Archivio mensile 9th Settembre 2018

Rosa la pescatrice

…Cinque ne ho cresciuti a mare, cinque figli, con la pancia così andavo a pescare…e c’era la mia commare, commare di San Giovanni, faceva:”Commare, tu qualche giorno lo fai nella barca”

Storia di Rosa, pescatrice di Stromboli, raccontata da Macrina Marilena Maffei.

Venezia sessista?

” Il problema esiste ” dice Cristina Comencini “Soprattutto nel nostro Cinema  dove le donne scarseggiano mentre in Francia conquistano sempre più spazio grazie a una politica di sostegno e valorizzazione. Anche nel nostro settore i posti di comando sono in mano agli uomini e, finché le  cose non cambieranno, ai festival saremmo sempre in poche”

Effettivamente c’é una sola regista in concorso e da Hollywood arrivaall’Italia  l’accusa di maschilismo tossico

“Ma l’Italia non é la patria del maschilismo” precisa Cristina ” Nel 2013 c’é stata da noi la grande mobilitazione femminista organizzata dal movimento Senonoraquando che ha fatto parlare il mondo intero e inaugurato la riscossa delle donne. Possiamo andarne molto fiere”

Cantigola

Scritto, diretto e interpretato da Rossana Colace, Cantigola é la storia di un’adolescente calabrese dalla voce  bella che fin dalla festa della Prima Comunione occupa la scena della vita col suo canto… un canto di gola, da qui il nomignolo che l’avrebbe connotata per sempre: ” canti i gula”.

Ama fantasticare e sognare Cantigola ma la dolcezza della sua giovane età si scontra con la subcultura criminale della ‘ndrangheta che vorrebbe legare al suo carro anche la sua famiglia.

La scena si riempie dell’energia esplosiva dell’Artista e travolge il pubblico che affolla i gradoni del Teatro del Porto nonostante il rischio pioggia.

É esplosiva Rossana e il Pathos  che crea sulla scena diventa un’altalena inquietante e sconvolgente in un sali e scendi emotivo indescrivibile.

Cambierá qualcosa nella nostra Terra di Calabria?

Sì che cambierá, sul palcoscenico di Cantigola e nella realtà, se saremo in tanti a volerlo e se in tanti, ognuno nel suo campo, ci impegneremo in direzione dei valori della Civiltà così come ha fatto la Colace col suo monologo mozzafiato.

Brava Rossana, hai lasciato un segno di speranza!

Tropea 7 settembre 2018

Cantigola: strepitoso monologo di Rossana Colace

Tra poco, al teatro del Porto di Tropea, nella Rassegna di Teatro D’ aMare, realizzata dall’Associazione LaboArt, diretta da Maria Grazia Teramo, si esibirá l’attrice tropeana Rossana Colace, figlia della nostra Socia Teresa Bozzolo.

Non dico nulla perché il mondo dell’arte é scaramantico, un semplice saluto a Figlia e Madre.

Non é una curva per donne 

Niente donne nelle prime file della Curva Nord dell’Olimpico di Roma!

Questo, in sintesi, il contenuto di un volantino maschilista comparso nelle prime nove file della Curva Nord Laziale, in una miriade di copie, durante l’incontro di calcio Lazio-Napoli, al debutto del Campionato. 

Immeduata la risposta femminile:” Prendiamo le distanze da quei laziali che non danno il giusto valore alla Nord con comportamenti inadeguati, come prendiamo le distanze da quei laziali che non si ricordano di essere stati messi al mondo da donne”

Kofi Annan: l’uomo che voleva emancipare la Donna

Era convinto che per risolvere i tantissimi problemi mondiali occorreva liberare le donne dall’ignoranza, dalle malattie e dalla dipendenza.

Sotto la sua guida l’ONU promosse tante campagne contro le mutilazioni genitali e intraprese percorsi propedeutici al miglioramento delle condizioni del Genere Femminile in ogni parte della Terra.

Addio grande Uomo!

Valeria Collina: in nome di chi?

Oggi ho conosciuto Valeria Collina, una Donna straordinaria che s’impegna per la cultura della pace e l’intercultura nonostante il macigno della tragedia del figlio…un figlio é sempre un pezzo della propria anima, del proprio cuore, del ventre, del seno, delle braccia, delle labbra …di ogni brandello di sé. Forza Valeria, ce la faremo!

Ecco un articolo di Fabio Tonacci che narra questa sua atroce storia.

Valeria Kadija
Collina ha 68 anni. Ha scritto un libro coraggioso, che è insieme il racconto della sua vita e uno sforzo di autocoscienza per esplorare fin dove affondavano le radici di quell’odio segretamente coltivato dal figlio. Da giovane Valeria è una femminista convinta, faceva teatro. Una trentina di anni fa conosce Mohamed Zaghba, marocchino e musulmano. Si innamora, si converte all’Islam (“per anni ho volontariamente indossato il niqab “) e si trasferisce a Fez. Hanno due figli: Kaouthar e Youssef, il terzo uomo del commando stragista che tra il London Bridge e il Borough Market ha ucciso otto persone.
Quando è iniziata la radicalizzazione?

“Nel 2015 mi accorsi che Youssef aveva la bandiera dell’Isis su Facebook e dei video di propaganda nei quali sembrava che nel Califfato tutto funzionasse bene. Credo che sia stato un suo amico del liceo a procurarglieli”.
In Rete si trovavano anche i filmati delle decapitazioni.

“Sosteneva che fossero stati obbligati a compierle, per difendersi da aggressioni esterne. Considerava lo Stato Islamico l’unico luogo dove si potesse praticare l’Islam puro, e infatti mi ha proposto di andare in Siria”
Come ha reagito?

“Ho provato a spiegargli che l’Isis era solo una costruzione politica e che le violenze non erano ammesse dalla nostra religione”.
Non è un po’ poco, di fronte a segnali così preoccupanti?

“Per molto tempo ho rifiutato di addossarmi una colpa per ciò che aveva fatto Youssef: l’Islam ci insegna che ognuno è responsabile delle proprie azioni. Poi però ho capito di aver fatto un errore: non ho insegnato ai miei figli ad avere uno spirito critico. Questa è la mia colpa di madre”.
Suo marito Mohamed non diceva niente?

“Non si è mai posto il problema. E Youssef si confidava solo con me”.
Ha mai pensato di segnalare suo figlio alle autorità marocchine?

“In Marocco non funziona come in Europa: una segnalazione significa rovinare una persona”.
Nel 2016 ha lasciato suo marito ed è tornata a vivere nel Bolognese. Nello stesso periodo suo figlio ha provato ad andare in Turchia…

“Non ero preoccupata, perché Youssef non era mai stato un tipo aggressivo nonostante la nostra fosse una famiglia in cui purtroppo c’era violenza da parte di Mohamed “.
All’aeroporto Marconi disse di voler fare il terrorista, poi si corresse e usò la parola turista.

“Sperava inconsciamente di essere bloccato. Aveva bisogno di uno psicologo, ma non accettava di vederne uno”
Poteva essere fermato prima del 3 giugno 2017?

“Non lo so. Di sicuro le autorità inglesi lo hanno sottovalutato: lui stesso mi raccontava che negli aeroporti passava i controlli senza essere fermato, nonostante la segnalazione della polizia italiana”.
Come ha reagito la comunità musulmana italiana dopo l’attentato?

“Con paura. Quando ci sono fenomeni di radicalizzazione, la comunità
dovrebbe trovare la forza di affrontarli insieme collaborando con le autorità. Ma non c’è fiducia nelle istituzioni, anche per le tante espulsioni decise dal governo italiano. Mi sono ritrovata sola e isolata: sono la madre di un terrorista, ma non sono una terrorista”.

#WereIsMyName

É questo il nome della campagna di sensibilizzazione che reclama per le Donne Afghane un diritto che sembrerebbe paradossale dover rivendicare: quello di essere chiamate per nome.

 Il nome dona identità ed é per questo che in quella terra così complicata e tormentata, dove  la misoginia é imperante, alle creature del mio Genere non spetta il nome neppure sui certificati o sopra la finestra dell’ultima dimora terrena. 

Si parla di noi usando le espressioni ” la madre di…la moglie di…la sorella di…la figlia di…” o nomignoli mortificanti come ” la mia capra”

Ma le Afghane non ci stanno più ed il movimento “Dov’é il mio nome” potrebbe finalmente riuscire a travolgere una subcultura maschilista crudele e assurda eppure…

Eppure a me capita, a volte, di sentire usare anche da noi la diabolica circonlocuzione “la…di…” sicuramente senza quelle tremende implicazioni ma come abitudine linguistica, retaggio, forse inconsapevole, di atteggiamenti maschilisti non troppo lontani.

Lalla Romano

Soltanto con te, straniero,posso parlare nella mia lingua

poiché anche tu vieni di lontano

e il nome della terra l’abbiamo scordato
Non è necessario, come credono i più,

dire parole meravigliose:

anche le più semplici e usuali

sono parole d’amore

nel dialetto nativo
Graziella Romano, in arte Lalla Romano, nata a Demonte (Cuneo) l’11 novembre 1906 e morta a Milano il 26 giugno 2001, è stata una scrittrice, poetessa, giornalista e aforista italiana. Nata da un’antica famiglia piemontese di origini ebraiche, sin dalla più tenera età si appassiona di pittura, alla quale si dedica intensamente già da piccola. Pronipote del grande matematico Giuseppe Peano, Lalla Romano è figlia di Giuseppina Peano, nata a sua volta da Michele Peano, fratello maggiore del famoso studioso.
La sua famiglia materna è molto numerosa: nonno Michele e nonna Giuseppina Pellegrino, hanno infatti ben sette figli: Michele, Alessio, Carmelo, Giuseppina, Carola, Caterina e Maria. Lo zio Alessio, in particolare, è ricordato per aver sposato Frieda von Kleudgen, figlia del pittore Friedrich von Kleudgen.
Gli studi e le amicizie

Dopo aver conseguito la maturità classica presso il liceo Silvio Pellico di Cuneo, Lalla Romano si iscrive all’Università di Torino, dove ha avuto la fortuna di essere allieva di Lionello Venturi (da lei scherzosamente chiamato “Cardo selvatico”), Annibale Pastore e Ferdinando Neri.

Fra i suoi amici e compagni spiccano invece personalità del calibro di Mario Soldati, Franco Antonicelli, Carlo Dinisotti, Arnaldo Momigliano e Cesare Pavese. In particolare, è da quest’ultimo che la giovane Romano rimane profondamente colpita, definendolo nel suo diario come “un giovane occhialuto, pallido, magro”. Sentimentalmente, invece, si lega al sanremese Giovanni Ermiglia, al quale nel corso della sua carriera come poetessa dedicherà non poche rime, che successivamente verranno raccolte all’interno di “Poesie per Giovanni”.
Le prime esperienze letterarie di Lalla Romano

Nel corso degli studi universitari, su suggerimento del suo maestro Lionello Venturi, si iscrive alla scuola di pittura di Felice Casorati e, contemporaneamente, frequenta lo studio del pittore Giovanni Guarlotti, dove inizia ad occuparsi di critica d’arte.
Durante questo periodo compie numerosi viaggi a Parigi, dove rimane colpita dai fermenti culturali del quartiere latino.
La Laurea e i primi lavori

Nel 1928 Lalla Romano si laurea con il massimo dei voti in lettere, discutendo una tesi sui poeti del “dolce stilnovo”. Subito dopo aver conseguito il titolo, come primo lavoro per un breve periodo svolge quello di addetta alla biblioteca di Cuneo, ma in seguito si trasferisce a Torino insieme al marito, Innocenzo Monti, e al figlio.
Nel capoluogo piemontese insegna storia dell’arte nelle scuole medie e continua a coltivare la sua passione per la poesia e per la pittura. Nel corso di questi anni alcune delle sue opere vengono esposte in delle mostre collettive.
La seconda guerra mondiale

Durante il secondo conflitto mondiale, si trasferisce nuovamente a Cuneo, presso la casa della madre. Si lega politicamente a Livio Bianco e al movimento “Giustizia e Libertà”, prendendo parte attivamente alla Resistenza e impegnandosi nei “Gruppi di difesa della donna”.
E’ in questo periodo che il poeta Eugenio Montale, con un giudizio positivo sui suoi versi, la esorta a pubblicare alcune sue poesie. Così nel 1941 avviene il suo esordio come poetessa con la pubblicazione della sua prima raccolta, edita da Frassinelli dopo che questa era stata rifiutata da Einaudi.
Il carattere di Lalla Romano

In seguito a questo rifiuto, la Romano tira fuori il lato più determinato del suo carattere inviando una copia appena stampata della sua raccolta all’editore Giulio Einaudi, scrivendo in calce al libro la frase: “A chi non ha voluto stampare questo libro”. E proprio questo lato del suo carattere diventa l’impronta di tutto il suo percorso letterario a seguire.
In questo stesso periodo, Cesare Pavese le commissiona la traduzione dei “Tre racconti” di Gustave Flaubert (1943).
Il dopoguerra

Alla fine della seconda guerra mondiale, Lalla Romano raggiunge a Milano il marito, che nel frattempo è diventato un alto funzionario della Banca Commerciale, dove riprende ad insegnare ed inizia a scrivere alcuni testi di narrativa.
Nel 1951 pubblica “Le metamorfosi”, dei brevi testi in prosa dedicati al mondo dei sogni, mentre tra il 1953 e il 1957 pubblica i suoi primi romanzi.
I primi romanzi

“Maria”, il suo primo romanzo, che parla del complicatissimo rapporto tra una serva e la sua padrona, ottiene un notevole successo di critica. Gianfranco Contini lo accoglie come un piccolo capolavoro. Pavese, amico della Romano, lo critica invece duramente, definendosi stufo di leggere “storie di donne di servizio”.
La sua seconda opera, intitolata “Tetto murato”, ha per protagonista Ada, una donna dalla forte moralità. A questo stesso periodo risalgono invece una raccolta di poesie, “L’autunno”, e un libro dedicato ai viaggi, intitolato “Diario di Grecia”.
L’opera che però rivela la scrittrice al grande pubblico è il celebre romanzo “Le parole tra noi leggere”, che nel 1969 ottiene il Premio Strega.
Il titolo di quest’opera è ricavato da un verso di Montale (dalla poesia “Due nel crepuscolo”), e al suo interno Lalla Romano descrive ed analizza il rapporto con suo figlio, un ragazzo molto difficile e ribelle, asociale e anticonformista. Il libro riscuote un notevole successo, sia di pubblico che di critica, molto probabilmente perché tratta i temi propri della rivolta giovanile, molto sentiti in quel preciso periodo storico.
A questa stessa epoca risalgono altri romanzi quale “L’ospite” (1973), e un’intensa attività giornalistica in diversi quotidiani come “Il Giorno”, “Il Corriere della Sera” e “Il Giornale Nuovo”, nonché una breve esperienza in politica.
Gli ultimi anni

Nonostante una progressiva malattia agli occhi che un po’ alla volta la rende cieca, negli ultimi anni della sua vita continua a scrivere assistita dalle amorevoli cure del compagno Antonio Ria.
Lalla Romano muore all’età di 93 anni a Milano il 26 giugno del 2001, lasciando incompiuta la sua opera “Diario ultimo”, che sarà pubblicata postuma da Antonio Ria nel 2006, in occasione del centenario della nascita della poetessa.

Dal web 

Irma: la Chiara di Tropea

Si é conclusa la fase diocesana dell’inchiesta di Canonizzazione della Serva di Dio Irma Scrugli, a Lei mi sento profondamente legata avendola conosciuta intensamente.

Di questo privilegio rendo grazie ad una sua consorella, Rosa Orfanò, grande amica della mia Mamma che spessissimo mi portava con sé nella grande Casa di Via Abate Sergio.

Ho ancora negli occhi le stanze profumate di Carità: le Signorine indaffarate attorno ai letti e alle poltrone delle anziane e Lei che le coccolava carezzandole, imboccandole, pettinandole, cullandole amorevolmente con affetto di figlia, di sorella, di madre.

Grande Donna Libera Irma che, seguendo il suo esclusivo progetto , lascia gli agi e i privilegi della casa natale, per seguire un altro innamorato di Cristo incarnato negli Ultimi, Padre Mottola, incurante delle critiche e delle maldicenze.

Grande Irma che ti leggeva nel cuore e sorridendoti ti faceva sentire la persona più fortunata del mondo, sono felice di averla profondamente conosciuta questa creatura sempre autentica e straordinariamente determinata al punto da trascinare centinaia di giovani donne lungo un cammino difficile e trasgressivo illuminato dalla Grazia divina.

Spero di vederti Santa: splendida sintesi di spiritualità contemplativa e pragmatica, la Chiara di Tropea !