

Elegante, per quanto l’età lo permetta.

Truccata, tanto che le cascano le palpebre …

Al nostro ultimo incontro

mi ha raccontato

di aver conosciuto un uomo

nella sala da ballo

dove stava imparando la salsa.

Lui avrebbe tanto voluto vivere con lei …

Ma lei?

Lei esitava,

divisa tra rinunciare alla sua libertà

e rinunciare al suo russare,

perché, mi diceva,

è tutto quello che lui può offrirle

la notte

Maram al Masri

Christina Dalcher: Donne senza parole

Per legge le Donne americane possono pronunciare solo 100 parole al giorno. Oltrepassando la barriera imposta ricevono una scarica elettrica da un braccialetto che sono costrette a portare.

No, amici di soskorai.it non allarmatevi, per ora si tratta solo di una realtá immaginifica ritratta nel romanzo di Christina, una linguista che ama scrivere, ma teniamo alta la guardia perché in tanti vorrebbero zittirci.

Monica e le altre

Sui marciapiedi del mondo,sotto il suo sole soffocante

o sotto i neon di una camera,

Monica, Nawal, Maya, Aïcha, Laura, Sandra e Yoko

nel freddo

e le sue ruvide carezze,

vestite della veste leggera della loro pelle,

hanno trasformato i loro corpi

in boutiques

nelle quali

fanno mercato.

Venditrici di piacere

per chi ne ha bisogno,

toccano

quelli che nessuno vuole toccare

ed offrono un istante di tenerezza

(forse)

a quelli che non ne hanno mai diritto.

Soldi …

soldi …

soldi …

in cambio

di venti o trenta minuti

nei quali

Monica, Nawal, Maya, Aicha, Laura, Sandra e Yoko

aprono le loro boutiques

e chiudono gli occhi

Maram al-Masri

Se mi paghi ti mando una foto

Un’inchiesta ha svelato che centinaia di minorenni italiane inviano loro foto sui social in cambio di denaro e di buoni acquisto.

” Fu una mia compagna di classe a convincermi a farlo. Ci scattammo le foto per un signore che l’aveva contattata su Facebook e che la ricompensava facendole ricariche sul telefonino”

” Mi piace farlo mi fa sentire bella e potente, non é prostituzione, io non vendo il mio corpo ma solo la sua immagine”

Vistimu a Pacchjana

Beatrice Lento ecco una bella poesia di Francesco Davoli VISTIMU ‘A PACCHJANA

Ppi si véstari ‘a pacchjàna,

prima cosa si ‘nsuttàna;

carma, carma, senza affànnu

pùa si ‘mbùalica ‘ntr’ o pannu;

illu è nìuru o culuràtu,

assicùndu di lu statu:

è russu priputènti

s’ u marìtu l’ha vivènti,

è culùri ‘i vinu ammaccàtu

s’ u marìtu ‘unn ha truvàtu

ed è nìuru villùtu

s’ u marìtu cci ha murùtu.

Pùa si minti lla gunnèlla,

nìura, vìardi, brù ‘i franèlla,

si cci fha ‘n arrucciulàta,

‘a gunnèlla è già ‘mpadàta.

‘N àutru tùaccu pùa di fhinu

si lu dà ccu llu mbustìnu,

ma cchjù bella vo’ parìri

e ssi minti llu spallìari.

‘U mantisìnu ricamàtu

mìanzu pannu cci ha ‘mbarràtu;

prima ‘i jìri a llu purtùni

pìgghja llu fhazzulittùni;

quando nesci ppi lla strata

è cchjù bella di ‘na fhata!

‘A salùtanu d’ ‘i casi

‘a pacchjàna ‘i Sambiàsi.

Poesia inviatami da mia cugina Gasperina Lento

Lucetta Scaraffia, la féministe du Vatican

Ex atea, ex marxista, ex sessantottina  Lucetta é l’editorialista di punta dell’Osservatore Romano e dirige il mensile Donne Chiesa Mondo, dicono che Papa Francesco dia molto peso alle sue opinioni …la pagano solo per gli articoli che scrive.

É molto critica Lucetta e denuncia senza esitazioni la mancanza di attenzione verso le donne al di lá delle mura leonine con le suore ridotte a colf per i preti e l’esigenza persino di difendere le case generalizie dai vescovi.

Non é favorevole al sacerdozio femminile ritenendo che l’uguagluanza si riveli nella differenza e a chi le chiede se si senta una Giovanna D’Arco ribadisce di preferire Caterina da Siena, a Roma prega sulla sua tomba, in Santa Maria della Minerva, chiedendole aiuto.

Al sinodo sulla famiglia l’hanno confinata nell’ultimo banco, accanto a lei alcuni coniugi invitati dal Vaticano, poveri, con 12 figli, presentati come esempi di felicità ma in effetti non proprio così…buoni e finti, ammaestrati… famiglie col marito comandante.

Accetta le unioni civili Lucetta ma non i matrimoni, le maternitá surrogate e le adozioni.

Pensa che la pillola rovini la salute e che oggi le ragazze usino volentieri i metodi naturali  pur non sapendo che obbediscono all’enciclica “Humanae vitae”  di Paolo Sesto.

Teme l’eutanasia e pensa che la legge 194 vada rivista.

Sull’Osservatore Romano ha criticato i trapianti di organo a cuore battente ma alla domanda :” E se l’organo servisse a un suo caro?” ammette:” Non  so rispondere”

Addio Baronessa

Teresa Cordopatri è deceduta dopo un’esistenza passata a combattere la ‘ndrangheta. Nel 1991 era sopravvissuta a un agguato perché la pistola del killer si inceppò ma il fratello non fu altrettanto fortunato e venne ucciso. I clan volevano i loro uliveti ma lei non ha mai abbassato la testa. Da quel tragico giorno subì 11 attentati e divenne un simbolo di resistenza e riscatto riconosciuto anche all’estero

Aveva un’espressione seria, Teresa Cordopatri, anche quando rideva. Nei suoi occhi vi si poteva leggere un dolore profondo che il tempo non era riuscito a cancellare. Se n’è andata senza clamore la “baronne courage”, come l’aveva definita il quotidiano francese “Le Figaro”, dopo anni di battaglie dentro e fuori le aule di giustizia. Quel dolore profondo era esploso il 10 luglio 1991, quando suo fratello Antonio era morto tra le sue braccia, ferito a morte dalla ‘ndrangheta. Il “padroni” di Castellace, i Mammoliti, volevano le loro terre, ma Antonio si era sempre rifiutato di vendere, nonostante le richieste sempre più pressanti. Un primo agguato fallisce, il secondo no. La donna si salva solo perché la pistola del killer si inceppa.
Da qual momento, Teresa Cordopatri visse chiedendo giustizia per suo fratello e difendendo quei 12 ettari di uliveti che avevano sconvolto per sempre la sua esistenza. Una battaglia lunga 27 anni e costellata di ben undici attentati. Una lotta che la Cordopatri ha condotto con tutta la sua famiglia nei terribili anni ’90 nella piana di Gioia Tauro. Una vita, quindi, spesa nella difesa della legalità e contro la sopraffazione mafiosa. «Una donna che ha lasciato un’impronta profonda nella lotta alla criminalità e allo strapotere mafioso nel territorio reggino», così la definisce Libera Calabria nel comunicato di cordoglio. E una donna forte, Teresa Cordopatri, lo è stata davvero. Forte e tenace nel chiedere giustizia per suo fratello e nell’opporsi ai tentativi di estorsione da parte dei Mammoliti.

Negli ultimi anni Teresa era tornata a Castellace ed insieme alla cugina Angelica Rago Gallizzi, compagna di lotte e di impegno, aveva tentato di rilanciarne la produttività anche grazie alla creazione della cooperativa sociale Aida. Un progetto che non andò come aveva previsto. Delusioni e dolore, però, non riuscirono mai ad avere il sopravvento sul suo desiderio di riscatto e di emancipazione dalla ‘ndrangheta. Restano come paradigma della sua esistenza queste sue parole: «Non avrei voluto ristabilire la verità sulla proprietà dei terreni, la libertà di operarvi senza cedere alle angherie dei mafiosi al prezzo della vita di mio fratello, ma la Fede che profondamente mi anima, mi guida al perdono ed al desiderio di infondere speranza lì dove è stato sparso del sangue innocente».

Francesco 

Addio Baronessa!

Teresa Cordopatri è deceduta dopo un’esistenza passata a combattere la ‘ndrangheta. Nel 1991 era sopravvissuta a un agguato perché la pistola del killer si inceppò ma il fratello non fu altrettanto fortunato e venne ucciso. I clan volevano i loro uliveti ma lei non ha mai abbassato la testa. Da quel tragico giorno subì 11 attentati e divenne un simbolo di resistenza e riscatto riconosciuto anche all’estero

Aveva un’espressione seria, Teresa Cordopatri, anche quando rideva. Nei suoi occhi vi si poteva leggere un dolore profondo che il tempo non era riuscito a cancellare. Se n’è andata senza clamore la “baronne courage”, come l’aveva definita il quotidiano francese “Le Figaro”, dopo anni di battaglie dentro e fuori le aule di giustizia. Quel dolore profondo era esploso il 10 luglio 1991, quando suo fratello Antonio era morto tra le sue braccia, ferito a morte dalla ‘ndrangheta. Il “padroni” di Castellace, i Mammoliti, volevano le loro terre, ma Antonio si era sempre rifiutato di vendere, nonostante le richieste sempre più pressanti. Un primo agguato fallisce, il secondo no. La donna si salva solo perché la pistola del killer si inceppa.
Da qual momento, Teresa Cordopatri visse chiedendo giustizia per suo fratello e difendendo quei 12 ettari di uliveti che avevano sconvolto per sempre la sua esistenza. Una battaglia lunga 27 anni e costellata di ben undici attentati. Una lotta che la Cordopatri ha condotto con tutta la sua famiglia nei terribili anni ’90 nella piana di Gioia Tauro. Una vita, quindi, spesa nella difesa della legalità e contro la sopraffazione mafiosa. «Una donna che ha lasciato un’impronta profonda nella lotta alla criminalità e allo strapotere mafioso nel territorio reggino», così la definisce Libera Calabria nel comunicato di cordoglio. E una donna forte, Teresa Cordopatri, lo è stata davvero. Forte e tenace nel chiedere giustizia per suo fratello e nell’opporsi ai tentativi di estorsione da parte dei Mammoliti.

Negli ultimi anni Teresa era tornata a Castellace ed insieme alla cugina Angelica Rago Gallizzi, compagna di lotte e di impegno, aveva tentato di rilanciarne la produttività anche grazie alla creazione della cooperativa sociale Aida. Un progetto che non andò come aveva previsto. Delusioni e dolore, però, non riuscirono mai ad avere il sopravvento sul suo desiderio di riscatto e di emancipazione dalla ‘ndrangheta. Restano come paradigma della sua esistenza queste sue parole: «Non avrei voluto ristabilire la verità sulla proprietà dei terreni, la libertà di operarvi senza cedere alle angherie dei mafiosi al prezzo della vita di mio fratello, ma la Fede che profondamente mi anima, mi guida al perdono ed al desiderio di infondere speranza lì dove è stato sparso del sangue innocente».

Francesco Altomonte

La Madonna di Romania

È la nostra Patrona, l’Amica, Sposa, Compagna, Figlia, Complice, Ausiliatrice, Madre di ogni Tropeano.

La chiamiamo ” A Nighirea” per il Suo colorito bruno e l’amiamo tanto.

Oggi è la Sua Festa!