Archivio mensile 24th Agosto 2018

Le DONNE di TROPEA

Tropea libera !

Le donne tropeane furono parte attiva nella liberazione della città, sia sul piano emotivo, incoraggiando l’intraprendenza e l’orgoglio dei propri uomini, sia concretamente nel ricercare il denaro necessario al riscatto.

Dame e popolane non esitarono a privarsi dei gioielli per concorrere alla causa.

Quando la libertá fu riconquistata a Tropea fu festa grande e alle donne fu concesso ….di bere!

Quanta strada in salita per noi donne!

Kiki: la modella più trasgressiva di Montparnasse

Musa di Man Ray, amica di Jean Cocteau, lolita di «Papà Hemingway». Lei è Alice Prin, classe 1901, nota ai più come Kiki de Montparnasse. E la sua autobiografia, “Memorie di una modella”, a lungo censurata negli Stati Uniti, è il racconto di una vita a dir poco rocambolesca, fatta di incontri straordinari (“Usciamo con dei tipi che si chiamano dadaisti e altri che si fanno chiamare surrealisti, ma io non riesco a vedere questa gran differenza tra loro!”), notti in cella, ricoveri, eccessi…Era un’oca giuliva di talento: musa di Man Ray, amica di Jean Cocteau, lolita di «Papà Hemingway», lo scrittore, non ancora famoso, che nel 1929 firmò la prefazione dei suoi (di lei) Souvenirs, un’autobiografia censurata negli Stati Uniti per molti anni e ora edita da Castelvecchi con il titolo Memorie di una modella. Lei era Alice Prin, nota ai più come Kiki de Montparnasse e «provvista di un didietro a prova di tutto»: fu modella, amante e sodale dei più famosi pittori d’avanguardia, fu cantante e pittrice modesta, fu scroccona di lusso. Sapeva spillare soldi a chiunque, specie di sesso maschile, dallo spasimante Ernst (Hemingway), «maiale e pitocco», al famigerato editore Roth, un «pirata» che lesinava denaro persino a Joyce e Pound.
Kiki, classe 1901, era figlia di una ragazza madre, che parcheggiò lei e i suoi cinque fratelli dalla nonna in campagna: a scuola ci andò poco e male; iniziò a sgobbare a 12 anni, prima in una maglieria, poi presso la bottega di un panettiere, infine in una legatoria… Ma la voglia di lavorare spirò sul nascere: a 14 anni avvenne «il primo incontro con l’arte»; si mise a posare per uno scultore e scappò di casa perché la madre era contraria a quella professione poco rispettabile.La sua fu una vita a dir poco rocambolesca, tra un ricovero in ospedale per problemi cardiaci, qualche notte in cella per una rissa al bar e una fuga adolescenziale in America: dopo i primi, ridicoli tentativi di sbarazzarsi della verginità, Kiki capì come mettere a frutto le proprie acerbe grazie, imbottendosi il reggiseno di stracci, ritoccandosi le ciglia «con i fiammiferi usati», mostrando il seno per dieci soldi, flirtando a destra e a manca pur di raggranellare mance o di mettere insieme il pranzo con la cena.Le sue memorie naif e ironiche offrono anche un ritratto delle Parigi anni Venti e Trenta, e la bontà dello scritto sta proprio nella sua frivolezza e superficialità – perché come diceva il poeta Brodskij, «le superfici sono spesso più eloquenti del loro contenuto». Ecco allora una tragicomica sfilata di artisti e intellettuali di «Montparnasse, un posto rotondo come un circo. Ci si entra non si sa come, ma uscirne non è facile!»: Modigliani era un tipo irritante e «faceva tremare da capo a piedi»; Kisling la «chiamava bagascia e puttana sifilitica»; Fujita era un «brav’uomo, semplice e simpatico»; Man Ray, con cui Kiki ebbe una relazione di sei anni, aveva un’«aria misteriosa».«Usciamo con dei tipi che si chiamano dadaisti e altri che si fanno chiamare surrealisti, ma io non riesco a vedere questa gran differenza tra loro! C’è Tristan Tzara, Breton, Philippe Soupault, Aragon, Max Ernst, Paul Éluard… Le notti le passiamo a parlare, il che non mi dispiace affatto, anche se non riesco a capire di che cosa si stia parlando». L’unica preoccupazione della modella era la fame, di cibo, uomini o cocaina che fosse: «Sono sempre così allegra che il fatto che sia povera non conta proprio nulla… Quello che più conta è che non so nemmeno cosa significhi essere ammalata». Morale: per ottenere la fama ci vuole la fame e per diventare celebrità occorre la salute. Ciononostante, Kiki riuscì a rovinarsela, la salute, abusando di alcol, patatine fritte e droghe: a 33 anni era arrivata a pesare 80 chili e morirà a neanche 52. Lei abbozzava: «I primi cent’anni della vita sono sempre i più duri!».Nella seconda parte delle Memorie, l’autrice, ormai cinquantenne, racconta le sue ultime avventure e follie, come l’amicizia con uno «stoccafisso», un pesce moribondo e puzzolente, che salva la donna dal suicidio e da lei viene trattato come guru e confidente. È di quegli anni anche il secondo viaggio a New York, alla ricerca del grande amore, un certo Antoine conosciuto in gioventù. A Manhattan ritrova pure «Papà Hemingway» («Si dà troppe arie per essere un vero artista», chiosa l’editore Roth), passa le serate a inseguire le prostitute per strada e si lamenta continuamente che al Greenwich Village «i giorni della vera bohème sono finiti. Ora è tutta una messinscena per turisti» (erano gli anni Cinquanta!).

Franca, anticonformista e a suo modo visionaria, Kiki, scrive Hemingway, «è un monumento: dominò l’epoca di Montparnasse più di quanto la Regina Vittoria non abbia dominato l’epoca vittoriana… Eccovi un libro scritto da una donna che non fu mai una signora. Per circa dieci anni Kiki fu lì lì per essere una regina, ma questo naturalmente è molto diverso dall’essere una signora».

Ma alla fine che importa essere o meno signori? «È stato meglio essere buoni, Kiki».

Di Camilla Tagliabue

Why Have There Been No Great Women Artists?

Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica delle linee femminili di Dior, ha fatto sfilare le sue modelle con magliette a righe su cui campeggiava questa frase  in inglese ” Perché non ci sono state grandi artiste?”.

È questo il titolo del saggio della storica dell’arte Linda Nochlin, un riferimento importante della letteratura femminista.

Perché?

Parisa e il calcio

Il teatro dei sogni. Per Parisa Pourtaherian è uno stadio di calcio dove si disputa una partita fra uomini. Fotografa per l’agenzia di stampa iraniana Photoaman, è diventata la prima donna a fotografare un match di football maschile in Iran. Il fatto è accaduto lo scorso luglio, ma la notizia dopo essere diventata virale in patria sta facendo adesso il giro del mondo. Per la precisione il 27 luglio, durante Nassaji Mazandaran-Zob Ahan, da una parte una delle squadre storiche del Paese, della città di Ghaemshahr, dall’altra quella di una delle destinazioni turistiche più famose, Esfahan; sfida terminata 0-1 per gli ospiti con rete di Eddie Hernandez al quindicesimo del primo tempo.
In Iran, alle donne, è vietato entrare negli stadi dove ci sono partite di calcio maschile: “Per la pallavolo, la pallacanestro e l’atletica leggera le restrizioni sono minori – ha dichiarato Parisa – e ci è permesso di entrare negli impianti, ma il football è ancora tabù”. Ricordandosi di avere visto fotografie dove i tifosi salivano sui tetti per seguire i match dello stadio Vatani, si è recata in città tre ore prima dell’inizio della sfida cercando un tetto che potesse ospitarla e provando, soprattutto, di convincere i proprietari delle case a farla entrare. Dopo tanti “No” uno le ha dato il permesso di salire e anche se il primo tempo era terminato e se un albero ostacolava in parte la visuale Parisa Pourtaherian è riuscita a fare il suo shooting, diventando la prima donna iraniana a fotografare una partita di calcio maschile iraniano.
Sarebbe rimasto un gesto anonimo se i colleghi maschi dentro lo stadio non l’avessero vista e avessero iniziato a fotografarla a loro volta, immagini che hanno fatto il giro del Paese. Il tema dei diritti di genere in Iran è all’ordine del giorno, se non per i governanti sicuramente per la popolazione, e molte donne sono state arrestate o mandate via dagli stadi di calcio, quando scoperte travestite da uomo. Nel 2006 il regista Jafar Panhai, Leone d’Oro a Venezia nel 2000 per «Il cerchio», è stato condannato a sei anni di prigione e bandito dal cinema per venti per «Fuorigioco», la pellicola che racconta la storia di un gruppo di ragazze travestite con abiti maschili, appunto, per entrare allo stadio e vedere la partita Iran-Giappone (2-1, 25 marzo 2005, valida per qualificarsi al Mondiale tedesco), scoperte sono state rinchiuse in un recinto, dal quale hanno sentito solamente le urla dei tifosi senza vedere le azioni. Partita terminata con gravi incidenti dopo che uscendo la folla era caduta ed era stata calpestata.
Intanto, in Arabia Saudita qualche passo in avanti è stato fatto con il permesso alle donne di guidare, con l’inserimento dello sport femminile nelle scuole statali e lo scorso gennaio l’Autorità Generale dello Sport ha permesso anche di vedere dal vivo le partite di calcio maschile in tre impianti del Paese: lo stadio internazionale di Re Fahd a Riad; quello di Re Abdullah a Gedda e quello dedicato al principe Mohammad bin Fahd a Dammam. Durante la recente Coppa del Mondo, invece, l’Iran ha permesso alle donne di entrare nello stadio Azadi di Teheran, da 100.000 posti, per vedere le partite sui maxischermi. Piccoli passi avanti che sono visti dalle donne degli altri Paesi arabi dell’area come una spinta a lottare per i propri diritti, cercando di essere sempre più autonome e indipendenti, soprattutto nel lavoro.
Quello che ha fatto Parisa Pourtaherian, la quale spera che il suo esempio serva per aprire il calcio maschile alle donne. Parisa, che ha studiato design industriale all’università di Teheran, è una fotografa affermata che ha coperto eventi sportivi in patria come in Austria, Germania e Svezia, soprattutto di pallavolo, ma seguire una partita di calcio nel posto che gli spetta è ancora un sogno, anche se quello più grande è di farlo all’Old Trafford, per vedere dal vivo il Manchester United, squadra del cuore. Il teatro dei sogni per affermare un diritto, trasformandolo nel tribunale dei diritti per afferrare un sogno.

Di Francesco Caremani

L’aloe fiorisce ogni cento anni.

Le donne non scrivono libri sugli uomini; un fatto che mi diede molto sollievo, perché se prima dovevo leggere tutto ciò che gli uomini hanno scritto sulle donne, poi tutto ciò che le donne hanno scritto sugli uomini, l’aloe che fiorisce soltanto ogni cento anni avrebbe dovuto fiorire due volte prima che io fossi in grado di cominciare a scrivere sull’argomento.
Virginia Woolf

Rispetto!

RISPETTO
Quello che vuoi

Tesoro, io ce l’ho

Quello di cui hai bisogno

Sai che io ce l’ho?

Tutto quello che ti chiedo

È un po di rispetto

quando vieni a casa (solo un po’)

Hey tesoro (solo un po’) quando vieni a casa

(solo un po’) signore (solo un po’)
Non farò niente di sbagliato quando sarai via

Non farò niente di sbagliato

perchè non voglio farlo

Tutto quello che chiedo

È un po di rispetto

quando vieni a casa (solo un po’)

Hey tesoro (solo un po’)

quando vieni a casa (solo un po’)

Yeah (solo un po’)
Sto per darti tutti i miei soldi

E tutto quello che chiedo in cambio, tesoro

È di darmi quello che è giusto

Quando torni a casa (solo un po’)

Yeah baby (solo un po’)

Quando torni a casa (solo un po’)

Yeah baby (solo un po’)
Oh, i tuoi baci

Più dolci del miele

E indovina un po’?

Lo sono anche i miei soldi

Tutto quello che voglio tu faccia per me

È darmi questa dolcezza quando vieni a casa

Yeah baby

Prendilo a frustate per me (rispetto, solo un po’)

Quando arrivi a casa, adesso
R-I-S-P-E-T-T-O

Prova a capiro cosa significa per me

R-I-S-P-E-T-T-O

Prenditi cura di me
Oh (prendimi a pugni, pugni

pugni, pugni)

Un po’ di rispetto (prendimi a pugni

pugni, pugni)

Whoa, piccolo (solo un po’)

Un po’ di rispetto (solo un po’)

Sono stanca (solo un po’)

di provare a continuare (solo un po’)

Stai finendo di ingannare (solo un po’)

e io non sto mentendo (solo un po’)

(Ri) spetto

Quando torni a casa

O potresti entrare (rispetto, solo un po’)

e scoprire che me ne sono andata (solo un po’)

Devo avere (solo un po’)

Un po’ di rispetto (solo un po’)

Grande Aretha!

Culture a confronto

Rendo omaggio all’evento Culture a Confronto e al presidente Andrea Addolorato per i Valori veicolati attraverso il fascino del confronto tra tradizioni, musiche, leggende, riti, miti e folclore di Popoli diversi ma uniti dalla comune Umanitá.

In questo nostro complicato e tormentato tempo c’è tanto bisogno di abbracciarsi nella Bellezza.

“L’amore non sta nell’altro, ma dentro noi stessi. Siamo noi che lo risvegliamo. Ma, perché questo accada, abbiamo bisogno dell’altro. L’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni.”

PAULO COELHO

Artemisia: una femminista!

Violentata a soli 18 anni ed emarginata perché donna. Il sogno di diventare pittrice, però, Artemisia Gentileschi l’ha realizzato. Durante il Seicento, nel pieno dell’epoca Barocca, il mondo femminile non può avere le stesse ambizioni degli uomini. Dipingere è una prerogativa maschile. Eppure una donna, con fatica e difficoltà, ce l’ha fatta, superando il peso dei pregiudizi. A soli 12 anni per la Gentileschi il primo dolore con la perdita della madre, ma anche l’avvicinamento al mestiere del padre Orazio, pittore toscano, rinomato a Roma.Il secondo trauma arrivò presto per la giovane: sei anni più tardi fu stuprata dal maestro, per di più amico di famiglia. Da lì una serie di delusioni, tra un mancato matrimonio, un processo giudiziario e l’emarginazione dalla società. Per lungo tempo infatti la pittrice è stata ignorata dal mondo dell’arte. Un talento, il suo, che passava in secondo piano a causa delle vicende biografiche che la precedevano.

Non solo ha seguito i suoi sogni ma ha avuto anche il coraggio di non mollare, in un periodo complicato per tutte le donne che volevano intraprendere una carriera.
L’attaccamento più forte per lei, orfana di madre, fu con il padre Orazio, pittore e amico di Caravaggio. Artemisia inizia a incuriosirsi al mestiere del papà. Lo stesso che intentò la denuncia contro il suo stupratore, il maestro Agostino Tassi, dopo che l’episodio era stato tenuto nascosto. E durante il processo dovrà dimostrare tutto, superando le prove della tortura. Ma il legame tra padre e figlia non fu sempre facile.

Aveva il suo appoggio, considerando che lei non poteva firmare i propri lavori e doveva fare tutto di nascosto. Tra loro a un certo punto si instaura un rapporto di amore e odio. Lui non la capisce fino in fondo, non come pittrice, ma in quanto donna. Si riconciliano in Inghilterra, quando lui, diventato cieco, deve finire delle tele e lei lo aiuta.

È stata una madre affettuosissima, che però non si è riguardata negli amori. Ha rinunciato all’uomo di cui era innamorata per non essere la seconda donna. E lo ha fatto per orgoglio. La Gentileschi, infatti, all’inizio e subito dopo lo stupro ha creduto alle promesse di Tassi, che si fece avanti per un matrimonio riparatore. Lei attese a lungo le nozze, ma scoprì che il pittore era già sposato. Dopo il processo, dove vinse, iniziò un periodo di rappresentazioni con tratti forti e tinte violente. Sposò Pierantonio Stiattesi e si trasferì a Firenze e poi in altre città. Ma non mancarono le voci su diversi amanti.
Tante persone inseguono i propri sogni, ma a volte non riconoscono in sé la forza di farlo. Artemisia ha viaggiato tanto tra le corti di Firenze, Napoli, Roma e Londra. Forse un modo per capire che genere di artista poteva essere per il suo pubblico. La ricerca di sé Artemisia la esprimeva nei suoi quadri. Si rivolse in tante occasioni alle eroine bibliche, da Giuditta a Giaele o a Ester, sempre in lotta contro un nemico forte di sesso maschile. Cercava di rappresentare nelle altre donne la sopraffazione stessa del mondo femminile.
Spesso le donne di oggi, sia giovani che adulte, si accontentano di molto meno.  Le generazioni attuali hanno troppo e manca la spinta a guadagnarsi qualcosa con fatica. Artemisia per esempio a Firenze è entrata nell’Accademia dei pittori, un’occasione rarissima per una donna. Lei alle ragazze di oggi direbbe di intraprendere la vita che vogliono e di non mollare.

Sintesi di un articolo di Serena Santoli

Anonimo era una Donna

Susan Unterberg è un’artista newyorchese di 77 anni. Gli ultimi 20 li ha trascorsi a versare, in completo anonimato, ingenti somme di denaro per finanziare il progetto ‘Anonymous was a woman’, che ha offerto sostegno economico a centinaia di artiste.

In un’intervista rilasciata recentemente al New York Times, Unterberg ha rotto il silenzio, svelando che dietro la sua scelta c’è il desiderio di dare voce alle questioni legate alla disuguaglianza di genere nel mondo dell’arte. Ha anche ribadito la necessità che le donne sostengano altre donne, spingendo altre persone ad agire come ha fatto lei.
Il nome del progetto in questione fa riferimento alla consuetudine per la quale molte artiste già dall’Ottocento hanno scelto di non firmare i loro lavorI con il proprio nome (o di usarne uno da uomo) per non essere penalizzate dal loro genere. ‘Anonymous was a woman’ è anche un riferimento a Virginia Woolf e al suo saggio più noto, Una stanza tutta per sé, sulla subalternità delle donne e sulla difficoltà di essere scrittrici in un mondo in cui le cui convenzioni riducevano la donna al ruolo di madre, sorella o figlia.
Il progetto ha preso il via nel 1996, quando il National endowment for the arts (agenzia federale americana che offre supporto e fondi al mondo dell’arte) scelse di mettere fine al finanziamento ai singoli artisti. Susan Unterberg e la sorella Jill Roberts decisero di impiegare l’eredità del padre, magnate del petrolio, per aiutare le artiste donne. La stessa Unterberg ha rivelato di aver vissuto sulla propria pelle gli ostacoli che incontrano le artiste, a cui non è offerta la stessa attenzione nelle esposizioni e nelle collezioni dei musei e che sono trattate in modo differente anche sul mercato.
I dati del National Museum of Women in the Arts rivelano che le artiste guadagnano 81 centesimi per ogni dollaro percepito dai loro colleghi maschi, che il loro lavoro è rappresentato in percentuali esigue nelle collezioni permanenti dei musei negli Stati Uniti e in Europa e che solo il 27% delle 590 mostre personali organizzate nei maggiori musei americani tra il 2007 e il 2013 era dedicate ad artiste donne. 

Nel corso degli anni ‘Anonymous was a woman’ ha finanziato economicamente 220 artiste con 5,5 milioni di dollari in totale, ripartiti in borse di studio da 25 mila dollari che vengono assegnate a chi ha più di 40 anni ed è nella fase intermedia della propria carriera.

Molto all’oscuro

…in fatto di donne sono quegli uomini i quali non sanno che esse assai più godono di veder pregiate le loro qualitá mentali che non le corporee.

Baretti