Archivio mensile 22nd Marzo 2018

L’uomo senza corazza

Ettore che si sfila l’elmo per prendere in braccio Astianatte, impaurito dall’armatura, é un uomo di una straordinaria modernità.

La tenerezza del maschio verso il figlio é una grande conquista che l’uomo deve alla donna…alle dure battaglie femminili per la paritá che hanno regalato a Lui il diritto alla pienezza di sentimenti e alla libertá di atteggiamenti nella cura della prole.

Ovviamente, il padre non deve diventare un “mammo” nè la madre deve annullare il suo ruolo di accoglienza.

L’equilibrio giusto nessuno può dire quale sia ma é certo che non bisogna trascurare, man mano che i figli crescono, i limiti e le regole….insegnamento impropriamente definito”paterno”.

Jessica, la prima Gender Editor 

La Bennet lavora per il New York Times ed il suo compito é quello di filtrare le notizie dal mondo attraverso l’anima femminile.

Jessica usa la lente del genere anche per scoprire cosa significa essere uomini.

” Non vogliamo ricreare le pagine femminili di cinquant’anni fa, quando i contenuti cosiddetti’ per le donne’ erano circoscritti a una sezione del giornale. Devono esserci in ogni sezione e in ogni medium. Il mondo è stato a lungo raccontato con sguardo maschile perché gli uomini hanno gestito i governi e i media: filtrare il grande giornalismo del Times attraverso uno sguardo femminile serve a bilanciare questa disparitá. E può essere un modello per tutti i media”.

Jessica si occupa molto della dimensione sessualitá ed evidenzia il sessismo radicato in molti.” Alle donne si insegna che devono essere schive, che se dicono subito si vengono giudicate facili e se dicono no in certi casi si rischia che gli uomini reagiscano male.

Gli uomini, d’altro canto, ritengono che devono insistere perché le donne dicono di no anche quando vorrebbero dire di sì”.

Affrontare sistematicamente questa problematica puó fare la differenza.

L’Arminuta

Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per “l’Arminuta” (“la Ritornata”), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. Donatella Di Pietrantonio affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare una storia incandescente in cui l’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte, al corpo, a se stessi. E’ inoltre capace di trasportarci lì, in quell’Abruzzo poco conosciuto, una terra ruvida e aspra che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

Lili Marleen

Durante la seconda guerra mondiale l’emittente militare tedesca di Belgrado trasmetteva ogni sera, poco prima delle 22, la canzone “Lili Marleen”, ascoltata con nostalgia non solo dai soldati tedeschi ma anche dai loro nemici. E per pochi minuti succedeva una cosa che a molti sembrava un miracolo: ogni sera, per pochi minuti, le armi tacevano. In brevissimo tempo “Lili Marleen” divenne la canzone più popolare tra i soldati di tutte le nazionalità. In realtà, ai nazisti non piaceva molto il testo, piuttosto antimilitarista e disfattista: la storia del soldato che pensa con malinconia al suo amore lontano non era molto adatta a rafforzare lo spirito di combattimento. Fu persino vietata per un certo periodo, ma le richieste dei soldati tedeschi di ascoltare la canzone ogni sera erano troppo insistenti e così si ripresero le trasmissioni. Questa prima versione, incisa nel 1938, era cantata da Lale Andersen.
Ma non solo “Radio Belgrad” trasmise questa canzone. L’attrice e cantante tedesca Marlene Dietrich, fuggita dai nazisti negli Stati Uniti, cantò la canzone per le truppe alleate e con la sua voce rese questa canzone famosa in tutto il mondo. Oggi è una delle canzoni più conosciute nel mondo, secondo alcuni è anche la canzone più bella di tutti i tempi.

Maria Maddalena Apostola

Maria Maddalena fa la sua comparsa nel capitolo 8 del Vangelo di Luca, in cui si legge: “una delle donne che assistevano Gesù con i loro beni”. Se si pensa a Maria Maddalena la si identifica subito con una prostituta che, come riportato sempre nel Vangelo di Luca, aveva lavato i piedi a Gesù e si era convertita. Secondo i vangeli canonici, Maria Maddalena è tra le persone che accompagnano Gesù fino al Calvario, che sono testimoni della crocifissione e della deposizione nel Sepolcro. Sempre Maria Maddalena è colei che trova il sepolcro vuoto e ha in seguito una visione del Signore risorto. “La tradizione”, come ha scritto il cardinale Gianfranco Ravasi qualche tempo fa, “ripetuta mille volte nella storia dell’arte e perdurante fino ai nostri giorni, ha fatto di Maria una prostituta. Questo è accaduto solo perché nella pagina evangelica precedente – il capitolo 7 di Luca – si narra la storia della conversione di un’anonima peccatrice nota in quella città, colei che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli. Si era così, senza nessun reale collegamento testuale, identificata Maria di Magdala con quella prostituta senza nome. Ora, questo stesso gesto di venerazione verrà ripetuto nei confronti di Gesù da un’altra Maria, la sorella di Marta e Lazzaro, in una diversa occasione (Giovanni 12, 1-8). E, così, si consumerà un ulteriore equivoco per Maria di Magdala: da alcune tradizioni popolari verrà identificata proprio con questa Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea”. Il regista Garth Davis mostra però anche altro rispetto alla versione più solita di questa donna. Nel film si percepisce e nota la grande stima e fiducia che Gesù ripone in Maria Maddalena, al punto di interpellarla più volte a suo sostegno e aiuto negli insegnamenti e nei battesimi. Non si tratta di aspetti di finzione cinematografica, dato che nel 2016 e per intervento di Papa Francesco alla figura di Maria Maddalena è stata riconosciuta una forte verità: apostola degli apostoli.
Da Margherita Bordino

Palestre femminili in Arabia Saudita

Iniziano ad andare in palestra per restare in forma, in una società dove l’obesità è un problema per il 44% delle donne. Ma sollevare pesi, imparare a difendersi, centrare il canestro diventano anche esperienze importanti per la presa di coscienza di sé.
C’è un boom di palestre femminili in Arabia Saudita, dove sono state appena legalizzate: dallo scorso giugno possono ottenere una licenza, mentre in passato le poche che aprivano dovevano fare ricorso a permessi per fisioterapia o per saloni di bellezza, restando così in una “zona grigia” della legalità e a costante rischio di chiusura.
Palestre separate

È un cambiamento importante in un Paese che fino a quest’anno non prevedeva l’educazione fisica nelle scuole pubbliche femminili. Comprendendo le potenzialità del mercato, l’azienda Leejam Sports, che possiede 115 palestre maschili nel regno, ne sta convertendo 40 in femminili. Resta il divieto di allenarsi insieme, nel nome di una visione ultraconservatrice dell’Islam che proibisce ogni frequentazione tra uomini e donne che non siano imparentati. Ma se le cose stanno cambiando, nell’ambito di riforme volute dall’alto (la “Visione 2030” del re Salman e del figlio Mohammed), questo è stato possibile grazie anche a un piccolo numero di donne attive da 15 anni nello sport, soprattutto a Gedda.

Donne e manicomi

È incredibile, ma ancora cinquant’anni fa — come documenta ampiamente Pier Maria Furlan in Sbatti il matto in prima pagina. I giornali italiani e la questione psichiatrica prima della legge Basaglia (Donzelli) — i manicomi erano affollati da donne «sane trattate come pazze solo per punizione». Donne rinchiuse perché avevano palesato un «temperamento ostinato e ribelle», compiendo «fughe frequenti e immotivate da casa», cercando la compagnia di «uomini di qualunque ceto e condizione». In alcuni casi erano accusate di essersi rese protagoniste di litigi «con la portiera e i vicini di casa». In altri di aver condotto «vita irregolare con spiccate tendenze erotiche e rifiuto di qualsiasi ordine o minima regola di vita». Talvolta di aver «tralasciato le preoccupazioni per la famiglia» e qualcuna di aver preferito spendere «sconsideratamente il denaro che il marito le affidava». Oppure di aver esibito, a detta dei parenti più stretti, un «comportamento inadeguato» e «abnorme in campo sessuale». Qualcuna, anziché dedicarsi alle «faccende», aveva cominciato a «uscire molto spesso e a dimenticare l’ora del rientro a casa». Suo padre raccontava di aver fatto tutto il possibile «per frenarla, ma lei non voleva sentire niente, né consigli, né minacce». Per giunta aveva gettato l’ombra del disonore sulla famiglia «perché la si vedeva spesso coi giovanotti». Un’altra era stata considerata affetta da «disturbi sotto forma di intolleranza alla disciplina familiare» che la portavano a compiere «conquiste amorose, fughe da casa». Un’altra ancora era ripetutamente fuggita dalla famiglia e — a detta dei suoi parenti — aveva preso l’abitudine a «sperperare il proprio denaro regalandolo e facendo acquisti non necessari» (ma i medici avevano accertato che questa «alterazione psichica» si era manifestata dopo che era stata «ripetutamente percossa alla testa con un bastone dal proprio marito, riportando contusioni multiple al capo»). In qualche caso, dopo che il medico di famiglia aveva diagnosticato «isterismo di alto grado», gli psichiatri, avendo tenuto la paziente in osservazione per oltre un mese, l’avevano considerata «rassegnata per la sua sorte tragica», ma «perfettamente orientata e cosciente» e l’avevano restituita alla famiglia (uno zio che la maltrattava), specificando che non riconoscevano in lei «alcuna malattia mentale».

Questo genere di medici più scrupolosi erano, però, un’eccezione. Quasi sempre la diagnosi di «comportamento quanto mai strano e dovuto senza dubbio a squilibrio mentale» (o cose del genere) era sufficiente per rinchiudere molte di queste povere persone in pubblici lager per malate di mente. Sul finire degli anni Sessanta alcune giovani erano state ricoverate a forza con l’accusa di essersi allontanate da casa e dal lavoro «per unirsi con i capelloni» o perché erano andate «nelle bettole a fare l’amore».

Qualcosa del genere si prolungò ancora per anni e anni. Praticamente fino al 13 maggio del 1978, quando fu approvata la cosiddetta legge Basaglia. Incredibile.

La piccola storia di Amalia Cecilia Bruni

Sono neurologo in un Ospedale di Calabria da oltre trenta anni e mi interesso in particolare di malattie ereditarie del Sistema Nervoso avendo a che fare non solo con il dolore e la sofferenza intrinseche alle stesse ma anche con l’angoscia che il concetto di ereditario porta (l’ineluttabilità, i tabù e, se vogliamo, la mancanza di libertà).

Tutto ciò mi ha dato un grande rispetto per la sofferenza dell’UOMO e per la sua privacy e mi ha rinforzato in quella che fu, a monte, la scelta di fare medicina e neurologia, ingenerando il desiderio forte di combattere queste malattie e di aiutare le famiglie attraverso la ricerca.

I primi anni sono stata piuttosto restia a parlare in ambienti non medici di questa “avventura scientifica”. Mi sembrava di tradire i miei pazienti e le loro famiglie. Ma l’evoluzione dei costumi (e del pensiero) associata alla diffusione dei risultati scientifici importanti che da questo lavoro sono scaturiti, ha consentito che le famiglie stesse chiedessero di parlare più diffusamente della malattia di Alzheimer perché se ne conoscesse l’impatto. Credo non ci siano altre malattie così devastanti e per il paziente e per chi deve assistere. Una malattia che ti distrugge in quello che di più tuo e intimo hai: il cervello, la personalità, la mente. Una malattia che lentamente e inesorabilmente, spogliandoti delle tue facoltà, ti riduce ad un vegetale. E se è tristissimo, quando questo accade più frequentemente, a 70-80 anni, è tragico quando, per un errore genetico, come nei miei pazienti, tutto ciò accade a 40 anni!

 L’occasione attuale ….l’idea di Beatrice di pubblicare racconti di storie di Donne di Calabria. Il contesto…..un pubblico di non addetti ai lavori e dunque …scrivere per comunicare …. e non solo per dimostrare…La tematica ….”la tua meravigliosa impresa” (più modestamente il mio lavoro) ma forse anche, perché no? La resilienza….necessaria e indispensabile capacità a queste nostre latitudini …per affrontare le avversità, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato. Riattivare le sinapsi per recuperare la storia di quasi 30 anni in cui il mio lavoro e la mia vita privata sono state indissolubilmente intrecciate, non è operazione da poco e sicuramente rischierei di non rispondere ad esigenze di brevità e chiarezza. Dunque per una storia “completa” dovrete attendere ….

We never know how high we are

#AGÁPEsosKORAI

Il Medley ispirato al nostro primo Quaderno dell’8 Marzo:” La nostra statura?”

Regia di Maria Grazia Teramo Presidente di LaboArt

We never know how high we are

Non conosciamo mai la nostra altezza

Finché non siamo chiamati ad alzarci.

E se siamo fedeli al nostro compito

Arriva al cielo la nostra statura.

L’eroismo che allora recitiamo

Sarebbe quotidiano, se noi stessi

Non c’incurvassimo di cubiti

Per la paura di essere dei re

Ph Armando Biblioteca

Il Teatro arriva al cuore

#AGÁPEsosKORAI

Il Medley ispirato al nostro Quaderno… perché il Teatro arriva al cuore e lo fa crescere nel segno della PARITÀ DI CITTADINANZA

Regia di Maria Grazia Teramo Presidente di LaboArt