Archivio mensile 25th Marzo 2019

Sara nella mente di Tiziano Riverso

Percorrendo le pagine del nostro quaderno ci imbattiamo in “Sara”, un breve racconto proveniente da una “penna” famosa nel campo della poesia, la penna di Sara Rodolao. Il suo testo non poteva che essere trasposto in un’immagine opera di una “matita” altrettanto famosa, quella di Tiziano Riverso, illustratore, vignettista, fumettista, collaboratore con diverse testate nazionali e locali (2 nomi per tutti, il Giorno e la Repubblica)

“Sara” di Sara Rodolao

• Sara si racconta da sola, nel suo cammino, iniziato abbandonando un pezzo di sè, con indosso un vestitino leggero e gli zoccoletti. Ce la immaginiamo bambina, colta da un senso di inadeguatezza rispetto al mondo circostante. A volte è così che iniziano i cammini verso la ricerca del sè, verso il cammino giusto da percorrere. E Riverso la riproduce, non più bambina alla stazione ma donna, durante il suo cambiamento di rotta,durante il nuovo percorso che l’ha portata verso la poesia. Una Sara ormai donna, ma sempre con un vestitino leggero e gli zoccoletti, quasi fossero quelli della Sara bambina, che abbandonava la sua infanzia alla stazione.

Di Viviana Mazzocca

Vittoria daGRETA, Quaderno dell’ 8 Marzo di sos KORAI

Quando mi fu chiesto dalla dott.ssa Lento di scrivere la mia storia e quella di Maria, circa due anni fa, immediatamente dopo la nascita di Maria a nuova vita, io respinsi l’invito, poiché macinare ancora

quel dolore, ricordando gli sguardi miei e di Maria e sentendo ancora il suo profumo, mi infastidiva.

Ne avevo avuto abbastanza di quel rapporto: troppo dolore, troppo amore, troppa intensità…percepirlo ancora mi scorticava mille altre volte la pelle del corpo…ero stanca.

Sono stati anni quelli, ben otto, quasi nove, che hanno segnato totalmente il mio rapporto con la vita e il suo senso, anni che mi hanno vista immersa in continue sfide fatte di decisioni con me stessa per Maria, che mi hanno sempre più incorag- giata a guardare diritto in faccia la realtà, senza lagne né timori, perché è vero che quando hai a che fare con il cuore della vita tutto, all’improvviso, si ribalta dentro di te.

Ma chi è Maria? Maria è una donna di sessantotto o forse cinquantadue o forse settantasette anni o forse di un anno o addirittura di due o tre mesi…che, dopo aver dedicato tutta la sua vita ad accudire il marito, dializzato per venticinque anni, ad un certo punto, dopo la sua morte, si fa venire la bella idea di conoscere Alzheimer, impavida e senza alcun freno, come quando incontri, per caso, un tizio all’improvviso e perdi completamente la testa per lui. Attenzione perché perder la testa per Alzheimer non è mica cosa dappoco.

Questo tizio, che non conoscevo, se non per sentito dire e che già in passato aveva rapito altre persone, e nessuna era riuscita a dirgli di no, é stato capace di prenderla tutta la mia Maria. L’ ho odiato, perché lei, dal momento in cui l’ha conosciuto, ha quasi subito dimenticato chi fosse e chi io fossi….totalmente sconvolta da costui, niente riusciva a farle cambiare idea e io urlavo e mi disperavo cercando di farle comprendere che non era Il suo tipo.

Niente da fare, Maria era sua… battaglia persa. Anni in cui dici:“ Ma come? Mi guardi, mi tocchi, senti e ascolti la mia voce ma non mi ami più? Non mi riconosci più? Guardami, sono Vittoria, sono tua figlia. Perché mi stai facendo questo, perché hai deciso di non seguirmi più? Perché hai deciso di non amarmi piú? Perché tanti altri hanno la mamma e io, invece, ho quasi dimenticato il tuo sapore, il tuo sentire, le tue tenerrezze? Rispondimi Maria! Rispondimi mamma!”

Ricordo ancora quando mi insegnavi a cantare, quando mi tenevi le mani per guidarmi a muovere i primi passi, col cuore, verso la vita. Sei sempre stata una donna docile, tenera, remissiva, educata e disponibile con tutti, ora, che dovevi ancora insegnarmi a vivere, te ne sei andata dietro a quello. Perdevo velocemente tutto: mio padre e dopo sette mesi mia madre, ormai dimentica di se stessa, di tutta la sua vita e di me. Accettare queste perdite non fu cosa facile, dovevo fare qualcosa per me prima di tutto e di conseguenza per Maria. L’intruso non lascia scampo, ti toglie tutto, e quindi cosa fai? Te lo fai amico. Inizia subito un percorso di accompagnamento a Maria che, a dirla tutta, serviva maggiormente a me. La mia priorità ero io e il sorriso che tutte le mattine, quando mi recavo nella sua stanza, quella di fronte alla mia, lei mi regalava:“ Maria svegliati sono le 9 iniziamo la nostra giornata!” E lì una serie di canzoni-melodie, forse anche un pochino stonate, parole legate tra di loro senza neanche un filo logico preciso, ma tutto, proprio tutto, non era lasciato al caso, tutta quella complicità, tutta quella compassione vicendevole abbattevano quella barriera che per i primi due anni, da quando Alzheimer aveva deciso, bruscamente, di fare parte della nostra vita, io avevo costruito.

Lì, in quel momento, capìì quanto l’umanità di ognuno di noi può realizzare cose grandiose! E il bello era che io ero la protagonista e Maria mi partoriva ogni giorno a vita nuova. Alzheimer mi stava regalando, a sua insaputa, una dolcezza con mia madre che raramente si percepisce, tutto assumeva, nel dramma della malattia, una luce diversa, più dinamica, più coinvolgente.

E tra le mille avventure del wandering, durato 5 mesi, dei punti di sutura alla testa, per la caduta dalle scale, della protesi al femore, degli attacchi di TIA, ripetuti e asintomatici, io e Maria non avevamo certo il tempo di annoiarci. Sedia a rotelle, rialzatori water, ciambelle per la prevenzione delle lesioni da decubito, pannoloni, traverse, cateteri, omogenizzati, acqua gelificata, assistenti sanitari, insomma, in altre circostanze, roba da urlo isterico…in altre circostanze…ma quelle non erano le altre circostanze, erano le mie e di Maria e noi eravamo una squadra affiatata e sapevamo come darci la mano, sostenerci e accompagnarci.

Dulcis in fundo: un presidio sanitario sconvolgente, in quelle circostanze isteriche che non dovevano apparte- nerci ma che per un nano secondo mi dominarono, l’arrivo del letto col rispettivo materasso antidecubito.

Basta! Ancora una volta mi sentivo arrabbiata e al tempo stesso fortificata.

Ancora non vuoi arrenderti Alzheimer? Bene sposto i mobili della stanza dove dorme Maria, tolgo i libri e dipingo i muri, vuoi sapere come? Non bianchi, piatti, tristi, uniformi, come a voler segnare una condanna a morte, ma arancione sfumato di giallo, il colore del sole, del fuoco, della forza, dell’amore.

Certamente, perché fu solo l’amore a muovere me e Maria nella stessa direzione, quella direzione che ogni giorno tracciavo per Lei e, nonostante tanti dubbi, tante mie domande sul faccio bene, faccio male, Lei mi ricompensava col suo sorriso. Io sapevo che col progredire della malattia la mia mamma avrebbe avuto una totale regressione ma certamente non potevo assoggettarmi come una vittima a questa iattura.

Ho cercato di rifiutare ciò che stava accadendo a lei e a me, ma nulla da fare. Non è negando una data situazione o circostanza di malattia che le cose migliorano e si corre il rischio di essere soggiogati da un atteggiamento vittimistico. Il malato, qualunque sia la sua patologia, deve metabolizzare il suo status e non deve arrendersi.

Oggi la mia Maria mi manca e nonostante le difficoltà vissute vorrei ancora averla accanto. Grazie a Lei e alla sua terribile sofferenza ho capito, ho capito che la malattia e tante altre circostanze difficili e tormentate della vita non sono negatività perché grazie a loro puoi scoprire meglio te stessa e conoscere il senso vero dell’Amore…ciao Maria, grazie di tutto quello che mi hai donato…rimarrai per sempre dentro di me.

Vittoria Laria

Gianna Beretta Molla ritratta da Vittoria

• Un altro ritratto arricchisce il nostro quaderno, questa volta opera di Vittoria Saccà, persona che mi è vicina da tanti anni e che mi ha saputo dare sempre buoni consigli. Vittoria, da scrittrice e pittrice, non poteva che offrirsi in entrambi gli incarichi: scrive di santa Gianna Beretta Molla e ne traccia i lineamenti traendo l’immagine da una delle più famose foto che la ritraggono.

È una santa Gianna, è un medico Gianna, è una moglie, è una donna. Ma è una mamma soprattutto: una mamma che non opera un sacrificio, ma una scelta. Vittoria ha chiamato “scelta e destino” il suo dipinto. Il che è più eloquente di ogni altra spiegazione.

Viviana Mazzocca

Stralci da GRETA secondo Quaderno dell’ 8 Marzo di sos KORAI

Eccovi alcune Donne di Greta interpretate dalle Attrici di LaboArt, l’Associazione splendidamente presieduta da Maria Grazia Teramo

1. C’è una parte di me che è poco conosciuta, fin da bambina faccio sogni in cui dialogo con parenti o cari amici defunti, ciò che mi dicono poi puntualmente si avvera, ne sono testimoni i miei familiari a cui racconto nell’immediatezza ciò che ho sognato; questa mia particolare sensibilità mi ha permesso di entrare in amicizia con Natuzza Evolo, la mistica di Paravati
“Delfina” di Delfina Barbieri Caffo
2. Fu strano quell’incontro perché un giorno ritrovai il suo accento in un fratello gesuita che faceva il custode del liceo che frequentavo, che improvvisamente mi disse: “Bella, innamorati di Gesù e vedrai la vita fiorire”. Poi qualche anno più tardi, ai tempi dell’università, lo ritrovai in un prete che mi disse: “Che fortunate siete voi donne! Potete innamorarvi di Gesù come nessun prete potrà mai fare, perché Nostro Signore è un Uomo!” E il cuore del mio io scomodo iniziò a innamorarsi
“Paola” di Paola Felizia
3. Avevo 39 anni. Durante i funerali io c’ero, ho visto seppellire il mio corpo nella cappella della famiglia Molla. Del resto… io non sono andata via per sempre. Vivo in Cielo sì, ma corro in terra se qualcuno ha bisogno di me. Sono diventata la portavoce di tutte le madri di famiglia che a me si affidano. Quando mi invocano io corro in loro aiuto e poi depongo le loro preghiere al cospetto del buon Dio pregandolo di esaudirle. Qui ho ritrovato i miei genitori, i miei fratelli, tanti amici, e non ho lasciato neanche voi, carissimi, voi che avete voluto proclamarmi santa per come ho condotto la mia vita terrena.  
“Gianna” di Vittoria Saccá
4. Moltissimi ne parlavano e a tanti sembrava strano e sconveniente che una signorina nobile girasse per le vinee con un prete. Eppure, a poco a poco, quella strana vicenda mi entrò dentro e mi prese il cuore e assieme a me tante altre giovani donne, tropeane ma anche dei paesi vicini, decisero di andare col prete e la signorina. Diventammo le Carmelitane che non stanno chiuse a pregare nel convento ma scendono sulle strade per andare a cercare Gesù nei posti più sudici e scuri. 
“Rosa” di Beatrice Lento
5. Per quattro anni abbiamo vissuto tutti in un angusto magazzino e anche in quella condizione precaria che ci costringeva a riscaldare l’acqua e utilizzare una vasca in plastica per fare il bagnetto, Nino, Rosa e Gennaro spandevano profumo di pulito allorché si recavano alle scuole elementari. Feci di tutto affinché i miei angeli potessero studiare/lavorare ed emanciparsi culturalmente e socialmente. Fu la mia scommessa che, grazie a Dio, ho vinto. 
“Giovanna” di Gennaro Puritano

Elfriede

Sono nata nel 1956, sono la più piccola della famiglia d’origine e ho ancora due sorelle e due fratelli. I miei genitori erano, per quel pe- riodo, abbastanza grandi d’etá, quando sono andata alla scuola elementare mio padre aveva già 60 anni e i capelli bianchi, le mie amiche pensavano che fosse mio nonno ed io non le ho mai contraddette, mi vergognavo ad avere un papá cosi vecchio.

Sono cresciuta in condizioni di povertà, non c’erano mai abbastanza soldi in famiglia con cinque bambini. Mio padre era molto austero e rigoroso, mia madre, invece, sempre sorridente, sempre di buon umore, sempre allegra, cantava e re- citava, le mie amiche l’adoravano tanto. Dopo la scuola venivano sempre a casa nostra. Erano figli di gente ricca: avvocati, medici, grandi professionisti ma preferivano stare con la mia mamma.

A quindici anni volevo lasciare il Liceo, volevo fare altre cose, attivitá creative, volevo andare alla scuola d’arte, mio padre, invece, aveva deciso che dovevo completare il percorso liceale. Ero una pessima studentessa, due volte ho ripetuto una classe.

Poi a 18 anni mi sono innamorata follemente di un francese, ho lasciato, un anno prima della maturità, la scuola e la mia famiglia e sono andata con lui per vivere in Francia, senza soldi, senza diploma. I miei genitori erano disperati, ancora adesso li vedo alla stazione quando sono partita, hanno pianto tanto e non volevano lasciarmi andare via. Dopo un anno sono tornata in Austria, la nostra relazione non andava bene, io ero senza lavoro, però ancora per 3 anni ho fatto la pendolare fra la Francia e l’Austria ma alla fine sono rimasta nella mia terra, il nostro amore era finito. Poi ho cominciato a lavorare in un ufficio e comunque sono andata alla scuola serale per recuperare il diploma di liceo. Era un periodo duro, tutto il giorno al lavoro e di sera a scuola. Per 5 anni non sono andata in vacanze, ho sempre studiato.

Poi a 34 anni mi sono diplomata e successivamente, per due anni, ho studiato legge, finché ho conosciuto mio marito e non ho più avuto voglia di studiare, sette anni senza vacanze erano più che sufficienti. A quarantadue anni mi sono sposata, per me era la prima volta, ma per Michele, mio marito, già la terza. Non abbiamo avuto figli insieme e Marco, il figlio di mio marito, aveva quattordici anni quando ci siamo conosciuti col padre ed é quasi cresciuto con noi. Quindi lo considero sempre come mio figlio, e pure i figli suoi sono i miei veri nipotini.

Con mio marito ho cominciato una vita bella, tranquilla, spesso in viaggio, tante volte con la barca a vela. Ed é cosi che ho conosciuto Tropea, undici anni fa abbiamo visitato le Isole Eolie in barca, e per caso, davvero per caso, siamo arrivati a Tropea, non avevo mai sentito prima neppure il suo nome, in quel periodo in Austria non era conosciuta per nulla.

Mi ricordo, come fosse stato ieri, ho ancora la pelle d’oca pensandoci, arrivando al porto di Tropea al tramonto, quella luce, quella città maestosa sulla rupe….da brividi. Sopratutto perché é stato uno spettacolo inaspettato.

I turisti che vengono a Tropea hanno già visto le foto e sanno com’è, anche se in realità è ancora più bella, ma figuratevi senza averne una idea, la sorpresa é ancora più grande, in breve: mi sono innamorata follemente di Lei, ed é un amore per sempre.

Un anno dopo ho deciso di imparare la lingua italiana, sono stata felicissima nel ve- dere su internet che a Tropea c’era una scuola per stranieri. Cosi sono tornata, i primi anni solo tre settimane all’anno, ma da quando sono in pensione vengo più spesso.

Contemporaneamente all’amore per questa meravigliosa cittá é cominciata pure la mia grande passione per la fo- tografia. Prima avevo solo una piccola pocket-camera, ma già al mio primo ritorno ho comprato una bella macchina fotografica. La piccola non bastava più per catturarne la bellezza, il fascino, la luce fantastica che cambia sempre. Tropea è un sogno per ogni fotografo, ma per me sicuramente ancora di più.

E un passione grandissima, davvero una passione. Più bello che fotografare i palazzi ed il mare è per me fotografare la gente, i bambini, i nonni, cogliere gli attimi. A proposito di bambini: in questi 10 anni di fotografia ho visto crescere tantissimi piccoli tropeani, ieri ancora una bimba, oggi una piccola signora; sono momenti emozionanti per me vedere questo nei miei album di tropeani.

Spesso mi è pure successo che quando qualcuno mancava mi chiedessero se io avessi una bella foto del deceduto, mi erano molto grati se riuscivo a trovarla e per me era una sensazione bella avere aiutato un pó qual- cuno. Sono tanti i tropeani che vivono fuori dalla Calabria già da tanti anni, mi scrivono che grazie alle mie foto possono essere vicini al loro paese e ai parenti.

Questo mi emoziona sempre. Non sono professionista, sono autodidatta, ma le mie foto sono fatte con amore e credo che si veda. Tropea nel frattempo è diventata la mia seconda patria, qui posso vivere la mia passione per la fotografia, perché sono i tropeani che vogliano essere fotografati, sono loro che mi chiedono uno scatto e questo è bellissimo.

In Austria non è cosi. Ormai mi auguro che fra alcuni anni sarà realizzato l’ascensore che dal paese porta al mare così potrò venire a Tropea anche da anziana. Speriamo bene!

Cara Beatrice, questa è la mia storia, niente di interessante e mi chiedo davvero come mai tu vuoi raccontarla.

Ora ti lascio, ti auguro una serena e bella serata, se ti serve ancora qualcosa, fammelo sapere.

Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2

Elfriede Hartbauer

Mary Birch

Mary Birch è nata in Canada e cresciuta in Inghilterra, vive da più di quaranta anni in Svizzera. Suo padre era un ambasciatore e sua madre, una grandissima donna di origine polacca, ha fatto tanto per crescere da sola, insieme alla nonna, i suoi 4 figli. Ora Mary è spostata con Goy e ha 3 figlie e tanti nipotini

1  Com’è nato il tuo amore per la musica e per questo genere musicale?

Non saprei dire esattamente quando è nato il mio amore per la musica, che è stata sempre parte di me; a 3 – 4  anni già cantavo alle persone che venivano a casa e si sedevano in salone per ascoltarmi, come se fosse stato un concerto, aiutata anche dal mio cane che faceva parte dei miei spettacoli. A 6 anni sono stata scelta per cantare alla Regina un brano in latino, e mentre le portavo dei fiori ho visto mia nonna in lacrime e li mi sono bloccata ma mia nonna mi ha detto che piangeva perché era felice, e in quella occasione ho capito cosa vuol dire piangere per amore. Mentre frequentavo le scuole sono stata scelta dal  grandissimomusicista Malcom Sargent, direttore artistico della Filarmonica di Londra, che mi ha fatto cantare come contralto.

 

2  Tropea quando è entrata nella tua vita e perché?

Tropea è entrata nella mia vita in un modo molto strano: dopo aver visto un mio concerto all’Arena di Genova, sono stata contattata prima da Diego Stacciuoli, che allora faceva parte dell’Associazione Tropea Blues, e poi da Eugenio Licandro i quali mi hanno proposto di venire ad esibirmi al Tropea Blues Festival. Io e mio marito avevamo una settimana libera cosi abbiamo deciso di trascorrere una settimana in Calabria che non avevamo mai visitato prima. Era il 2007 in occasione della 3° edizione del Tropea Blues festival. Quella settimana è stata fondamentale perché abbiamo conosciuto tante belle persone come Massimo Vasinton, Romania, Antonella che ci hanno ospitato e fatto sentire come a casa nostra. Abbiamo visto Tropea per quello che è veramente, non come la vedono i turisti. Abbiamo vissuto Tropea.Da allora vengo ogni anno a Tropea in quanto madrina del Tropea Blues Festival, e faccio parte della meravigliosa “famiglia bluesdi Tropea.

 

3  Da poco è mancata la grande Aretha Franklin, se ti nomino la sua “Respect” a cosa pensi?

Respect è tutto quello che ognuno di noi deve avere per il prossimo, per i bambini, per il marito, per la famiglia, per tutto il mondo, per il mare e la natura.

 

4  Pensi che la tua carriera sia stata più difficile in quanto donna?

La mia carriera è stata molto difficile in quanto donna. Sono cresciuta con mia madre e mia nonna, due donne molto forti che mi hanno dato l’esempio, ma nonostante sia stato difficile, è importante mettersi in gioco con tutta te stessa così per una donna che come per un uomo. Non credo ci sia diversità, basta volerlo.

 

5  Hai mai dovuto lottare contro molestie, violenze e ricatti sessuali’ ?

Si certo, ma ho sempre mandato a quel paese, chi ci ha provato e fatto pagare le conseguenze.

 

6  Che pensi del movimento mee too”?

Penso che sia stato giusto dare vita a questo movimento ma che doveva essere fatto prima. Sono stata 6 anni senza fare un disco perché sono andata contro qualche personaggio, ma quando sei convinta di quello che pensi e sei sicura di te, devi andare avanti fino in fondo

 

7  credi di essere una donna forte?

Si credo di essere una donna forte ma anche fragile cosi come può esserlo anche un uomo.

 

8  Ti consideri femminista?

Mi considero una DONNA

 

9  Com’eri da bambina, cosa ti ha fatto diventare la donna che sei, cosa ti ha aiutato?

Da bambina ero ribelle, molto dolce, e ho imparato a farmi valere. Mi ha aiutato il fatto di avere avuto 3 figlie femmine, quindi ho dovuto proteggerle, ma prima di questo ho avuto una madre, una nonna e anche una suocera molto forti, così vai avanti e capisci che è fondamentale portare avanti quello che pensi sia giusto.

 

10  Sei felice e che cos’è per te la felicità?

Si sono felice; la felicità è quando vado a dormire la sera e so che le mie figlie stanno bene, mio marito stà bene e dorme sereno accanto a me e so che quando vado sul palco do il 100% e anche di più. Perché la felicità bisogna trovarla nell’anima e nel cuore.

 

11  vuoi darmi un consiglio rivolto alle donne perché riescano ad essere veramente libere?

Non bisogna mai farsi mettere sotto da nessuno, non bisogna mai perdere il sogno di diventare quello che vuoi essere: una madre, un artista, qualsiasi cosa… senza mai dimenticare di essere una donna che hai tutti i diritti di essere libera 

 

12  – in tutta sincerità ti consideri una donna veramente libera?

Certo ci mancherebbe altro!!

Di Eleonora La Torre

Rosa

Mi chiamo Rosa Orfanò e sono nata a Tropea da una famiglia del popolo. Mio padre vendeva pesci e mia madre lavava panni alla fiumara.

Ero l’unica figlia e l’amore dei miei genitori non mi é mai mancato. Non ho fatto grandi studi perché nella mia casa non si concepiva l’idea di una donna letterata, ho sempre amato leggere, però, e ancora di più cucire e ricamare ma… ma al primo posto per me era la preghiera. Appena avevo un pò di tempo, dopo aver aiutato mamma nei lavori domestici, mi mettevo in un angolino dell’unica stanza, che chiamavamo casa, e pregavo, pregavo tanto al punto da non accorgermi del tempo che passava.

Quando seppi di Loro e da chi?

Non saprei dirlo di preciso perché in quegli anni a Tropea tutti ne parlavano. Tutti raccontavano del Sacerdote Francesco Mottola che con una figlia dei conti Scrugli, la più bella, Irma, giravano tra i bassi lerci e bui per dare conforto a tanti poveri, soprattutto ai vecchi ammalati e abbandonati.

Moltissimi ne parlavano e a tanti sembrava strano e sconveniente che una signorina nobile girasse per le vinee con un prete. Eppure, a poco a poco, quella strana vicenda mi entrò dentro e mi prese il cuore e assieme a me tante altre giovani donne, tropeane ma anche dei paesi vicini, decisero di andare col prete e la signorina.

Diventammo le Carmelitane che non stanno chiuse a pregare nel convento ma scendono sulle strade per andare a cercare Gesù nei posti più sudici e scuri.

Assieme a me c’erano, come prime compagne, Gertrude, Micuccia, Maria, Angelina, Ninetta…. e tante altre, tutte nella grande Casa della Caritá di Via Abate Sergio dove nel frattempo avevamo accolto tante vecchie sofferenti, povere, abbandonate.

Le nostre giornate volavano senza accorgercene tanto eravamo prese dalla cura delle anziane che affollavano la Casa, col cuore sempre pieno di Caritá, era questa la parola che continuamente risuonava tra le pareti di quella dimora meravigliosa, affacciata sull’azzurro del cielo e del mare e sullo straordinario Scoglio dell’ Isola, era questo il messaggio che Padre Mottola e la nostra Sorella e Madre Irma ci offrivano senza sosta.

La mia mamma se ne andò presto nel cielo perché il suo cuore stanco si era consumato e a me rimase papá o, come usavo chiamarlo, “ u tata”.

Non l’ho mai trascurato, mai, neanche quando un’infezione alla mano, mal curata, mi paralizzò tutto il braccio destro. Addio ricamo e cucito, a me tanto cari, ma niente e nessuno potevano impedirmi di lavare le nostre vecchiette, di pettinarle, di imboccarle, di carezzarle così come vedevo fare alla nostra amata Irma.

Anche le mie compagne si prodigavano fino allo stremo ed ognuna di noi aveva alcuni compiti particolari, Maria, per esempio, girava tutte le campagne in cerca di doni per la Casa e tornava sempre con le ceste piene, portate, a volte, anche da alcune donne che da noi avevano trovato rifugio.

Io amavo andare a trovare tante Signore, divenute amiche, e a loro e ai loro figli parlavo sempre dei nostri Irma e Francesco, riuscivo a incantarli tanto che alcuni, spesso, mi chiedevano di visitare la Casa della Carità e di incontrare il nostro Padre e la nostra Sorella Madre.

Sono felice di aver speso la mia vita in questo servizio e sono grata al Signore che mi ha fatto giovane donna al tempo di Francesco e Irma. Che gioia averli seguiti nel loro cammino di fede e di offerta totale di sè al Signore attraverso il conforto ai poveri.

Con Francesco e Irma ho imparato tantissimo, mi sono rinnovata profondamente.

Pensavo di essere una buona cristiana perché pregavo tanto e ho capito che invece non bisogna mai essere soddisfatti di se stessi ma bisogna piuttosto ricercare sempre e senza freni la Santità, perché, come diceva Irma, tutto il resto é paglia.

Ho amato tanto il Signore e Lui mi ha amato facendomi diventare un’Oblata del Sacro Cuore.

Gesù mi ha voluto bene donandomi tanta sofferenza, un male incurabile ha messo fine alla mia fragile esistenza terrena e sul mio lettino d’ospedale ho avuto il conforto degli amici più cari e della mia Irma.

La nostra Sorella Madre soleva dirci spesso:“ Se vedete un’ammalata a cui potete dare qualche sollievo, non deve importarvi niente di perdere una devozione per patire con lei; e se fosse necessario digiunare perché possa mangiare, dovete farlo…” e Lei, due mesi prima della mia morte, lo fece con me, lasciò tutto e, seduta sul mio lettuccio d’ospedale, dimentica del pranzo di Natale, mi imboccò e si cibò anche lei del mio pasto.

Sono partita per l’ultimo viaggio nel giorno di San Giuseppe e sono felice di aver visto attorno al mio corpo senza vita tutte, proprio tutte, le persone che ho amato, e ancora di più gioisco oggi vedendo che i piccoli semi che ho deposto nel cuore di tanti giovani, figli delle mie Signore amiche, si sono schiusi e donano ancra frutti che hanno il profumo inebriante del valore che ha dato senso alla mia vita: la Carità.

Quaderno dell’8 Marzo 2019 #2

Beatrice Lento

Valentina Gualdoni, Lacrime di cristallo

#Distillandoessenzediumanitá sosKORAI&CAFFO

GRETA Quaderno dell’8 Marzo

“Luigia” di Luigia Lupidi Panarello

• La nostra Valentina Gualdoni ci offre un’altra immagine ricca di poesia, quella che rappresenta Luigia, caratterizzata da colori potenti che si fondono insieme. È molto bello accorgersi che i colori, in base alla loro mescolanza, riescono a sembrare una tinta pastello nel loro insieme mentre, presi uno alla volta, sono invece colori forti, accesi, solari e quasi violenti. Ce lo racconta anche Luigia in un breve passo del suo racconto, quando ci dice che “il bene e il male sono distinti pur essendo toni che formano ulteriori colori compatti”. Il dipinto ci mostra una figura di spalle, fuori dal suo reale contesto, fuori da quello che “dovrebbe essere il suo posto, incorniciato da un preciso bordo geometrico che Luigia ha superato. Da un’estremità all’altra, la figura reale si trova dall’altra parte, sull’altro lato, e sembra guardare la luna che anche Luigia guarda rivolgendosi a Pierpà. Ma un pezzo di lei è rimasto nel suo posticino incorniciato. Un pezzo della sua ombra o un pezzo della sua anima.

Viviana Mazzocca

Capriccio di Valentina Gualdoni

#Distillandoessenzediumanitá sosKORAI&CAFFO

GRETA Quaderno dell’8 Marzo #2

Insieme alla necessità di essere breve per non annoiarvi, mi sono posta un solo limite. Quello di iniziare con chi ha regalato il nome al nostro quaderno, la stessa piccola donna che ha regalato il suo nome e la sua memoria all’eternità.

Greta

• Vi parlo di Greta attraverso i colori che in qualche modo la rappresentano. Molti di noi non conoscevano Greta personalmente e molti di noi l’hanno purtroppo conosciuta in un’ottica fredda e cruda che è quella del titolo di giornale. Ora possiamo imparare a conoscerla attraverso l’immagine che la rappresenta e che accompagna l’accorata lettera che la racconta, mettendone anche a nudo, in un certo senso, le fragilità e i punti di forza. L’immagine che abbiamo di Greta è opera di Valentina Gualdoni, la quale riesce, in qualche modo, a rappresentarne l’essenza. E con Greta il suo violino, perfetta prosecuzione del suo corpo giovane e bello: entrambi, nel gesto musicale, si innalzano verso il cielo, in un’onda, in un turbine di amore e passione che fondono insieme entrambi, oggetto e anima, corpo e musica. Sembra di vederla la fusione della materia nelle sue tinte pastello, che diventa eterea, che si trasforma in qualcosa che, come nella realtà, più non ci appartiene. Greta non è più cosa terrena. Lo sappiamo. Lo sa la sua mamma che con tanto amore scrive di lei. Ma proseguendo quell’onda di colore e quello slancio che la pittrice ci offre, possiamo quasi vederla volare via in un turbinio meraviglioso di musica e passione, in un “capriccio” che forse non a caso diventa titolo dell’opera, fatto per chi non è di questo mondo.

Viviana Mazzocca

Valentina Gualdoni, CAPRICCIO 2019

#Distillandoessenzediumanitá sosKORAI&CAFFO

GRETA Quaderno dell’8 Marzo #2

Insieme alla necessità di essere breve per non annoiarvi, mi sono posta un solo limite. Quello di iniziare con chi ha regalato il nome al nostro quaderno, la stessa piccola donna che ha regalato il suo nome e la sua memoria all’eternità.

Greta

• Vi parlo di Greta attraverso i colori che in qualche modo la rappresentano. Molti di noi non conoscevano Greta personalmente e molti di noi l’hanno purtroppo conosciuta in un’ottica fredda e cruda che è quella del titolo di giornale. Ora possiamo imparare a conoscerla attraverso l’immagine che la rappresenta e che accompagna l’accorata lettera che la racconta, mettendone anche a nudo, in un certo senso, le fragilità e i punti di forza. L’immagine che abbiamo di Greta è opera di Valentina Gualdoni, la quale riesce, in qualche modo, a rappresentarne l’essenza. E con Greta il suo violino, perfetta prosecuzione del suo corpo giovane e bello: entrambi, nel gesto musicale, si innalzano verso il cielo, in un’onda, in un turbine di amore e passione che fondono insieme entrambi, oggetto e anima, corpo e musica. Sembra di vederla la fusione della materia nelle sue tinte pastello, che diventa eterea, che si trasforma in qualcosa che, come nella realtà, più non ci appartiene. Greta non è più cosa terrena. Lo sappiamo. Lo sa la sua mamma che con tanto amore scrive di lei. Ma proseguendo quell’onda di colore e quello slancio che la pittrice ci offre, possiamo quasi vederla volare via in un turbinio meraviglioso di musica e passione, in un “capriccio” che forse non a caso diventa titolo dell’opera, fatto per chi non è di questo mondo.

Viviana Di BrocèliandeViviana Mazzocca Valentina Gualdoni